Corte di Cassazione – Sentenza n. 15345 del 31 maggio 2023

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS), dirigente biologa della Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria (di seguito, ASP), ha agito davanti al Tribunale di Locri al fine di ottenere il riconoscimento delle differenze retributive per essere stata preposta, dapprima, alla Struttura Semplice di microbiologia clinica (giugno 2000 – giugno 2001) e, poi, alla Struttura Complessa di Osservatorio Epidemiologico.

La sentenza di primo grado, che aveva accolto integralmente la domanda, e’ stata riformata dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, la quale ha riconosciuto soltanto gli emolumenti (retribuzione di posizione fissa e variabile) per lo svolgimento di fatto delle funzioni di preposta alla Struttura Complessa, con esclusione peraltro dell’indennita’ di esclusivita’ e di quella di Struttura Complessa.

Avverso tale pronuncia la (OMISSIS) ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, resistiti da controricorso della ASP;

2. La causa e’ stata dapprima trattata presso la sezione sesta, che l’ha rimessa alla sezione ordinaria per il rilievo nomofilattico.

E’ in atti memoria difensiva della ricorrente.

CONSIDERATO CHE

1. Il primo motivo di ricorso afferma la nullita’ della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’articolo 111 Cost., nonche’ all’articolo 435 c.p.c. ed alla L. n. 53 del 1994, articolo 1, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto di superare l’eccezione di improcedibilita’ del gravame, pur a seguito di specifica contestazione relativa alla inesistenza della prima notifica del ricorso in appello, tentata per posta mail ordinaria e priva dell’avviso di consegna al destinatario, non generata ne’ generabile da un tale sistema.

Il secondo motivo afferma ancora la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 111 Cost., dell’articolo 6 C.E.D.U., degli articoli 435, 325, 291 e 153 c.p.c., della L. n. 53 del 1994, articolo 1, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4, sotto il duplice profilo della decadenza dell’appello per omessa riattivazione immediata della notificazione del ricorso di appello, nonche’ per l’inefficacia della notificazione autorizzata illegittimamente dalla Corte territoriale.

2. I due motivi, riguardando tematiche contigue, vanno esaminati congiuntamente.

In fatto e’ accaduto che la (OMISSIS) avesse eccepito l’improcedibilita’ dell’appello per esserle stato lo stesso notificato presso la e-mail di posta ordinaria e non nelle forme della posta elettronica certificata. Dalla narrativa del ricorso per cassazione, in se’ coerente con quanto emerge dal provvedimento impugnato e dai restanti atti, risulta che alla prima udienza fissata per la discussione della causa in appello, la ASP, essendo la (OMISSIS) rimasta contumace, chiese rinvio per depositare gli atti relativi alla notificazione.

Ancor prima della successiva udienza, ASP chiese tuttavia l’autorizzazione alla rinnovazione della notificazione, dando atto di avere erroneamente proceduto alla prima notificazione presso la casella di posta ordinaria.

Alla successiva udienza la Corte territoriale ha proceduto dapprima ad acquisire il fascicolo di primo grado, rinviando ad altra ed ulteriore udienza.

In tale udienza la Corte d’Appello ha disposto la rinnovazione della notificazione, eseguita la quale la (OMISSIS) si e’ costituita, facendo precedere le difese nel merito alla menzionata eccezione di improcedibilita’ del gravame.

Quest’ultima eccezione e’ stata pero’ rigettata dalla Corte territoriale, sul presupposto che la notifica fosse stata in quel modo tentata presso l’indirizzo mail dichiarato dal difensore della controparte, che vi era stata “accettazione” da parte del sistema telematico, per quanto poi mancasse la ricevuta di avvenuta consegna e che quindi si trattasse di notifica nulla e non inesistente.

3. Questa S.C. ha gia’ ritenuto che la notificazione eseguita presso la casella e-mail ordinaria sia da ritenere nulla e non inesistente (Euro 17 ottobre 2019, n. 26430) ed il principio va confermato.

E’ vero, come osserva la ricorrente, che, in quell’occasione, risulto’ certa anche l’avvenuta conoscenza della notificazione da parte del destinatario ed in effetti la conseguenza fu che si ritenne ogni nullita’ sanata dall’avvenuto raggiungimento dello scopo.

