Corte di Cassazione – Ordinanza n. 35022 del 29 novembre 2022

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato ai sensi dell’articolo 143 c.p.c. l’avv. (OMISSIS) convenne in giudizio il sig. (OMISSIS) in qualita’ di liquidatore della societa’ (OMISSIS) s.r.l., per sentirlo condannare al risarcimento del danno ex articolo 2941 c.c., (rectius, articolo 2491), u.c., in ragione del credito vantato dall’attore nei confronti della societa’ in liquidazione.

2. Espose l’attore di essere creditore della societa’ in liquidazione per la somma di Euro 26.599,78 e di aver inutilmente esperito l’azione esecutiva presso terzi; agi’, pertanto, per l’accertamento della responsabilita’ personale del liquidatore per aver provveduto allo scioglimento e alla cancellazione della societa’ dal Registro delle Imprese senza aver preventivamente provveduto al pagamento del credito del (OMISSIS), avendogli reso in tal modo impossibile il recupero del credito dalla societa’ estinta.

3. Il convenuto rimase contumace.

4. Il Tribunale di Venezia, in accoglimento della domanda attorea, accerto’ con la sentenza n. 567/2017 la sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 2495 c.c. in relazione all’articolo 2491 c.c., u.c., ritenendo che il liquidatore, gia’ socio e amministratore unico della societa’ debitrice, non potesse non essere a conoscenza dell’esposizione debitoria della societa’ verso l’attore al momento della richiesta della cancellazione dal Registro delle Imprese. Per l’effetto, condanno’ il sig. (OMISSIS) al pagamento della somma di Euro 26.599,78 oltre interessi legali ed al rimborso delle spese di lite.

5.Avverso tale decisione ha proposto appello l’ (OMISSIS), deducendo preliminarmente la nullita’ della notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado nonche’ della sentenza di primo grado e, nel merito, l’assenza di responsabilita’ in capo al liquidatore medesimo con riferimento alla cancellazione della societa’ debitrice dal registro delle imprese.

6.La Corte di Appello di Venezia, con sentenza n. 2117/2019, pubblicata il 23.5.2019, notificata il 30.5.2019, qui impugnata, ha dichiarato la nullita’ della notificazione della sentenza n. 567/2017 munita della formula esecutiva e del contestuale atto di precetto, nonche’ della notifica dell’atto di citazione di primo grado e degli atti conseguenti. Per l’effetto, ha rimesso la causa avanti al Tribunale di Venezia.

7.L’avv. (OMISSIS) propone ricorso per cassazione notificato il 24 luglio 2019, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso illustrato da memoria il sig. (OMISSIS). La trattazione del ricorso e’ stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c.

Il Pubblico Ministero non ha presentato conclusioni scritte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Preliminarmente, il controricorrente deduce l’inammissibilita’ del ricorso, per violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3, ovvero per mancanza della sommaria esposizione dei fatti di causa, segnalando che il ricorrente non ne elabora una propria, autonoma ricostruzione, ma si limita a riportare testualmente la parte di esposizione dedicata al fatto contenuta nella sentenza di appello.

2. Il controricorrente eccepisce inoltre, in via preliminare, l’inammissibilita’ del ricorso per violazione dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, per omessa indicazione degli atti e dei documenti su cui si fonda il ricorso.

3. Con il primo motivo di ricorso, prospettando la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’articolo 143 c.p.c., il ricorrente censura la gravata decisione nella parte in cui ha ritenuto non rispettose dei precetti normativi tanto la notificazione ex articolo 143 c.p.c. della sentenza di primo grado in forma esecutiva e dell’atto di precetto, quanto la notificazione, anch’ essa eseguita ai sensi dell’articolo 143 c.p.c., dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado. Sottolinea, in particolare, l’adeguatezza delle ricerche svolte al fine di reperire le informazioni relative alla residenza, al domicilio ed alla dimora del convenuto, avuto riguardo al criterio dell’ordinaria diligenza richiesta al notificante valutata in relazione ai parametri di normalita’ e buona fede di cui all’articolo 1147 c.c., avendo richiesto, e poi fornito all’ufficiale giudiziario, il certificato di residenza dell’ (OMISSIS), indicante la sua ultima residenza conosciuta, ed avendo l’ufficiale giudiziario ivi tentato la notifica, non giunta a buon fine in quanto il destinatario risultava trasferito, nonche’ acquisito informazioni dai vicini, delle quali aveva verbalizzato l’esito negativo, in ordine al luogo di trasferimento del destinatario (v. pag. 12 del ricorso), e solo dopo il compimento di tali adempimenti avendo provveduto ad eseguire la notifica ex articolo 143 c.p.c..

Precisa, altresi’, che il rapporto professionale pregresso tra le parti, cessato molti anni addietro, non puo’ essere considerato indice della possibilita’ di effettuare ricerche maggiormente accurate atteso il lungo periodo intercorso tra la cessazione del rapporto professionale e l’avvio del procedimento.

Evidenzia, parimenti, che il fatto che il ricorrente avesse proceduto a costituire in pegno le quote sociali della societa’ di cui il resistente risultava amministratore unico ed unico socio e che quest’ultimo avesse attivato il servizio “seguimi” di Poste Italiane a nulla rileva ai fini della corretta individuazione della sua effettiva dimora o domicilio.

