Corte di Cassazione – Ordinanza n. 24969 del 10 ottobre 2018

ORDINANZA

sul ricorso 14610-2016 proposto da:

(OMISSIS);
– ricorrente –

contro

COMUNE di SESTO FIORENTINO, in persona del Commissario straordinario pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS), dell’Avvocatura comunale, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 4194/2015 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata il 26/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/05/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

In data 27.7.2009 veniva notificato ad (OMISSIS) l’accertamento n. (OMISSIS), di violazione dell’articolo 146 C.d.S. (passaggio con semaforo rosso), in data (OMISSIS), mediante rilevamento automatico da postazione fissa; in particolare, la sanzione comminata era pari ad Euro 150,00, oltre Euro 10,15 per spese di notifica, per un totale di Euro 160,15, con la sanzione accessoria della decurtazione di punti 6 dalla patente di guida.

Con ricorso al Giudice di Pace di Firenze, depositato in data 10.11.2009, (OMISSIS) si opponeva al suddetto verbale di accertamento.

Si costituiva il Comune di Sesto Fiorentino chiedendo il rigetto dell’opposizione e la conferma del verbale opposto.

Con sentenza depositata il 19.1.2011, il Giudice di Pace di Firenze rigettava il ricorso confermando il verbale di accertamento e la sanzione pecuniaria nel minimo edittale, con compensazione delle spese.

Avverso detta sentenza, mai notificata, (OMISSIS) proponeva appello innanzi al Tribunale di Firenze, chiedendo che fosse dichiarata estinta l’obbligazione di pagamento della sanzione per mancata valida notifica nel termine di 150 giorni dall’accertamento e/o per l’inutilizzabilita’ dei dati comunicati e/o trattati in violazione del Decreto Legislativo n. 196 del 2003.

Si costituiva in giudizio il Comune di Sesto Fiorentino, il quale chiedeva di rigettare l’appello in quanto infondato, confermando la legittimita’ del verbale opposto.

Con sentenza n. 4194/2015, depositata il 26.11.2105, il Tribunale di Firenze rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese di lite.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione (OMISSIS) sulla base di tre motivi: cui resiste con controricorso il Comune di Sesto Fiorentino, che a sua vota propone ricorso incidentale sulla base di altrettanti motivi. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Vanno innanzitutto esaminati i motivi del ricorso incidentale, proposto dal controricorrente Comune di Sesto Fiorentino, per il loro carattere pregiudiziale.

2.1. – Con il primo motivo di ricorso incidentale, il controricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione dell’articolo 345 (articolo 360 c.p.c., n. 3) e omesso esame di un fatto decisivo del giudizio (articolo 360 c.p.c., n. 5), in relazione all’eccezione di inammissibilita’ del ricorso in opposizione, in quanto tardivo”, poiche’ la notifica del verbale, ai sensi della L. n. 890 del 1982, articolo 8 si sarebbe perfezionata in data 14.7.2009, ovvero decorsi 10 giorni dalla data di spedizione della raccomandata e non dalla data di ritiro del piego, il 27.7.2009; con conseguente l’inammissibilita’ del ricorso in opposizione in quanto tardivo.

2.2. – Con il secondo motivo di ricorso incidentale, il controricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’articolo 345 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3) e omesso esame di un fatto decisivo del giudizio (articolo 360 c.p.c., n. 5), in relazione all’eccezione di inammissibilita’ ai sensi dell’articolo 345 c.p.c. della censura relativa alla violazione del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 30, comma 2, in quanto proposta per la prima volta in grado di appello”, riguardante la asserita natura di dati sensibili delle circostanze di tempo e al tipo delle violazioni contestate.

2.3. – Con il terzo motivo di ricorso incidentale, il controricorrente denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’articolo 345 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3) e omesso esame di un fatto decisivo del giudizio (articolo 360 c.p.c., n. 5), in relazione alla censura relativa alla presunta falsita’ del contenuto della relata di notificazione, in quanto proposta per la prima volta in appello. Inammissibilita’ della censura in quanto l’appellante non ha promosso giudizio di querela di falso”.

3. – I motivi, proposti in via incidentale dal controricorrente, vanno congiuntamente decisi in quanto tra loro connessi, nonche’ formulati in maniera identica.

3.1. – Essi sono inammissibili per la medesima ragione.

3.2. – Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – e’ segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).

Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’articolo 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilita’, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare essa il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di “errori di diritto” individuati (come nella specie) per mezzo della sola preliminare indicazione della norma pretesamente violata, ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).

Il controllo affidato alla Corte non equivale, dunque, alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che cio’ si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimita’ (Cass. n. 20012 del 2014; richiamata anche dal Cass. n. 25332 del 2014).

3.3. – D’altro canto, neppure la mera denuncia di “omesso esame di un fatto decisivo del giudizio” risulta riconducibile al modello introdotto dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella nuova formulazione adottata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis anche alla sentenza di appello in esame.

Prevede, infatti, il nuovo testo che la sentenza puo’ essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”. Orbene e’ noto come, secondo le Sezioni Unite (n. 8053 e n. 8054 del 2014), la norma consenta di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioe’, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il controricorrente avrebbe dovuto specificamente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma della enucleazione di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde poter procedere all’esame del denunciato parametro, non v’e’ traccia. Sicche’, alla luce del sopra richiamato consolidato indirizzo giurisprudenziale, riguardante la piu’ angusta latitudine della nuova formulazione rispetto al previgente vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, le censure mosse in riferimento al parametro di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 si risolvono, in buona sostanza, nella richiesta generale e generica al giudice di legittimita’ di una (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento in parte qua della sentenza impugnata (Cass. n. 1885 del 2018).

4. – Con il primo motivo di ricorso principale, si lamenta la “violazione articoli 352 e/o 439 c.p.c. – Violazione del diritto di difesa. Nullita’ del procedimento e/o della sentenza (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”. Il ricorrente sottolinea che alla presente controversia non e’ ratione temporis applicabile il rito del lavoro e che pertanto essa doveva essere trattata con il rito ordinario che, all’articolo 352 c.p.c., prevede che il Giudice disponga lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, il che nella presente fattispecie non e’ avvenuto. Secondo l’orientamento giurisprudenziale del Supremo Collegio, nel procedimento d’appello davanti al Tribunale, in composizione monocratica, non si puo’ procedere alla discussione orale della causa se una delle parti richieda di disporre lo scambio delle conclusionali, essendo tenuto il Giudice, per espressa previsione dell’articolo 352, u.c. c.p.c., a provvedere a tale adempimento e a fissare una nuova udienza di discussione, a pena di nullita’ della sentenza per violazione del diritto di difesa (Cass. n. 6205/2009; n. 21216/2011).

4.1. – Il motivo non e’ fondato.

4.2. – Inapplicabile essendo, ratione temporis, il rito del lavoro (ai sensi del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, in vigore dal 6.10.2011) al processo in esame in cui la citazione in appello si e’ avuta il 20.7.2011, va ritenuto che la mancata assegnazione del termine per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica non e’ di per se’ causa di nullita’ della sentenza, in quanto, a fronte della necessita’ di garantire il contenimento dei tempi processuali, e’ indispensabile che venga data dimostrazione del fatto che la particolare conduzione del processo abbia prodotto in concreto una lesione del diritto di difesa (v., altresi’, Cass. n. 7086 del 2015). Pertanto, la parte deve dimostrare che l’impossibilita’ di assolvere all’onere del deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ha impedito alla difesa di svolgere ulteriori e rilevanti aggiunte o specificazioni a sostegno delle proprie domande e/o eccezioni rispetto a quanto gia’ indicato nelle precedenti fasi del giudizio (Cass. n. 4020 del 2006; conf. Cass. n. 17133 del 2003).