Tuttavia, l’assunto di base per cui la notificazione presso la casella di posta ordinaria non possa dirsi a priori inesistente, ma soltanto nulla, va ribadito e prescinde dal fatto che poi si sia avuta sanatoria secondo quelle modalita’.

3.1 Deve muoversi in proposito dai principi di fondo stabiliti da C., SU, 14916/2016, secondo cui “l’inesistenza della notificazione… e’ configurabile, in base ai principi di strumentalita’ delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attivita’ priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformita’ dal modello legale nella categoria della nullita’. Tali elementi consistono: a) nell’attivita’ di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilita’ giuridica di compiere detta attivita’, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtu’ dei quali, cioe’, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, cosi’ da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioe’, in definitiva, omessa”. 3.2 Fuori discussione il primo requisito, sussistente stante il fatto che il difensore e’ per legge abilitato alla notificazione telematica, il tema riguarda il secondo dei presupposti sopra evidenziati dal principio di diritto.

Tale principio – muovendosi nella logica che va da un esito in qualche modo positivo (avvenuta consegna purchessia, seppure non rituale) ad un esito certamente negativo (restituzione al mittente) – lascia in qualche modo in ombra i casi in cui non si possa affermare con certezza il ricorrere ne’ dell’una, ne’ dell’altra ipotesi, come avviene in questa sede, in cui non si puo’ dire ne’ che consegna vi sia stata, perche’ occorrerebbe la prova concreta di cio’, ne’ che non vi sia stata, perche’ anche cio’ resta ignoto.

3.3 Deve allora muoversi piu’ a fondo dai ragionamenti che portarono a definire quei principi.

Le S.U. hanno preso le mosse dalla considerazione – le citazioni sono tratte dalla motivazione di quella sentenza – che “l’inesistenza non e’… in senso stretto, un vizio dell’atto piu’ grave della nullita’, poiche’ la dicotomia nullita’/inesistenza va, alla fine, ricondotta alla bipartizione tra l’atto e il non atto” e l’inesistenza ricorre quando si possa dire che non esiste un “”atto”, riconoscibile come “notificazione””, occorrendo risalire agli elementi “sufficienti a integrare la fattispecie legale minima della notificazione, rendendo qualificabile l’attivita’ svolta come atto appartenente al tipo previsto dalla legge”.

In quella sede le S.U. hanno escluso, proprio perche’ una fase di consegna comunque vi era stata, che fosse richiesto, per la riconducibilita’ al tipo della notificazione il requisito del “”collegamento” (o del “riferimento”) tra il luogo della notificazione e il destinatario”, sicche’ il difetto, pur tale da determinare effetti sulla capacita’ comunicativa del procedimento al reale destinatario (la consegna era avvenuta a difensore diverso da quello legittimato e ricevere l’atto) riguardava un “elemento che si colloca fuori del perimetro strutturale della notificazione e la cui assenza…. ricade…. nell’ambito della nullita’”.

Deve muoversi dunque attraverso la ricerca – in ambito di notifica telematica – di quel tratto differenziale che possa consentire di individuare cio’ che stia o meno all’interno del tipo giuridico della “notificazione”, sotto il profilo dell’esistenza di una fase di consegna.

3.4 In tema di notificazione telematica, l’invio presso una casella di posta ordinaria e’ certamente tale da incidere sulla capacita’ comunicativa dell’atto, oltre che sulla possibilita’ stessa di documentare l’avvenuta ricezione, ma cio’ non significa che sia mancata una fase di consegna, di cui sono incerti gli esiti comunicativi ultimi (come lo sono, sotto il profilo degli effetti propri della notificazione, se l’atto sia consegnato a persona non legittimata a riceverlo), ma che non puo’ essere assimilato al caso della mera restituzione al mittente.

Si deve considerare, come ha fatto la Corte territoriale, che la L. n. 53 del 1994, articolo 3-bis individua il momento di perfezionamento della notifica per il mittente in quello della generazione della ricevuta di accettazione ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 68 del 2005, articolo 6, comma 1, e nel caso di specie la sentenza fa leva proprio sul ricorrere di tale presupposto.

