CTP Napoli – Sentenza n. 3790 del 12 aprile 2018

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 21.06.2017, Pepe Antonio ha proposto opposizione avverso la Cartella di pagamento n. 07120170001759248 avente ad oggetto l’omesso versamento della Tassa Automobilistica per l’anno 2011 per la somma di Euro 216,12 deducendo la nullità della notifica della cartella in quanto effettuata in assenza di attestazione di conformità all’originale in formato pdf con posta elettronica certificata nonché l’inesistenza e/o la nullità della notifica dei necessari atti prodromici e, dunque, la conseguente prescrizione del credito, concludendo per l’annullamento, previa sospensiva, della suddetta cartella con condanna alle spese.

In data 13.11.2017 l’Agenzia delle Entrate-Riscossione si è costituita in giudizio eccependo preliminarmente la tardività dell’invio del ricorso e l’inammissibilità dello stesso per sopravvenuta definitività della pretesa, attesa la regolare notifica della cartella e degli atti preposti.

In data 27.02.2018 la Regione Campania si è costituita in giudizio eccependo l’infondatezza dell’asserita prescrizione del diritto sul presupposto della regolare notifica dell’avviso di accertamento prodromico alla cartella impugnata.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La Commissione ritiene di dover accogliere il ricorso.

Infatti, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione non ha prodotto prova alcuna della autenticità e conformità del documento in formato pdf trasmesso a mezzo posta elettronica certificata ed oggetto della notifica.

Il file inoltrato mediante posta elettronica certificata non costituisce altro che una copia per immagine su supporto informatico del documento nativo sicché in difetto di certificazione di conformità non può aversi certezza della corrispondenza del suddetto al documento originale.

È noto infatti che la notifica della cartella può essere eseguita con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), ovvero, per i soggetti che ne fanno richiesta, diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell’INI-PEC, all’indirizzo dichiarato all’atto della richiesta.

In tali casi, però, oggetto della notificazione è un “documento informatico” per tale intendendosi, secondo la definizione dell’articolo 1 lettera a) del DPR 513/1997 (oggi confluito nell’articolo 1 del D.Lgs. n. 82 del 2005), “la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”.

La validità della trasmissione avente ad oggetto un siffatto documento è statuita dall’articolo 20 del richiamato D.Lgs. 82 del 2005 (noto anche come Codice dell’Amministrazione Digitale c.d. CAD) secondo il quale “il documento informatico da chiunque formato, la memorizzazione su supporto informatico e la trasmissione con strumenti telematici conformi alle regole tecniche di cui all’articolo 71 sono validi e rilevanti agli effetti di legge, ai sensi delle disposizioni del presente codice”.

Il comma 1-bis del medesimo articolo chiarisce poi che “l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità, fermo restando quanto disposto dall’articolo 21”.

Ebbene l’articolo 21 cui si riferisce la norma riportata, al comma 2, stabilisce che “il documento informatico sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, formato nel rispetto delle regole tecniche di cui alt’ articolo 20, comma 3 , che garantiscano l’identificabilità dell’autore, l’integrità e l’immodificabilità del documento, ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del codice civile . L’utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale si presume riconducibile al titolare, salvo che questi dia prova contraria”.

Nel successivo articolo 23, comma 1, il Legislatore ha espressamente previsto poi che “Le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.

Da tale quadro normativo, si ricava che il documento informatico “nativo” sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma digitale assolve il requisito legale della forma scritta, con la conseguenza che costituisce documento semplice, liberamente apprezzabile da parte del Giudice, il documento informatico con firma elettronica semplice, mentre quello privo di firma sarà parificabile ad una riproduzione meccanica (cfr. art. 2712 come novellato dall’art. 23, primo comma, d.Igs. n. 82/2005).

Diversamente dal documento informatico “nativo”, la copia per immagine su supporto informatico di un originale informatico anche sottoscritto digitalmente necessita dell’attestazione di conformità all’originale per produrre gli stessi effetti del documento da cui è tratta.

In altri termini copia analogica di documento informatico sottoscritto anche con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, potrà spiegare gli stessi effetti dell’originale solo se sia attestata da parte di un pubblico ufficiale la conformità all’originale.

Pertanto un atto, inviato mediante strumenti telematici, per poter validamente assolvere gli effetti che si propone, deve essere firmato digitalmente con firma qualificata o digitale se inviato in originale, ovvero, se inviato in copia per immagine, pur se firmato digitalmente con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, dovrà essere validato con certificazione di conformità all’originale.

Giova ricordare che nel documento informatico l’apposizione della sottoscrizione si risolve sempre nell’utilizzo di un dispositivo di firma che cripta l’impronta digitale del documento (accludendo all’estensione originaria del file l’estensione “.p7m”nel caso dell’algoritmo “CADES”) e così restituendo una nuova sequenza binaria, facente prova della identificabilità dell’autore, dell’integrità e dell’immodificabilità del documento.