Al richiamo del ricorrente alle sentenze – secondo le quali, se una delle parti richieda, all’udienza di discussione, di disporre lo scambio delle conclusionali ai sensi dell’articolo 190 c.p.c., il giudice e’ tenuto, per espressa previsione dell’articolo 352 c.p.c., u.c., a provvedere a tale adempimento e a fissare una nuova udienza di discussione nel termine previsto dalla norma, a pena di nullita’ della sentenza per violazione del diritto di difesa (Cass. n. 6205 del 2009; conf. Cass. n. 21216 del 2011) – si contrappone la diversa affermazione, che questo Collegio intende seguire (in quanto trova un sicuro ancoraggio costituzionale nel principio della ragionevole durata del processo), per la quale, “la decisione prima della scadenza dei termini di cui all’articolo 190 c.p.c. non e’, di per se’, motivo di nullita’ della sentenza, essendo indispensabile, perche’ possa dirsi violato il principio del contraddittorio, che la irrituale conduzione del processo abbia prodotto in concreto una lesione del diritto di difesa. A tal fine, la parte deve dimostrare che l’impossibilita’ di assolvere all’onere del deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ha impedito alla difesa di svolgere ulteriori e rilevanti aggiunte o specificazioni a sostegno delle proprie domande o eccezioni rispetto a quanto gia’ indicato nelle precedenti fasi del giudizio. Ritiene la Corte, senza volere in tal modo dare corso ad un vero e proprio contrasto, che la tesi di cui alla sentenza appena citata vada valorizzata, soprattutto alla luce delle piu’ recenti elaborazioni giurisprudenziali – che hanno trovato un’eco autorevole anche nella sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte 17 febbraio 2009, n. 3758 – secondo cui la lesione delle norme processuali non e’ invocabile in se’ e per se’, essendo viceversa sempre necessario che la parte che deduce siffatta violazione adduca anche, a dimostrazione della fondatezza, la sussistenza di un effettivo pregiudizio conseguente alla violazione medesima (v., sia pure in relazione a fattispecie diverse, le sentenze 18 luglio 2008, n. 19942, 7 ottobre 2010, n. 20811). (…) Nel caso oggi in esame, dando continuita’ alla ricordata giurisprudenza (Cass. n. 4020 del 2006) – che trova un sicuro ancoraggio costituzionale nel principio della ragionevole durata del processo – si trae la conclusione che non e’ sufficiente, ai fini della declaratoria di nullita’ della sentenza qui in esame, indicare il dato puro e semplice del mancato rispetto dei termini di cui all’articolo 190 c.p.c. per il deposito, nella specie, della memoria di replica; e che e’ invece necessario dimostrare quale sia stata la lesione concretamente subita, magari indicando una o piu’ argomentazioni difensive, contenute nello scritto depositato successivamente alla data della decisione, la cui omessa considerazione avrebbe avuto, ragionevolmente, probabilita’ di condurre il giudice ad una decisione diversa da quella effettivamente assunta. Ora, nulla di tutto cio’ indica la parte ricorrente, che (come nella specie) si limita a invocare la lesione di un termine; per cui la presunta nullita’ dovrebbe derivare dalla violazione di una norma procedurale assunta in se’ e per se’, senza alcun collegamento con un effettivo pregiudizio” (Cass. n. 7086 del 2015).

5. – Con il secondo motivo di ricorso principale, si deduce la “violazione e falsa applicazione dell’articolo 201 C.d.S., comma 3, in relazione all’articolo 12 C.d.S., alla L. n. 890 del 1982, articolo 3 e alla L. n. 65 del 1986, articoli 4 e 5 (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”. la’ dove il Tribunale di Firenze ha ritenuto legittima l’esternalizzazione del segmento meramente esecutivo del procedimento notificatorio del verbale, non implicando essa alcuna discrezionalita’ amministrativa da parte del soggetto privato, delegato alla consegna del plico a (OMISSIS) s.p.a., ma solo compiti esecutivi di stampa del verbale, imbustamento e consegna all’ufficio gestore del servizio postale universale. Secondo il ricorrente la motivazione sarebbe stata assunta in violazione di legge, in quanto l’articolo 201 C.d.S., comma 3, prescrive espressamente che alla notificazione del verbale si provvede a mezzo degli organi indicati nell’articolo 12 C.d.S., dei messi comunali o di un funzionario dell’amministrazione che ha accertato la violazione, con le modalita’ previste dal codice di procedura civile, ovvero a mezzo posta. Escluso, quindi, che la notifica del verbale possa essere effettuata da un pubblico ufficiale diverso da quelli indicati, rileva il ricorrente principale che, nella fattispecie, il Comune di Sesto Fiorentino ha comunicato il testo integrale del verbale alla ” (OMISSIS) s.p.a.”, la quale ha provveduto alla stampa, all’imbustamento e alla successiva richiesta di notifica all’Ufficio Postale di Rimini, al di fuori del territorio comunale di Sesto Fiorentino. Il ricorrente afferma che la giurisprudenza di legittimita’ ha chiarito che ove la consegna all’Ufficio Postale per la notifica sia avvenuta fuori del Comune o da parte di soggetti estranei all’Amministrazione comunale, l’eventuale delega e’ illegittima (Cass. n. 10043/2008). Secondo il ricorrente la disciplina applicabile sarebbe quella prevista dalla L. n. 65 del 1986 (legge quadro sull’ordinamento di Polizia Municipale), che, all’articolo 4, punto 4, lettera a), prevede espressamente che sono autorizzate le missioni esterne al territorio di competenza comunale per soli fini di collegamento e di rappresentanza. Trattandosi di inesistenza della notifica del verbale, richiesta da soggetto non legittimato e non suscettibile di sanatoria, il deposito del ricorso il 10.11.2009, oltre il termine, allora previsto, di 150 giorni dall’accertamento della violazione del 20.4.2009, non ha sanato ex tunc il vizio, determinando cosi’ l’estinzione della violazione a norma dell’articolo 201 C.d.S., comma 5, nel testo ratione temporis vigente.