4. Con il secondo motivo, prospettando la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli articoli 326 e 327 c.p.c., il ricorrente si duole della tardivita’ dell’appello, notificato in data 25.9.2017, a fronte della notifica della sentenza di primo grado avvenuta ex articolo 143 c.p.c. il 30.5.2017, oltre il termine breve di impugnazione di cui all’articolo 325 c.p.c. ed in ogni caso, oltre il termine lungo di sei mesi di cui all’articolo 327 c.p.c., erroneamente indicato in un anno dalla Corte di Appello di Venezia.

5. Il rilievo relativo alla violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3, per omissione della sommaria esposizione dei fatti di causa, e’ infondato.

Non puo’ ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione che, in luogo di formulare una autonoma ricostruzione dei fatti di causa, ai fini della sommaria esposizione di essi, riproduca l’esposizione in fatto contenuta nella sentenza d’appello laddove, come nella specie, essa sia funzionale all’uso cui la esposizione sommaria e’ destinata, ovvero se la predetta esposizione dei fatti non e’ sovrabbondante ed e’ sufficientemente chiara allo scopo di ricostruire la vicenda processuale.

6.Il rilevo preliminare denunciante l’omessa indicazione degli atti e documenti su cui si fonda il ricorso e della loro collocazione, deve ritenersi privo di pregnanza, per le ragioni che seguono.

Il primo motivo di ricorso e’ volto in principalita’ a censurare la decisione della corte territoriale in ordine alla tempestivita’ dell’appello, in quanto l’appello proposto e’ stato ritenuto tempestivo sul presupposto che la notifica della sentenza di primo grado fosse invalida.

L’esposizione in fatto contenuta nella sentenza impugnata, riprodotta – legittimamente, come si e’ detto – nel ricorso, consente di esaminare il motivo senza aver bisogno di esaminare la relata di notifica della sentenza unitamente al precetto, in quanto dalla testuale riproduzione della esposizione in fatto del provvedimento impugnato emerge che la prospettazione della nullita’ sia della notificazione della citazione sia della nullita’ della notificazione della sentenza di primo grado era stata fatta dalla parte qui resistente adducendo che “le minimali informazioni assunte dall’Ufficiale giudiziario all’atto delle notifiche ex articolo 143 c.p.c. non appaiono soddisfare il criterio di normale diligenza alla luce, etc.”.

La corte d’appello ha dunque giudicato sulla base di una prospettazione in fatto che presupponeva l’avvenuta notifica della sentenza (ed anche della citazione: questione, peraltro, che la sentenza esamina negli stessi termini solo a pag. 14, per rilevare la nullita’ della notificazione della citazione) ai sensi dell’articolo 143 c.p.c., sulla base di informazioni assunte dall’Ufficiale Giudiziario, sebbene prospettate come “minimali”. Quella corte ha dunque giudicato della validita’ delle notifiche effettuate ai sensi dell’articolo 143 c.p.c. in una situazione in cui l’Ufficiale Giudiziario si era recato nella localita’ di ultima residenza del destinatario, aveva tentato la notifica, aveva riscontrato che il destinatario non abitava piu’ sul posto ed aveva effettuato delle ricerche in loco, per appurare il luogo di trasferimento. Aveva dunque svolto adeguatamente il suo compito, ne’ la notifica, successivamente effettuata ex articolo 143 c.p.c. poteva ritenersi invalida.

Il primo motivo e’ fondato, non avendo la corte di merito fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale “Il ricorso alle formalita’ di notificazione previste dall’articolo 143 c.p.c. per le persone irreperibili non puo’ essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto la invalidita’ di una notificazione ex articolo 143 c.p.c. la cui relata recava la mera indicazione di “vane ricerche eseguite sul posto” dall’ufficiale giudiziario, senza la specificazione delle concrete attivita’ a tal fine compiute)” (Cass. n. 40467 del 2021).

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, ai fini della notificazione ex articolo 143 c.p.c., l’ufficiale giudiziario, ove non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, e’ tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullita’ della notificazione (Cass. n. 8638 del 2017). Il ricorso alle formalita’ di notificazione di cui all’articolo 143 c.p.c., per le persone irreperibili, non puo’ essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto (Cass. n. 24107 del 2016), il che val quanto dire, come affermato da Cass. n. 18385 del 2003, che “l’ufficiale giudiziario debba comunque preliminarmente concretamente accedere nel luogo di ultima residenza nota, al fine fra l’altro – di attingere, anche nell’ipotesi di riscontrata assenza di addetti o incaricati alla ricezione della notifica, comunque eventuali notizie utili in ordine alla residenza attuale del destinatario della notificazione.

La notifica della sentenza di primo grado doveva ritenersi regolarmente eseguita, alla luce dei principi che precedono. Il primo motivo che in realta’ si occupa solo della notifica della sentenza quanto alla motivazione anche critica e’ pertanto fondato.

Dall’accoglimento del primo motivo discende l’assorbimento del secondo, nonche’ ai sensi dell’articolo 382 c.p.c., la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, in quanto l’appello, notificato in data 25.9.2017 avverso la sentenza notificata in data 30 maggio 2017, era tardivo, essendo stato notificato ampiamente oltre il termine breve di trenta giorni fissato dall’articolo 325 c.p.c..

Le spese di lite, del giudizio di legittimita’ e del giudizio di appello, seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa senza rinvio la sentenza impugnata.

Pone le spese di lite a carico del controricorrente e le liquida, quanto al giudizio di appello, in Euro 3.000,00 oltre 200,00 per esborsi, e quanto al giudizio di legittimita’ in Euro 4.200,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali, iva ed accessori.