E’ vero che l’accettazione, secondo il citato articolo 6, prova soltanto l’avvenuta spedizione di un messaggio di posta elettronica certificata, ma la ricezione del dato telematico da parte del gestore di posta elettronica del mittente, comporta di regola l’avvio altresi’ del flusso telematico verso il destinatario (articolo 5 del medesimo D.P.R.).

La mancanza di quest’ultimo, per il solo fatto che la casella del destinatario cui la comunicazione elettronica venga inviata sia una casella di posta ordinaria, non puo’ del resto essere presunta, anche perche’ la notificazione e’ stata tentata presso una casella che non era per nulla estranea al destinatario stesso, in quanto viceversa quell’indirizzo era stato dal medesimo indicato nei propri atti difensivi.

Non si puo’ allora parlare di notificazione “inesistente”, perche’, a fronte dell’intervenuta accettazione dell’atto da parte del gestore di posta elettronica, non si puo’ presumere il mancato verificarsi del successivo transito telematico di dati verso il destinatario.

Gli esiti di tale transito non sono noti, quanto a contenuto, leggibilita’ o concreta lettura da parte del destinatario, ma, non avendosi contezza di una totale assenza di quel transito di dati telematici, non si puo’ neppure predicarne una totale assenza.

3.5 L’iter non consente di giungere al perfezionamento della notifica con la generazione della ricevuta di avvenuta consegna, la quale soltanto permetterebbe di avere prova del fatto che l’atto e’ pervenuto nella sua completezza e leggibilita’ e con quale datazione e dunque di aver per perfezionata la notifica, ma non si puo’ parlare di notificazione inesistente.

In altre parole, con l’invio a casella e-mail ordinaria vengono a mancare tutti quei sistemi di corredo della certezza della comunicazione che consentono, pur se la mail non sia in concreto letta, di averne per verificati gli effetti legali per il solo fatto che essa sia pervenuta presso l’indirizzo di posta certificata del destinatario.

Quando, con l’invio alla Pec, tali effetti legali si determinano, il destinatario di una comunicazione di posta elettronica non potra’ mai addurre di non avere letto la e-mail, perche’ cio’ non lo sottrarra’ agli effetti che la comunicazione cosi’ eseguita sia destinata a produrre, mentre la notifica su casella di posta ordinaria non produrra’ alcun valido effetto, a meno che in concreto si provi la conoscenza della comunicazione e quindi il raggiungimento dello scopo.

Ne’ vi e’ da discorrere rispetto ad una ricevuta di avvenuta consegna, propria solo della regolare notifica a mezzo Pec e non sostituibile, con validi effetti legali, da eventuali forme meno rigorose di analoga documentazione della posta mail ordinaria.

3.6 Del resto, il vizio notificatorio valorizzato dalle S.U. intercettava un difetto comunicativo che non consentiva di avere per conosciuto l’atto da parte del destinatario, perche’ in mancanza di diversa prova nulla potrebbe far ritenere che la consegna a difensore diverso da quello che avrebbe dovuto ricevere l’atto abbia determinato la piena conoscenza in capo a quest’ultimo.

Non diversamente, l’invio di notifica ad una casella di posta ordinaria del destinatario non permettera’ mai, se non vi sia prova concreta della piena ricezione, di ritenere raggiunto lo scopo comunicativo, ma non puo’ neanche portare ad individuare – a meno di elementi certi in tal senso – la totale assenza di una fase di consegna che porti a collocare l’accaduto al di fuori del perimetro di un atto riconoscibile come appartenente al tipo della “notificazione”.

3.7 Deve quindi affermarsi che, in caso di invio della notificazione con modalita’ telematiche ai sensi della L. n. 53 del 1994, articolo 3-bis da una casella PEC ad una casella di posta elettronica ordinaria del destinatario, la notifica, in presenza di ricevuta di accettazione, sia nulla e non inesistente, non potendosi presumere – salvo prova contraria – la totale assenza di un inoltro telematico di dati preso il destinatario, di cui restano solo incerti gli esiti e dovendosi quindi ritenere sussistente una fase di consegna, seppure non vi sia prova del perfezionamento della notificazione e dunque l’atto non sia in se’ idoneo a raggiungere gli effetti suoi propri.