5.1. – Il motivo non e’ fondato.

5.2. – Il ricorrente principale contesta la sentenza d’appello sotto due profili, riguardanti l’asserita inesistenza o nullita’ della notifica, in primo luogo, perche’ effettuata da personale dipendente di un soggetto privato ( (OMISSIS) s.p.a.), cui il controricorrente ha affidato lo svolgimento di mere attivita’ prodromiche all’attivita’ di notifica per posta dei verbali di accertamento di violazioni del C.d.S., riguardanti la stampa, l’imbustamento e la postalizzazione dei verbali stessi; e, in secondo luogo, perche’ effettuata dall’ufficio postale di Rimini, territorialmente incompetente.

5.2.1. – Con riferimento al primo profilo, risulta del tutto corretta la sentenza impugnata nella parte in cui – evidenziato che, in virtu’ della convenzione con il Comune contro ricorrente, alla (OMISSIS) s.p.a. era stato esternalizzato esclusivamente il compito materiale della stampa, imbustamento e postalizzazione dei verbali de quibus, che venivano presentati per il recapito al gestore del servizio universale ente Poste, ora (OMISSIS) s.p.a. – ha affermato la piena legittimita’ della notifica, poiche’ la (OMISSIS) aveva un compito meramente esecutivo e non poteva incidere sul contenuto dell’atto notificato; mentre l’attestazione di conformita’ del consegnatario dell’atto al destinatario era stata effettuata dall’agente postale (OMISSIS), abilitato per legge.

La decisione risulta del tutto coerente con i principi espressi da questa Corte, richiamati anche dal giudice del gravame, secondo cui, in tema di sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, la notifica del verbale di accertamento, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, articolo 385, comma 3, avviene mediante invio al destinatario di uno degli originali ovvero di copia autenticata, a cura del responsabile dell’ufficio o comando, o da un suo delegato, potendo, tuttavia, essere validamente affidate a soggetti terzi, anche privati, le sole attivita’ intermedie di natura materiale, relative alla stampa, all’imbustamento ed alla consegna dei plichi al servizio postale (Cass. n. 462 del 2017; Cass. n. 7177 del 2012). Pertanto, la notificazione del verbale di accertamento delegata dal Comune a (OMISSIS) s.p.a. e’ nulla, avuto riguardo al combinato disposto del Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, articolo 385, comma 3 e del Decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, articolo 385 ove la delega non concerna attivita’ meramente esecutive (stampa, imbustamento e consegna), ma anche attivita’ (specificamente escluse nella specie dal giudicante) di “personalizzazione” della modulistica, in base alla tipologia dei verbali, tramite adempimenti implicanti la compartecipazione del soggetto privato alla formulazione del verbale di contestazione, sulla scorta delle risultanze del verbale di accertamento rimessogli in formato digitale dall’ufficio dell’organo accertatore (Cass. n. 26431 del 2013).

D’altronde, e’ principio consolidato che, cio’ che la legge riserva al pubblico ufficiale che provvede alla notifica a mezzo posta e’ l’esercizio della potesta’ pubblica di certificazione inerente alla notifica stessa, per la parte che gli compete e dunque l’autenticazione della copia da consegnare al destinatario e la redazione della relata di notifica a mezzo posta (L. n. 890 del 1982, articolo 3) non le attivita’ materiali di stampa, imbustamento e trasmissione. Queste ultime possono essere eseguite anche da altri e anche fuori del territorio comunale, sol che sia assicurata la genuinita’ delle predette certificazioni anche grazie all’uso di sistemi informatici e telematici disciplinato dalla legge (Cass. n. 23588 del 2008; conf. Cass. n. 10326 del 2011).

