Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio – Sentenza n. 6507 del 30 dicembre 2022

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate – Riscossione, ha impugnato la sentenza n. 1698/2021, pronunciata il 04.02.2021 dalla Sez. 29 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma e depositata il 15.02.2021, che ha accolto il ricorso, proposto da (…), avverso la cartella di pagamento n. (…) relativa ad IRPEF, annualità 2015 dell’importo di Euro. 3.284,45.

Con il ricorso introduttivo in primo grado il ricorrente eccepiva l’omessa ed irregolare notifica della cartella tramite p.e.c.; l’omessa motivazione dell’atto; il corretto versamento delle imposte derivanti dalla propria dichiarazione; l’assenza di solidarietà tra sostituto e sostituito d’imposta, in relazione al mancato versamento delle ritenute d’acconto; l’omessa indicazione delle modalità di calcolo degli interessi.

Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate – Riscossione che eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva per le questioni di merito; mentre deduceva la regolarità della notifica effettuata tramite p.e.c. e la corretta motivazione della cartella.

Con la sentenza n. 1698/2021 la CTP di Roma accoglieva il ricorso, atteso che dalla documentazione fornita dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione risultava che la notifica della cartella di pagamento proveniva dall’indirizzo p.e.c.

[email protected] e che tale indirizzo non risultava nell’elenco del Reginde (Registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della Giustizia), nonostante la ricorrente si fosse costituita in giudizio eccependo l’inesistenza della notifica.

L’Agenzia delle Entrate Riscossione ha interposto appello avverso la suddetta sentenza, eccependo: 1) la regolare notifica della cartella di pagamento, siccome avvenuta nel pieno rispetto della normativa speciale in materia di riscossione esattoriale, ritenendo sul punto inconferente la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione n. 17346/2019; 2) la legittimità della cartella di pagamento redatta in conformità al modello ministeriale; 3) la pretestuosità dell’eccezione sul difetto di attestazione di conformità all’originale; 4) sanatoria per raggiungimento dello scopo; 5) nel merito, difetto di legittimazione passiva e richiesta di intervento adesivo dell’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale 1 di Roma; 6) legittimità della cartella esattoriale; 7) legittimità delle somme azionate a titolo di interessi e saggio. Conclude per l’accoglimento dell’appello ed in riforma dell’impugnata sentenza dichiarare la validità e l’esigibilità della stessa. Con vittoria di spese ed onorari del doppio grado di giudizio.

L’atto di appello pur essendo stato regolarmente notificato anche l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale 1 di Roma, non risulta costituita in giudizio.

Il sig. (…) si è costituito in giudizio, con proprie controdeduzioni, e contesta i motivi di appello poiché asseritamente infondati e ripropone le eccezioni formulate nel primo grado di giudizio. Preliminarmente eccepisce sull’inammissibilità della richiesta di intervento dell’ente impositore, posto che il giudizio di appello non può che svolgersi nei confronti delle parti già evocate nel primo grado di giudizio. Insiste che la sentenza di prime cure risulta immune dai vizi ascrittigli, avendo fatto corretta applicazione della normativa speciale e dei principi vigenti in tema di esistenza e notificazione di documenti informatici. Ribadisce che per la valida esistenza della notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali, come previsti dall’art. 3-bis della L. 53/94, può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante, risultante da pubblici elenchi, come statuito anche dalla Suprema Corte con la pronuncia n. 17346/2019. Ripropone l’eccezione di illegittimità della pretesa derivante dal mancato riconoscimento di ritenute d’acconto regolarmente operate dal ricorrente sui compensi (come risulta dalle relative parcelle) ma, presumibilmente, non versate dai sostituti di imposta. Conclude per il rigetto dell’appello e, per l’effetto, confermare la sentenza impugnata. Con vittoria di spese e compensi del doppio grado di giudizio, oltre accessori come per legge.

L’appellante ha replicato con memorie illustrative, in particolare precisa sull’eccezione di inammissibilità della richiesta di intervento dell’ente impositore e in ipotesi di mancato accoglimento debba essere tenuta indenne da qualsiasi conseguenza pregiudizievole. Ribadisce sulla fondatezza dei motivi di appello.