3.8 In proposito – e in punto di fatto – non e’ vero che la ASP, nel controricorso, riconosca che la propria mail non fosse pervenuta al destinatario.

In quella sede ASP ha affermato infatti, nei passaggi su cui intenderebbe far leva la memoria della (OMISSIS), che all’invio della mail “seguiva la accettazione… ma non gia’ la avvenuta consegna” e che cio’ di cui non vi era prova era solo la “avvenuta consegna al destinatario”, il che sta solo a significare – come e’ pacifico – la mancanza di prova di tale avvenuta consegna quale elemento di perfezionamento pieno della fattispecie notificatoria, ma non sta certo a significare o a provare che la e-mail non fosse stata trasmessa in qualche modo alla casella di posta ordinaria del destinatario.

Cosi’ come non prova alcunche’ il solo fatto che sia mancata la generazione della ricevuta di consegna, perche’ cio’ attesta soltanto l’impossibilita’ del sistema Pec di certificare un’avvenuta consegna, ma non che non vi fosse stato un “flusso” telematico verso la casella di posta ordinaria del destinatario.

E’ dunque insufficiente il richiamo della ricorrente al fatto che la ASP avrebbe ricevuto “un avviso di errore, prudentemente non depositato in atti, che la consegna era fallita posto che non era stata generata la ricevuta di consegna”, perche’ un avviso di esito non compiuto della notifica per mancanza di ricevuta di consegna in se’ significa solo che appunto la comunicazione via Pec non si e’ perfezionata per mancanza di quell’elemento, ma non necessariamente attesta, come detto, che non vi fosse stato un “flusso” telematico presso la casella e-mail del destinatario, cosa in se’ diversa.

Ne resta insuperata l’affermazione della Corte territoriale secondo cui, escluso un rilievo in se’ a tal fine della mancanza di ricevuta di consegna, manca “la comunicazione ad ASP dell’esito negativo della notifica”, nel senso di una prova che proprio nulla fosse stato trasmesso al destinatario.

Solo tale prova escluderebbe infatti – per i principi desumibili dalle S.U. e per quanto sopra detto – la riconducibilita’ dell’atto al tipo “notificazione”, ma il ricorrere di tale fattispecie ultima non puo’ essere qui affermato.

3.9 In presenza di nullita’, la rinnovazione della notifica autorizzata dalla Corte di merito sana ogni vizio nell’introduzione del gravame, ai sensi dell’articolo 291 c.p.c. (v. per il principio Cass. 8 marzo 2017, n. 5853, nonche’ Cass. 17 aprile 2018, n. 9404; Cass. 28 agosto 2013, n. 19818), in quanto solo nel caso di inesistenza il notificante e’ tenuto ad attivarsi nei termini di cui a Cass., S.U., 15 luglio 2016, n. 14594.

4. Il terzo motivo adduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 342 e 434 c.p.c., nonche’ dell’articolo 324 c.p.c. e articolo 2909 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, con nullita’ della sentenza per inammissibilita’ dell’appello, in quanto generico e conseguente passaggio in giudicato delle statuizioni non specificamente criticate. Si devono intanto richiamare gli approdi cui e’ pervenuta questa S.C. nell’interpretare gli articoli 343 e 434 c.p.c., quali modificati nel 2012, essendosi in proposito precisato che “l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilita’, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversita’ rispetto alle impugnazioni a critica vincolata” (C., S.U., 16 novembre 2017, n. 27199).

Cio’ posto, la Corte d’Appello ha dapprima ritenuto ininfluenti alcune parti dell’atto di gravame, perche’ “di contenuto didascalico” e prive “di specifica censura” rispetto al ragionamento del Tribunale, oltre che afferenti a questioni pacifiche e tale parte della motivazione di secondo grado e’ chiaramente qui priva di rilievo.