5.2.2. – Con riferimento al secondo profilo, risulta altrettanto corretta la sentenza impugnata nella parte in cui affermata l’inconferenza del riferimento alla L. n. 65 del 1986 riferita alle “missioni di polizia” fuori dal territorio di competenza (non riscontrabile nella specie) – ritiene non fondata l’obiezione secondo la quale (L. n. 890 del 1982, ex articolo 3) la polizia municipale avrebbe dovuto portare materialmente il plico all’ufficio postale dello stesso luogo di ubicazione dell’agente. Invero, l’articolo 201 C.d.S. non dispone alcuna limitazione territoriale al potere dell’Amministrazione di notificare i verbali a mezzo posta.

Nella fattispecie, la notifica e’ stata eseguita da (OMISSIS) s.p.a., ovvero dal gestore del servizio universale, operante sull’intero territorio nazionale. In tema di infrazioni al codice della strada, alla notifica del verbale di accertamento eseguita da un appartenente alla polizia municipale, ai sensi dell’articolo 201 C.d.S., ex articolo 3 non si applicano le prescrizioni previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 1229 del 1959, articoli 106 e 107 che prevedono limiti di competenza territoriale, riferibili ai soli ufficiali giudiziari e non estensibili agli altri pubblici ufficiali che, volta per volta, la legge autorizza ad eseguire notificazioni, perche’ la loro competenza e’ disciplinata dall’ordinamento che li riguarda o dalle norme che li abilitano alla notifica (Cass. n. 23588 del 2008; Cass. n. 10326 del 2011). Laddove, poiche’ la notifica e’ stata eseguita tramite il soggetto – ente poste – che fornisce l’intero servizio postale universale su tutto il territorio nazionale, quand’anche si fosse verificato un vizio attinente al luogo di consegna dei plichi notificandi, si tratterebbe non di ipotesi di inesistenza, ma di nullita’ del procedimento, comunque espletato dai soggetti abilitati, con la conseguenza che opererebbe la sanatoria ex articolo 156 c.p.c. in forza della opposizione proposta dal destinatario (Cass. n. 10326 del 2011; Cass. n. 12320 del 2004).

Inconferente e’, infine, il richiamo all’articolo 12 C.d.S., relativo ai limiti territoriali dei servizi di polizia stradale, tra cui non rientrano le operazioni di notifica dei verbali di accertamento.

6. – Con il terzo motivo, il ricorrente principale deduce la “violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articoli 3, 4, 11, 18, 19 e 24 con riferimento all’articolo 201 C.d.S., comma 3 e alla L. n. 890 del 1982, articolo 3, comma 2, (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, poiche’ il giudice d’appello non avrebbe tenuto conto che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 4, comma 1, lettera b), costituisce “dato personale” ogni informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale. Pertanto, i dati personali illegittimamente comunicati alla societa’ privata non potevano essere da questa trattati, con inutilizzabilita’ degli stessi, ai sensi del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 11, comma 2.

6.1. – Il motivo e’ inammissibile.

6.2. – Il giudice d’appello ha rilevato che (quanto alla presunta violazione del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 3) non appare configurabile alcuna violazione del citato decreto in quanto i dati connessi alla presente violazione non costituiscono dati sensibili.

Trattandosi di contestato vizio di violazione di legge, si fa integrale rinvio a quanto argomentato sub 3.2., in ordine (tra l’altro) al rapporto tra questo ed il vizio di motivazione.

Peraltro, il giudice d’appello, avendo esaustivamente indicato le fonti e le ragioni del proprio convincimento (senza ritenere alcuna violazione delle norme evocate), ha posto in essere un accertamento di fatto sorretto da adeguata e logica motivazione, come tale immune dalle censure sollevate dalla ricorrente, che sostanzialmente si limita a prospettare una diversa ricostruzione delle vicende che hanno dato luogo alla presente controversia (Cass. n. 1916 del 2011).

7. – Il ricorso in via principale va, dunque, rigettato; mentre il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile. Stante la reciproca soccombenza le spese vanno integralmente compensate tra le parti, ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., comma 2. Va emessa altresi’ la dichiarazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater per ciascuna delle parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente e del controricorrente, dell’ulteriore importo ciascuno a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.