All’odierna trattazione in pubblica udienza le parte costituite illustrano le proprie ragioni, come in atti, e successivamente la causa viene posta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio, preliminarmente, osserva che è inesistente la notificazione della cartella di pagamento proveniente da un indirizzo di posta elettronica certificata non risultante in nessuno dei pubblici elenchi previsti per legge. In base all’art. 3-bis, L. n. 53 del 1994, la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. In particolare, l’art. 16-ter del DL n. 179/2012 ha previsto che, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale, si intendono per pubblici elenchi i tre registri: IPA, REGINDE e INI-PEC. Nel caso di specie la notifica proveniva dall’indirizzo “[email protected]” non risultante, a nome di “Agenzia delle Entrate – riscossione” in nessuno dei citati registri. L’indirizzo da cui è giunta la cartella impugnata non è oggettivamente e con certezza riferibile all’Agenzia delle Entrate Riscossione, non risultando nell’elenco del Reginde (Registro Generale degli Indirizzi Elettronici gestito dal Ministero della Giustizia), né nella pagina ufficiale del sito internet dell’Agenzia Entrate Riscossione, né tantomeno nella pagina della CCIAA (Camera di Commercio di Roma). D’Altro canto, questo Collegio non si vuole discostare dalla recente pronuncia di questa Corte, resa con la sentenza 3514/2022 del 2 agosto 2022, che ha affermato “l’illegittimità della notifica effettuata con spedizione da un indirizzo di PEC ([email protected]) non risultante da alcun registro pubblico degli indirizzi elettronici IPA, REGINDE o INIPEC”. Precisando, ancora, che “L’art. 16 ter, del D.L. n. 179/2012 (convertito in legge, con modifiche, dalla Legge 17.12.2012, n. 221), rubricato “pubblici elenchi per notificazioni e comunicazioni”, al comma 1, dispone: “A decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6-bis, 6-quater e 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dall’articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall’articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia” e la notifica Pec si intende validamente effettuata soltanto se effettuata a un indirizzo Pec certificato ed inviato da un indirizzo Pec anch’esso certificato. Anche l’art. 57-bis, del D.Lgs. n. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale, ‘CAD’), stabilisce, al comma 1, che “al fine di assicurare la pubblicità dei riferimenti telematici delle pubbliche amministrazioni e dei gestori dei pubblici servizi è istituito l’indice degli indirizzi della pubblica amministrazione e dei gestori di pubblici servizi, nel quale sono indicati gli indirizzi di posta elettronica certificata da utilizzare per le comunicazioni e per lo scambio di informazioni e per l’invio di documenti a tutti gli effetti di legge tra le pubbliche amministrazioni, i gestori di pubblici servizi ed i privati”. Se manca un tale accreditamento, è precluso al contribuente verificare la provenienza del messaggio e, in particolare, la sua attribuibilità alla specifica Amministrazione menzionata come mittente. In altri termini, il Legislatore ha sancito la necessità che l’attività di notifica avvenga mediante l’utilizzo di indirizzi di posta elettronica risultanti dai pubblici elenchi, al fine di assicurare la necessaria certezza sulla provenienza e sulla destinazione dell’atto da notificare e ciò non può valere soltanto rispetto alla parte contribuente. Dunque, nel caso in esame, non può reputarsi valida la notifica effettuata dall’Ufficio avvalendosi di indirizzi non ufficiali, poiché ciò non consente assoluta certezza della provenienza dell’atto impugnato, atta a comprovare l’affidabilità giuridica del contenuto dello stesso, profili che devono invece essere entrambi garantiti, a salvaguardia della pienezza del diritto di difesa del contribuente. Ne consegue l’inesistenza giuridica della consegna informatica dell’atto tributario proveniente da indirizzo formalmente non opponibile al contribuente.

Il vizio della notifica inviata attraverso p.e.c. non ufficiale comporta, quindi, una nullità insanabile, essendo minata proprio la certezza circa la sua provenienza, a fronte dell’oggettiva impossibilità di riferire quell’indirizzo all’AdER, non essendo lo stesso rintracciabile in alcun pubblico elenco ufficiale, conseguendone la sua inesistenza e impossibilità di operare la sanatoria ex art. 156 c.p.c. Quanto sin qui osservato trova conferma anche negli ulteriori arresti della giurisprudenza di questa Commissione (oggi Corte di Giustizia), ex multis CTR Lazio, sentenza n. 915/2022, con cui è stato chiarito che la mancata dimostrazione dell’inserimento della casella di posta elettronica erariale nei registri pubblici rende la notifica della cartella originariamente impugnata inesistente e, come tale, non suscettibile di sanatoria. Atteso che all’inesistenza consegue l’impossibilità di operare la sanatoria, escludendo qualsiasi effetto per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c., perché: “utilizzando un indirizzo pec non certificato e non inserito in pubblici registri, il messaggio di posta elettronica difetta di un requisito indispensabile a tal fine, non consentendo al destinatario di essere messo in condizioni di conoscerne il contenuto, senza correre il rischio di essere attaccato da c.d. “Malware.”

Del resto, in linea con l’indirizzo di legittimità, atteso che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17346/2019, ha stabilito che la notifica deve essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici registri. Nel caso di specie, il messaggio pec inviato al contribuente risulta proveniente dal dominio “[email protected]”, del tutto sconosciuto e non presente nei pubblici registri, ove invece quale dominio riferito all’Agenzia delle Entrate Riscossione risulta: “[email protected]” nel registro IndicePA, valevole in materia tributaria e amministrativa (e [email protected] nel registro ReGIndE per le notifiche in materia civile). Infatti, la presenza dell’indirizzo del mittente in uno dei pubblici registri, previsti dalla legge, consente al destinatario la riconoscibilità del mittente, garantendo l’identità e la provenienza del messaggio di posta elettronica. Ancora, più recentemente, con l’ordinanza n. 3093/2020, riprendendo la citata sentenza, la Suprema Corte ha confermato il predetto principio, affermando che “La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi”.

Passando al merito della controversia, la ripresa a tassazione di una ritenuta fiscale operata alla fonte, in relazione al mancato versamento delle ritenute d’acconto del sostituto d’imposta, non può essere addebitata al sostituito, posto che la Suprema Corte, con la pronuncia resa a Sezioni Unite, n. 10387 del 12/4/2019, ha definitivamente sancito l’assenza di un vincolo di solidarietà, nei confronti del Fisco, tra il sostituto e il sostituito. In particolare i giudici di legittimità hanno ribadito il principio, per cui il professionista non può rispondere per l’omesso versamento delle ritenute d’acconto regolarmente effettuate, essendo il sostituto d’imposta l’unico responsabile di detta obbligazione tributaria. Tale pronuncia rammenta che la sostituzione e la solidarietà nell’imposta sono istituti distinti, che il versamento della ritenuta d’acconto costituisce un’obbligazione autonoma rispetto all’imposta, e che essa grava unicamente sul sostituto e trova la sua causa nel corrispondente obbligo di rivalsa.

In conclusione, assorbita ogni altra istanza, l’appello deve essere rigettato. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

La Corte di Giustizia Tributaria di II Grado del Lazio, Sezione 17a, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello. Condanna l’appellante alle spese di giudizio che liquida in euro 1.000,00 oltre accessori di legge, se dovuti.