La Corte territoriale di seguito ha ricostruito le censure successivamente sviluppate dalla ASP individuandole, tra le altre:

– nel fatto che la (OMISSIS) non avesse ricevuto un incarico di Struttura Semplice e “si intuisce nel prosieguo” a maggior ragione di Struttura Complessa, secondo le modalita’ previste dal Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 15-septies ed anche perche’ l’atto aziendale non prevedeva ne’ strutture semplici ne’ complesse quali quelle indicate dalla lavoratrice;

– nel fatto che i “moduli” non avevano comunque le caratteristiche previste dall’articolo 27 del CCNL 8 giugno 2000, non trattandosi di articolazioni interne cui fosse attribuita la responsabilita’ di gestione di risorse umane, tecniche e finanziarie;

– nel fatto che al dirigente potevano riconoscersi emolumenti solo per il periodo di effettiva prestazione.

D’altra parte, lo stesso motivo di ricorso assume che la ASP avrebbe sostenuto in appello “che dalla documentazione offerta non risulterebbe che la (OMISSIS) abbia ricevuto un incarico di struttura semplice secondo le modalita’ previste dal Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 15-septies” (ricorso per cassazione, punto 3.3.2) e che “solo l’atto aziendale puo’ prevedere e fissare le unita’ semplici e complesse della azienda sanitaria” (punto 3.3.4) ed ancora che “sulla base della determina 463/2010 risulterebbe sconfessata la direzione di struttura complessa ed il connesso diritto alla retribuzione, non essendo in detto atto alcun riferimento di essa, ne’ comunque esisterebbe la prova della riferibilita’ ad essa” (punto 3.3.8).

Gli elementi di cui sopra, quali esposti dalla Corte di merito e nel ricorso per cassazione – in modo in parte qua tra loro sostanzialmente coerente – erano del tutto idonei a riaprire in appello il tema della natura delle strutture, con richiamo ad elementi normativi (articolo 15-septies; rilievo dell’atto aziendale) e probatori (effettiva sussistenza di una preposizione a Struttura Complessa, anche sulla base di atti sopravvenuti) e quindi a realizzare l’effetto devolutivo al secondo grado delle questioni in ordine alla natura delle strutture di adibizione ed alla prova della preposizione ad esse.

Profili che sono poi quelli su cui si e’ sviluppata l’argomentazione in fatto e diritto della sentenza di secondo grado, sicche’ il motivo e’ da ritenere infondato.

5. Il quarto motivo afferma la violazione e falsa applicazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 in relazione al Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 3, commi 1-bis e 15-ter introdotti con Decreto Legislativo n. 229 del 1999, al Decreto del Presidente della Repubblica n. 384 del 1990, articoli 47 e 116 con riferimento all’incarico di dirigente di Struttura Complessa.

La Corte territoriale ha ritenuto che la preposizione della (OMISSIS) alla Struttura Complessa fosse avvenuta senza alcuna selezione, in violazione del Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 15-ter, e fosse dunque nulla, sicche’ potevano solo riconoscersi, ai sensi dell’articolo 2126 c.c., le retribuzioni riconnesse allo svolgimento di fatto della corrispondente attivita’.

Il motivo di ricorso afferma che la selezione prevista dalla normativa non integrerebbe un “concorso in senso tecnico”, essendo essa destinata a sfociare in una scelta fiduciaria e che la validita’ dell’atto di conferimento dovrebbe essere valutata solo secondo il diritto privato, sicche’ l’eventuale inosservanza dei principi di correttezza e buona fede poteva giustificare una pretesa risarcitoria e non l’accertamento della nullita’ della nomina.

5.1 il motivo e’ infondato.

Qui non viene in gioco la violazione di criteri di buona fede oggettiva o correttezza nello svolgimento della procedura di scelta del preposto alla Struttura Complessa, criteri in ipotesi destinati ad integrare le norme destinate alla regolazione di tale scelta, ma la diretta violazione della legge per mancato espletamento della procedura selettiva imposta dalle norme stesse.

La violazione di legge e’ dunque radicale e non consente di ritenere che da essa non scaturisca la nullita’ dell’incarico ciononostante attribuito.

Il solo rimedio risarcitorio, che concerne eventuali violazioni dei criteri di buona fede e correttezza (C., S.U., 15764/2011; Euro 6594/2018) non vale rispetto a violazioni di legge, che qui non riguardano poi le modalita’ di conduzione della selezione (v. Euro 6594 cit., in un caso in cui era stato ammesso alla selezione un concorrente che non avrebbe potuto partecipare), ma addirittura il fatto stesso dello svolgimento di una selezione secondo una procedura pur sommariamente delineata dalla norma.

