Corte di giustizia tributaria di I grado di Napoli – Sentenza n. 6168 del 27 aprile 2023

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso inviato in data 23.11.2022 S. P. ha impugnato la cartella di pagamento n. xxxx emessa da Agenzia Entrate Riscossione, notificata in data 7.7.2022, avente ad oggetto il mancato pagamento della Tarsu per gli anni 2014, 2015, 2016, 2017 in favore del comune di Napoli.

La ricorrente ha dedotto l’inesistenza della notifica della cartella esattoriale impugnata in quanto proveniente da un indirizzo pec non ricompreso nei pubblici registri di cui al D.L. 179/2012;

l’omessa notifica di alcun atto prodromico; l’intervenuta decadenza e prescrizione.

Con atti, rispettivamente, del 6.12.2022 e del 23.3.2023 si sono costituiti Agenzia Entrate Riscossione e comune di Napoli, che hanno esposto le ragioni della infondatezza delle eccezioni mosse dal ricorrente, hanno ribadito la legittimità dell’atto impugnato, concludendo, quindi, per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, ovvero il suo rigetto.

Con memoria del 14.4.2023 la ricorrente ha ribadito le eccezioni di cui sopra.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Il comune di Napoli ha prodotto documentazione da cui emerge che, nelle date del 21.1.2019, 21.1.2019, 7.2.2019 e 7.2.2019, sono stati notificati a mezzo posta, rispettivamente, gli avvisi di accertamento n. 42995 (Tari 2014), n. 99251 (Tari 2015), n. 122695 (Tari 2016), e n. 121756 (Tari 2017).

Alcuna prescrizione risulta maturata, atteso l’effetto interruttivo derivante dalla notifica dei citati avvisi di accertamento; ancora, posto che detti avvisi, pur regolarmente notificati, non sono mai stati impugnati, in detta sede le uniche eccezioni che possono essere sollevate devono riguardare eventuali vizi della cartella impugnata.

Con riferimento alla preliminare eccezione sollevata dalla ricorrente, va detto che non può essere accolta la tesi secondo cui le notifiche effettuate da Agenzia Entrate Riscossione a mezzo “pec” non compresa nei pubblici elenchi sono affette da inesistenza. Sul punto, con recente pronuncia, le Sezioni Unite (ordinanza n. 15979 del 2022) hanno statuito che “…va poi respinta l’eccezione di irricevibilità o inammissibilità del ricorso, per via di notifica proveniente da indirizzo di posta elettronica certificata del mittente che, non risultando dai registri PP.AA. del Ministero della Giustizia, inficerebbe di nullità l’atto così spedito, a propria volta non corredato da relata di notifica su documento separato in firma digitale; in realtà, in primo luogo, la relata di notifica del ricorso risulta riferita ad atto, in formato integrale pdf, firmato digitalmente, allegato al messaggio di pec del 9.6.2020, con attestazione di conformità del documento analogico rispetto all’originale in versione informatica; può dunque dirsi integrato il principio, statuito da questa Corte (Cass. 20039/2020, Cass. 6912/2022) per cui la copia analogica della ricevuta di avvenuta consegna, completa di attestazione di conformità, e idonea a certificare l’avvenuto recapito del messaggio e degli allegati, salva la prova contraria, di cui è onerata la parte che sollevi la relativa eccezione, dell’esistenza di errori tecnici riferibili al sistema informatizzato, deduzione e prova non fornite; tale criterio di raggiungimento dello scopo (Cass. S.U. 23620/2018, 7665/2016 e poi Cass. 2961/2021), inoltre, integra l’ulteriore osservazione circa il valore equipollente della provenienza della notifica da indirizzo di posta elettronica istituzionale della Corte dei Conti (procura.qenerale.atticassazione(at)corteconticert.it), rinvenibile nel rispettivo sito (https://www.corteconti.it/home/ricerca) e dunque non incompatibile, anche ai sensi della L. 11 gennaio 1994, n. 53, art. 3bis, comma 1, secondo periodo, e per le sue peculiarità, con la più stringente regola – invocabile peraltro come principio generale nella sola collocazione istituzionale per le prerogative di notifica per gli avvocati – secondo cui la notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi.

