Corte di Cassazione – Ordinanza n. 4505 del 14 febbraio 2019

ORDINANZA

sul ricorso 10288-2018 proposto da:
(omissis);
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO (omissis),
– controricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso I’AVVOCATURA GENERALE. DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis
– resistente –
avverso la sentenza n. 2920/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 07/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/11 /2018 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Ritenuto che, con ricorso affidato ad un unico motivo, la (omissis) ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Bologna, resa pubblica in data 7 dicembre 2017, che ne rigettava il gravame avverso la decisione del Tribunale della medesima Città che, a sua volta, in accoglimento della domanda proposta dalla Agenzia delle entrate, dichiarava la nullità degli atti di cessione immobiliare intercorsi tra la (omissis) (poi fallita) e la stessa(omissis);
che resiste con controricorso il Fallimento (omissis) e ha depositato “atto di costituzione” fuori termine l’Agenzia delle entrate, mentre non stata evocata in giudizio la (omissis) S.p.A., già appellante insieme alla(omissis);
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale la ricorrente ha depositato memoria;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.
Considerato che il ricorso inammissibile per tardività della sua proposizione (ciò che esime il Collegio dal dare contezza delle ragioni di censura con esso proposte), giacché – come dedotto dallo stesso atto di impugnazione (p. 9) e comunque comprovato in atti (e in Via assorbente rispetto alla proposizione di precedente ricorso notificato e non depositato, come dedotto dalla società controricorrente con la nota dell’11 maggio 2018) -la sentenza di appello stata notificata alla (omissis) il 18/19 dicembre 2017, mentre il ricorso della medesima società stato notificato, via p.e.c., al Fallimento (omissis) e all’Agenzia delle entrate in data 16 marzo 2018, dunque ampiamente oltre il termine di sessanta giorni fissato dall’art. 325, secondo comma, c.p.c.;
che non può disporsi l’integrazione del contraddittorio nei confronti della (omissis) S.p..A., non essendo litisconsorte necessario (giacché non partecipe delle cessioni immobiliari intercorse tra la (omissis) e la(omissis)) ed essendo ormai preclusa l’impugnazione ai sensi dell’art. 332 c.p.c.;
che la memoria di parte ricorrente – la quale, contrariamente a quanto esposto in ricorso, nel quale non si fa questione alcuna sulla validità della notificazione della sentenza e, anzi, ivi si assume avvenuta la notificazione proprio in data 18 dicembre 2017: pp. 9 e 10 – deduce la nullità di detta notificazione (che impedirebbe la decorrenza del termine breve per impugnare), in quanto la p.e.c. conterrebbe solo l’espressione “notificazione ex l. n. 53/1994” e non già quella, ritenuta “obbligatoria”, di “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994” nonché per essere la relazione di notificazione stata trasmessa “in formato docx.p7m” e non in formato “pdf.p7m” oppure in “.pdf’ (come previsto dal combinato disposto degli artt. 19 bis del provvedimento DGSIA 16 aprile 2014 18 del d.m. n. 44 del 2011), tale che il file di detta relazione “non poteva essere aperto” e, comunque, se aperto, avrebbe potuto comportare un rischio per gli standard di sicurezza;
che, non solo il documento allegato alla memoria è inammissibilmente prodotto in mancanza di relativa notificazione ai sensi dell’art. 372, secondo comma, c.p.c., ma, in ogni caso, la sollevata eccezione é manifestamente priva di fondamento;
che, infatti, non soltanto la parte ricorrente ha provveduto ad impugnare la sentenza della Corte di appello di Bologna proprio a seguito della notificazione a mezzo p.e.c. del 18/19 dicembre 2017, senza nulla eccepire In ricorso, ma giova rammentare che l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica – nella specie, in “estensione.doc”, anziché “formato.pdf’ – ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato cosi il raggiungimento dello scopo legale (Cass., SU, n. 7665/2016). Ciò che, per l’appunto, come evidenziato, avvenuto nel caso di specie, li dove, inoltre, risulta del tutto equipollente la dizione “notificazione ex l. n. 53/1994” rispetto a quella, prevista dall’art. 3, comma 4, della citata legge n. 53, di “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994″‘
che in definitiva, la parte ricorrente non adduce uno specifico pregiudizio al diritto di difesa, né l’eventuale difformità tra il testo recapitato telematicamente, sia pure con estensione.doc in luogo del formato.pdf, e quello cartaceo depositato in cancelleria, in contrasto con il principio per cui la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non tutela l’interesse all’astratta del processo, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione (tra le tante, Cass. n. 26831 / 2014);
che il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile e la (omissis) condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, in favore della sola parte controricorrente Fallimento (omissis);
che il ricorso per cassazione proposto malgrado la conoscenza o l’ignoranza gravemente colposa della sua insostenibilità (quale emerge dai rilievi che precedono) fonte di responsabilità dell’impugnante ex art. 385, comma quarto, c.p.c., applicabile nel testo vigente ratione temporis, introdotto dall’art. 13 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e successivamente abrogato dall’art. 46, comma 20, della 18 giugno 2009, n. 69 (Cass. n. 4930/2015, Cass. n. 20732/2016);
che la parte ricorrente va, dunque, condannata di ufficio al pagamento in favore della parte controricorrente, in alle spese di lite, d’una somma equitativamente determinata, come indicata in dispositivo, assumendo a parametro di riferimento l’importo delle spese dovute alla parte vittoriosa per questo grado di giudizio.

PER QUESTI MOTIVI

dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della parte controricorrente, in euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge;
condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, della somma di euro 15.000,00 ai sensi dell’art. 385, comma quarto, c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma I-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Cosi deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, in data 15 novembre 2018.