E’ pertanto fuori di dubbio che la radicale divergenza rispetto all’impostazione legale del criterio di scelta, da attuare mediante selezione e non de plano, sia ragione di nullita’ (virtuale) per violazione di norme imperative ex articolo 1418 c.c.;

D’altra parte, va aggiunto, una volta devoluto in appello il tema della natura delle unita’ rispetto alla cui direzione venivano rivendicate differenze retributive, non vi e’ alcun dubbio che la Corte di merito potesse apprezzare i profili di nullita’ della nomina, trattandosi palesemente di questioni rilevabili d’ufficio ai sensi dell’articolo 1418 c.c.;

6. Ragioni di concomitanza logica giustificano l’immediata e consequenziale disamina del sesto motivo di ricorso, rubricato come “violazione e falsa applicazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’articolo 27, comma 11 e articolo 43 CCNL 8 giugno 2000” per avere la Corte territoriale negato l’indennita’ di esclusivita’ per mancanza del presupposto legittimante, nonche’ “in relazione all’articolo 41″ del medesimo CCNL per essersi negata l’indennita’ di struttura complessa per mancanza di un valido contratto”;

6.1 Il primo profilo (indennita’ di esclusivita’) e’ argomentato sul presupposto che la norma collettiva consentirebbe l’attribuzione degli incarichi di Struttura Semplice e Complessa solo a dirigenti con rapporto di lavoro esclusivo.

Il ragionamento impugnatorio e’ insufficiente, in quanto la Corte territoriale ha rilevato come la ricorrente non avesse provato il “titolo legittimante, che ha natura manifestamente diversa e indipendente dall’incarico”, nel senso che era mancata la dimostrazione dell’esercizio in via esclusiva delle mansioni di preposto ad una Struttura Complessa, in se’ non insito nel conferimento, per giunta radicalmente invalido, dell’incarico e su tale profilo fattuale, il motivo nulla adduce.

E’ indubbio che, sul piano normativo, fino alla modifica del Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 15-quater, comma 4, ad opera del Decreto Legge n. 81 del 2004 conv. con mod. in L. n. 138 del 2004, il rapporto dei dirigenti di struttura fosse necessariamente di tipo “esclusivo” e che solo da allora l’assetto giuridico sul punto e’ mutato.

Tuttavia, il ragionamento fattuale della Corte territoriale, nel senso che manca prova dell’esercizio esclusivo, resta e non vi e’ dubbio che non puo’ riconoscersi ai sensi dell’articolo 2126 c.c. un’indennita’ di esclusivita’ se manca, come afferma la sentenza di appello, l’esercizio in via esclusiva dell’attivita’ interna all’ente.

6.2 Il secondo profilo (indennita’ di Struttura Complessa) e’ invece fondato.

Premesso che e’ accertata l’intervenuta assegnazione della ricorrente a capo di Struttura Complessa, per quanto invalida, per effetto dell’articolo 2126 c.c. sono inevitabilmente dovute le remunerazioni proprie dell’incarico quale concretamente svolto.

Ne’ ha rilievo il fatto, evidenziato dalla sentenza impugnata, che siano da riconoscere e siano stati riconosciuti i compensi di posizione, perche’ l’articolo 40 del CCNL 8.6.2000 (normativo 1998-2001/economico 1998/1999) prevede che l’indennita’ di Struttura sia da attribuire “oltre alla retribuzione di posizione”.

7. Si puo’ infine esaminare il quinto motivo di ricorso;

Con esso si adduce la “violazione e falsa applicazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 in relazione al t.u. n. 502 del 1992, articolo 3, comma 1-bis ed articolo 15-ter nonche’ in relazione al Decreto Legislativo n. 229 del 1999, alla Legge Regionale Calabria n. 11 del 2004, articolo 7, all’articolo 27, comma 7, CCNL 1998/2001 in ordine alla istituzione di struttura semplice e al conferimento del relativo incarico di dirigente”.

Sul punto, la Corte territoriale ha sviluppato una motivazione articolata.

