Corte di Cassazione – Ordinanza n. 21962 del 12 luglio 2022

RILEVATO CHE

1. (OMISSIS) ricorre con due motivi contro l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza

n. 2013/01/14, pronunciata in data 22 ottobre 2013, depositata in data 27 ottobre 2014 e non notificata, con la quale la Commissione tributaria regionale della Calabria ha rigettato l’appello della contribuente, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa della cartella di pagamento emessa Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 36-bis, con cui l’ufficio riprendeva a tassazione gli interessi passivi ai fini dell’Irpef dell’anno 1977;

2. con la sentenza impugnata, la C.t.r. riteneva legittima la procedura adottata dall’amministrazione finanziaria per il recupero delle imposte dovute sulla base dei dati esposti dalla contribuente nella dichiarazione e della documentazione allegata;

rilevava che ai sensi della L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 36, erano integralmente deducibili gli interessi passivi relativi ai finanziamenti garantiti da ipoteca su immobili destinati alla locazione e che, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1973, articolo 52, comma 2, i proventi ed i costi di immobili strumentali per l’esercizio dell’impresa concorrono a formare il reddito di impresa, altrimenti seguono la disciplina di cui al citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1973, articolo 10, lettera c);

nel caso di specie, secondo il giudice di appello, non sarebbe stato provato il nesso causale tra i mutui fondiari ipotecari e la destinazione alla locazione degli immobili

inoltre, per la C.t.r., la normativa richiamata troverebbe applicazione solo in caso di soggetto sottoposto ad Ires e non di soggetto sottoposto ad Irpef;

la normativa di riferimento stabiliva che la deduzione degli interessi passivi non poteva superare il limite dei tre milioni di lire, se non in presenza di prestiti o mutui agrari di ogni specie;

riteneva, infine, che correttamente il primo giudice avesse affermato la validita’ della notifica della cartella di pagamento;

3. il ricorso e’ stato fissato per la Camera di consiglio del 7 giugno 2022, ai sensi dell’articolo 375 c.p.c., u. c., e dell’articolo 380-bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal Decreto Legge 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

la contribuente ha depositato memoria.

CONSIDERATO CHE

1.1. con il primo motivo, la ricorrente denunzia la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 65, commi 2 e 4, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo i ricorrenti erroneamente la C.t.r. non avrebbe rilevato l’inesistenza della notifica della cartella esattoriale intestata al de cuius e notificata a quest’ultimo, dopo la sua morte, presso il suo ultimo domicilio, ove era stata ricevuta materialmente da un parente;

1.2. il primo motivo e’ infondato;

alla luce del piu’ recente orientamento della giurisprudenza di legittimita’ (vedi Cass. n. 1156 del 2019, che richiama Cass. n. n. 17251 del 2013 e Cass. n. 17198 del 2017), che questo collegio condivide, la tempestiva proposizione del ricorso del contribuente avverso la cartella di pagamento (evenienza realizzatasi nel caso di specie) produce l’effetto di sanare ex tunc la nullita’ della relativa notificazione, per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex articolo 156 c.p.c., pur non determinando il venir meno della decadenza, eventualmente verificatasi medio tempore, del potere sostanziale di accertamento dell’Amministrazione finanziaria;

in primo luogo deve rilevarsi l’evoluzione, in generale, in senso restrittivo, del concetto di inesistenza della notifica, come affermato, in tema di notificazione del ricorso per cassazione, dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 14916/2016;

inoltre, la sanatoria dell’eventuale vizio di nullita’ della notifica, per raggiungimento dello scopo, riguardo anche ad un atto sostanziale e non processuale, come l’avviso di accertamento, costituisce un approdo consolidato della giurisprudenza di questa Corte, sin dalla sentenza delle Sezioni Unite, 5 ottobre 2004, n. 19854, che ha affermato che “la natura sostanziale e non processuale (ne’ assimilabile a quella processuale) dell’avviso di accertamento tributario – che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria – non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria”;