Nè vale osservare che, per il D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, art. 16 ter, ricorrerebbe una definizione chiusa di pubblici elenchi, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia giudiziaria con rinvio a quelli previsti dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, artt. 6 bis, 6 quater e 62, dall’art. 16, comma 12, del decreto n. 179 del 2012, dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 16, comma 6, (convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2), nonché per il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia ovvero (ai sensi del comma 1 ter) dell’Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi (D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6 ter,); invero, è fatto obbligo alle amministrazioni aggiornare gli indirizzi dell’Indice, la cui gestione è affidata all’AGID, mentre l’eventuale incompletezza dell’elenco dei domicili digitali costituisce ipotetica ragione di responsabilità dirigenziale (D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 6 ter, comma 3), ma non inficia la regolare provenienza dell’attività notificatoria da indirizzo pec comunque ricompreso tra quelli indicati dall’amministrazione pubblica stessa, così come sarebbe valida la ricezione allo stesso indirizzo pec di atti e comunicazioni da terzi; d’altronde il D.L. n. 179 del 2012, art. 16 ter, comma 1 ter, laddove menziona la pluralità dei domicili digitali per la medesima P.A. nell’elenco tenuto da AGID ai sensi del D.Lgs. n. 82 del 2005, cit. art. 6 ter, (CAD), indica come riferimento di notificazione (passiva) l’indirizzo di posta elettronica certificata primario indicato, secondo le previsioni delle Linee guida di AGID, nella sezione ente dell’amministrazione pubblica destinataria, così conferendo almeno rilevanza ad indirizzi dell’ente pur se non inclusi nel registro.

Al contempo, la maggiore rigidità del sistema delle notifiche digitali, imponendo la notifica esattamente agli indirizzi oggetto di elencazione accessibile e registrata, realizza il principio di elettività della domiciliazione per chi ne sia destinatario, cioè soggetto passivo, associando tale esclusività ad ogni onere di tenuta diligente del proprio casellario, laddove nessuna incertezza si pone invece ove sia il mittente a promuovere la notifica da proprio valido indirizzo pec, come nel caso; infine, e come anticipato, la costituzione del destinatario della notificazione, che abbia dimostrato di essere in grado di svolgere compiutamente le proprie difese (Cass. 2961/2021), sottrae rilevanza all’ipotizzata irregolarità, avendo pienamente la notifica raggiunto lo scopo (Cass. S.U. 23620/2018), senza alcuna incertezza in ordine alla sua provenienza e all’oggetto dell’impugnazione esperita dalla Procura notificante”.

Principio, questo, ribadito dalla stessa Cassazione con la recentissima ordinanza n. 982 del 2023.

Ancora, quanto dedotto nella memoria illustrativa del 14.4.2023 (…con il presente atto si propone formalmente querela di falso avverso gli avvisi di ricevimento relativi alla notificazione degli accertamenti Tari 2014, 2015, 2016 e 2017 depositati dal comune di Napoli, al fine di accertare che la firma apposta sugli stessi non è attribuibile all’avv. P. S….”) non costituisce effettiva proposizione di “querela di falso”, che andava, invece, proposta innanzi al Tribunale civile.

Sul punto, la Cassazione ha più volte stabilito che, in ragione di quanto previsto dall’articolo 39 del D.Lgvo n. 546/1992, il giudice tributario deve sospendere il giudizio dinanzi a esso pendente fino al passaggio in giudicato della decisione in ordine a una querela di falso, perché trattasi di un “accertamento pregiudiziale riservato ad altra giurisdizione, del quale il giudice tributario non può conoscere neppure incidenter tantum”.

Quanto, però, affermato dalla ricorrente impone alla Corte la trasmissione degli atti alla Procura di Napoli, essendo astrattamente ravvisabile la commissione del delitto di falso in atto pubblico (art. 479 cp), a carico di soggetto, allo stato, ignoto.

Al rigetto del ricorso deve seguire la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dei resistenti, che si liquidano in euro 500,00 per ciascuna parte resistente, oltre spese generali nella misura del 15%, Iva e cassa previdenza, se dovuti.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore di Agenzia Entrate Riscossione e comune di Napoli, che si liquidano in euro 500,00 per ciascuna parte resistente, oltre spese generali nella misura del 15%, Iva e cassa previdenza, se dovuti.

Dispone la trasmissione della presente sentenza e di copia dell’intero fascicolo alla Procura di Napoli, per le ragioni indicate in motivazione.