Premesso che il contendere ruota attorno a due delibere del Direttore Generale, una del 1999 (D.D.G. 526) e l’altra del 2000 (D.D.G. 679), la prima di esse (D.D.G. 526) – si legge nella sentenza – indicava di avere assegnato la (OMISSIS) ad un “settore complesso…. con direzione di struttura”.

La seconda Delib. (D.D.G. n. 679) aveva invece istituito l’unita’ organizzativa transmurale di microbiologia, articolandola in due strutture semplici, di cui una affidata alla (OMISSIS).

Secondo la Corte territoriale, rispetto all’attribuzione dell’incarico di Struttura di cui alla D.D.G. n. 526, mancherebbe intanto la prova dello svolgimento della selezione, quest’ultima essendo gia’ richiesta in allora dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 384 del 1990.

Rispetto all’attribuzione di cui alla D.D.G. n. 679, la Corte di merito evidenzia invece come all’epoca fosse gia’ in vigore del Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 3, il comma 1-bis introdotto dal Decreto Legislativo n. 229 del 1999, che subordinava l’istituzione delle strutture ed il conferimento degli incarichi alla previa formazione dell’atto aziendale di organizzazione dell’ente, della cui esistenza era mancata la prova.

Rispetto ad entrambe le D.D.G. la Corte territoriale, affrontando il tema sotto il profilo dell’eventuale rilievo da attribuire all’esercizio di fatto delle funzioni, ha ritenuto comunque non provato che i moduli di cui ai D.D.G. 1999 e 2000 avessero le caratteristiche della Struttura Semplice, avendo i testimoni riferito solo relativamente all’attivita’ svolta successivamente dalla (OMISSIS) presso la Struttura Complessa, cosi’ come a tale successivo periodo si riferiva la documentazione prodotta.

Il collegio ritiene che quanto alla base di quest’ultima ratio decidendi resista alle critiche mosse con il motivo di ricorso;

La Corte territoriale prende infatti atto che le D.D.G. facevano riferimento a moduli in essere indicati quali strutture semplici, ma, per quanto qui interessa, in sostanza nega che l’esprimersi in tal senso delle D.D.G. fosse sufficiente a identificare come tali quelle articolazioni, per carenza di prova dei necessari elementi individuativi.

Da questo punto di vista, il motivo di ricorso prende posizione rispetto alla D.D.G. 679, affermando che con essa il Direttore Generale aveva costituito le due strutture semplici, di cui una attribuita alla (OMISSIS), come all’epoca poteva fare, visto che la Regione Calabria aveva dato attuazione al Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 3, comma 1-bis, quale introdotto dal Decreto Legislativo n. 229 del 1999, solo con Legge Regionale n. 11 del 2004.

Il motivo, cosi’ come la memoria che fa un mero rinvio ad esso, invece non replica, se non in modo del tutto insufficiente, alla ratio decidendi della Corte d’Appello, secondo cui, pur rivendicandosi le retribuzioni del preposto ad una Struttura Semplice, mancavano gli elementi fattuali idonei a suffragare una tale natura della Struttura stessa, a cio’ non bastando (v. analogamente, rispetto ad una Struttura Complessa, Euro 2584/2009) le mere affermazioni in tal senso della D.D.G., ne’ il solo fatto in se’ che la ricorrente operasse in un’articolazione della Struttura Complessa.

E’ infatti indubbio che, anche all’epoca (v. ad es. Legge Regionale Calabria 2/1996, in relazione al Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 3, comma 5), l’individuazione di un’articolazione come Struttura imponesse elementi di autonomia, ad es. quanto a obiettivi, budget e relative responsabilita’.

L’argomentazione della Corte d’Appello in ordine alla mancanza di prova dell’effettivo trattarsi di una Struttura Semplice risulta assorbente di ogni altro ragionamento e quindi il motivo va disatteso.

8. In definitiva, resta accolto soltanto il sesto motivo di ricorso, limitatamente a quanto indicato al punto 6.2 e cio’ comporta la cassazione, su tale aspetto, della sentenza impugnata, con rinvio alla medesima Corte d’Appello, in diversa composizione, per la definizione di tale profilo.

P.Q.M.

La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il sesto motivo, rigettando nel resto il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo per come accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.