tali principi operano anche in tema di notifica delle cartelle esattoriali, per le quali si e’ detto che ” la nullita’ della notifica della cartella di pagamento e’ sanata se la consegna della stessa ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato cosi’ il raggiungimento dello scopo legale dello stesso, in omaggio alla regola generale sancita dall’articolo 156 c.p.c., comma 3 (v. Cass. n. 11051 del 2018), sicche’ e’ inammissibile l’eccezione con la quale si lamenti esclusivamente detto vizio procedimentale, senza illustrare un concreto pregiudizio del diritto di difesa (Cass. n. 3805 del 2018; Cass. S.U. n. 7665 del 2016), come nella specie parte ricorrente ha omesso di prospettare” (Cass. n. 13760 del 2019);

nel caso di specie, e’ pacifico tra le parti e risulta dalla sentenza impugnata che la notifica dell’atto, intestato al de cuius ed a lui indirizzato (e non agli eredi collettivamente ed impersonalmente), era stata effettuata presso il suo ultimo domicilio, in mancanza della comunicazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 65, comma 2, che non ha equipollenti (Cass. n. 23416 del 2015, Cass. n. 27284 del 2014);

ne’ e’ contestato che l’Agenzia delle entrate fosse in possesso delle necessarie informazioni circa il decesso del contribuente, in quanto la stessa amministrazione finanziaria riconosce che, a seguito della morte di (OMISSIS), era stata presentata la dichiarazione dei redditi percepiti fino al suo decesso;

la notifica, effettuata conformemente alla previsione legislativa presso l’ultimo domicilio del de cuius, avrebbe dovuto essere indirizzata collettivamente ed impersonalmente agli eredi;

tuttavia, alla luce dei principi sopra esposti, non essendovi questione di decadenza, al vizio denunciato risulta applicabile la sanatoria per il principio del raggiungimento dello scopo, in quanto la ricorrente, erede del contribuente ed, in quanto tale, responsabile solidalmente delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si e’ verificato anteriormente alla morte del dante causa, Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 65, comma 1, ha provveduto ad impugnare la cartella di pagamento anche per motivi di merito, dimostrando di avere avuto contezza del suo contenuto;

neanche e’ ravvisabile alcuna lesione del diritto di difesa, in quanto il rapporto processuale venuto ad esistenza a seguito della notifica della cartella esattoriale ha per parti proprio i soggetti tra i quali, alla stregua della legittimazione sostanziale, come stabilita dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 65, comma 1, esso doveva costituirsi;

2.1. con il secondo motivo, la ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

secondo la ricorrente, la C.t.r. non avrebbe valutato la documentazione prodotta, relativa ai contratti dei mutui fondiari ai quali gli interessi passivi si riferivano, ritenendo erroneamente la legittimita’ della cartella emessa Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 36-bis;

ritiene la ricorrente che l’ufficio non avrebbe potuto, con un semplice controllo automatizzato, considerare indeducibili gli interessi passivi, oltre il limite di tre milioni di vecchie Lire posto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1973, articolo 10, come modificato dalla L. n. 114 del 1977, in quanto dalla documentazione allegata alla dichiarazione emergeva chiaramente che non si era in presenza di interessi deducibili ai sensi del citato articolo 10, bensi’ di interessi per 251.376.000 di vecchie Lire, che costituivano costi di impresa, come tali interamente deducibili;

doveva, dunque, ritenersi che il contribuente era incorso in un semplice errore materiale nell’aver incluso, nella dichiarazione, gli interessi passivi in questione negli oneri deducibili e non nel quadro del reddito di impresa, con conseguente deducibilita’ degli stessi;

2.2. il motivo e’ infondato ed inammissibile e va rigettato;

ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1973, articolo 10, comma 1, lettera c), vigente ratione temporis:” Dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo e purche’ risultino da idonea documentazione, i seguenti oneri sostenuti dal contribuente:…

c) gli interessi passivi pagati a soggetti residenti nel territorio dello Stato o a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti in dipendenza di prestiti o mutui agrari di ogni specie, nonche’ quelli pagati ai medesimi soggetti in dipendenza di mutui garantiti da ipoteca su immobili per i quali la deduzione e’ ammessa per un importo non superiore a tre milioni di lire, salvo quanto stabilito dall’articolo 58, comma 4″;

a sua volta l’articolo 58, al comma 1, prevedeva: “:Gli interessi passivi, salvo quanto previsto nei successivi commi, sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito di impresa, comprese le plusvalenze patrimoniali e le sopravvenienze attive, e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi, compresi quelli che fruiscono di esenzioni ed esclusi quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta; tuttavia gli interessi, premi e altri frutti delle obbligazioni pubbliche esenti a norma del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, articolo 31, concorrono a formare l’ammontare complessivo per i nove decimi del loro importo. Ai fini del rapporto i proventi immobiliari di cui all’articolo 52, comma 2, si computano nella misura ivi stabilita; i ricavi derivanti da cessioni di titoli e di valute estere si computano per la sola parte che eccede i relativi costi e senza tenere conto delle rimanenze; le rimanenze di cui agli articoli 62 e 63, si computano nei limiti degli incrementi formati nel periodo d’imposta”;

all’articolo 58, successivo comma 4, specificava che “Gli interessi passivi non computati nella determinazione del reddito d’impresa a norma del presente articolo non danno diritto alla deduzione dal reddito complessivo prevista dall’articolo 10″;

alla luce di tale normativa, e’ stato detto che ” il potere attribuito agli uffici finanziari, in base al Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 36-bis, comma 2, lettera d), di escludere la deduzione dal reddito complessivo delle persone fisiche degli oneri non previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597, articolo 10, non e’ esercitabile quando, per ricavarne l’indeducibilita’, sia necessario procedere alla interpretazione o della documentazione allegata o della norma giuridica, occorrendo in tali casi un atto di accertamento esplicitamente motivato; esso puo’, invece, essere esercitato allorquando sia rilevabile ictu oculi, a seguito di controllo formale della dichiarazione (e della allegata documentazione), che il titolo, dal suo confronto cartolare, e’ diverso da quello richiamato dalla lettera della legge, restandone documentato uno diverso (nella specie l’ufficio aveva, correttamente, negato la deducibilita’ degli interessi passivi relativi a prestiti e mutui agrari prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1973, articolo 10, comma 1, lettera c), come modificato dalla L. 13 aprile 1977, n. 114, articolo 5, poi trasfuso nel Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articolo 10, comma 1, lettera c), in presenza di interessi passivi afferenti ad un rapporto di apertura di credito, regolato dall’articolo 1842 c.c.)” (Cass. n. 8359 del 2006);

nel caso di specie, la parte ha indicato in dichiarazione interessi passivi, quali oneri deducibili Decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1973, ex articolo 10, oltre i limiti all’epoca consentiti;

pertanto, sulla base della stessa dichiarazione, a seguito di controllo automatizzato, l’Agenzia delle entrate ha recuperato legittimamente a tassazione gli interessi che superavano i limiti previsti dalla norma;

la contribuente deduce che la dichiarazione era affetta da un errore meramente materiale, in quanto gli interessi passivi erano ricollegabili al reddito di impresa e, quindi, interamente deducibili, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 597 del 1973, articoli 52 e 58;

tuttavia, il giudice di appello ha ritenuto che non vi fosse la prova del collegamento degli interessi passivi ad un’attivita’ imprenditoriale di locazione immobiliare e che dovesse applicarsi, ai fini dell’Irpef, il limite alla deducibilita’ di cui al citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 597, articolo 10;

pertanto sotto tale profilo, il motivo e’ inammissibile perche’ involge valutazioni di merito gia’ effettuate nei precedenti gradi di giudizio e precluse in sede di legittimita’;

il ricorso, dunque, va complessivamente rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 3000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.