Dunque l’estensione “.p7m” e, più in generale, l’uso della firma elettronica qualificata o della firma digitale (indipendentemente dall’estensione “grafica” del file) assicura l’integrità, l’immodificabilità, la paternità e il non ripudio (vale a dire l’impossibilità di disconoscerlo) di un documento informatico.

Orbene, nel caso oggetto di questo giudizio, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione si è limitata ad inoltrare al contribuente una copia per immagine di un documento informatico nell’estensione pdf, priva di sottoscrizione digitale e mancante di attestazione di conformità all’originale. Il file/documento, oggetto della notifica nella semplice estensione “.pdf” appare inidoneo a dar prova dell’integrità del documento e della provenienza dello stesso.

Il documento trasmesso via Pec si svela perciò carente di quelle procedure atte a garantire la genuinità, la paternità, l’univocità e l’immodificabilità e la non ripudiabilità dei documenti informatici, atteso che solo la firma digitale (di regola nella forma dell’estensione .p7m) attesta con certezza l’integrità, l’autenticità, la non ripudiabilità del documento nonché la sua immodificabilità.

La notifica via PEC di atti della Pubblica Amministrazione, pur oggi consentita dalla legge, presuppone, in ogni caso, che il documento trasmesso rechi l’apposizione della firma elettronica qualificata o digitale del Responsabile del Procedimento, nonché, se in copia, l’attestazione di conformità, per cui “Solo così ci si trova di fronte a un vero e proprio documento informatico, immodificabile nel contenuto e certo, in quanto digitalmente firmato, nella provenienza” (cfr. Commissione Tributaria Regionale Campania sentenza n. 9464 del 09.11.2017).

Tal ché, la notifica a mezzo PEC non è valida se effettuata tramite messaggio di posta certificata contenente il file della cartella con estensione diversa da “.p7m” o comunque non firmato digitalmente o validato da certificazione di conformità.

La notifica in formato “.pdf “, come nella specie, infatti, non produce l’originale dei documento notificato, ma solo una copia elettronica senza valore se priva di attestato di conformità da parte di un pubblico ufficiale (“La certificazione della firma può essere attestata solo dall’estensione “.p7m” del file notificato, estensione che rappresenta la cosiddetta “busta crittografata” contenente al suo interno il documento originale, l’evidenza informatica del mezzo adoperato e la chiave per la verifica”: cfr. Commissione Tributaria Regionale Campania, sentenza n. 9515 del 9 novembre 2017).

Dunque, “il file “.pdf” allegato al messaggio PEC, ma non firmato digitalmente e comunque privo di ogni asseverazione di conformità all’originale cartaceo deve essere annullato, dal momento che in tale ipotesi il messaggio PEC «non contiene l’originale dell’atto inviato, ma solo una copia priva di attestazione di conformità e non offre, quindi, le garanzie tipiche della raccomandata tradizionale” (cfr. Commissione Tributaria di Milano, sentenza 1638 del 2017).

Insomma, giacché la cartella esattoriale allegata alla PEC e notificata sotto forma di documento informatico risulta essere non altri che un file “.pdf” privo dell’estensione “.p7m” e, come tale, quindi, non firmato digitalmente, lo stesso file, peraltro in copia e privo di certificazione di conformità, non può qualificarsi idoneo a garantire, con assoluta certezza, da una parte, l’identificabilità del suo autore e la paternità dell’atto e, dall’altra, la sua l’integrità e immodificabilità, così come richiesto dal codice dell’amministrazione digitale.

Conseguentemente la notificazione per posta elettronica certificata non è valida con illegittimità derivata della stessa cartella e, per tale motivo, deve essere annullata (Comm. Trib. Prov. Vicenza sent. n. 615/02/2017; Comm. Trib. Prov. Campania sent. n. 9464/11/17; Comm. Trib. Prov. di Reggio Emilia sentenza 204 depositata il 31 luglio; Comm. Trib. Prov. Savona sentenza n. 100/2017)

Per quel che, in particolare, interessa il caso in esame, nessuna copia dell’atto consegnato via PEC è peraltro stata prodotta in giudizio dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione cosicché rimane incerto ed indeterminato il contenuto della documentazione notificata.

Il ravvisato difetto di notifica rende, pertanto, nulla la cartella impugnata.

Il rispetto del principio della ragione più liquida, secondo il quale la causa può essere decisa sulla sola base della soluzione di una questione assorbente, rende inutile l’esame tutte le altre questioni sollevate dalle parti.

Infatti, tale principio permette al Giudice di scegliere la soluzione più idonea “sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello tradizionale della coerenza logico-sistematica” (cfr., per tutte, la sentenza della Cassazione n. 12002 del 07.4.2014), trattandosi di una soluzione pienamente rispondente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, esigenze oramai costituzionalizzate dall’articolo 111 della Costituzione (cfr. Cass. 11 novembre 2011, n. 23621).

Le spese del presente giudizio seguono il generale principio di soccombenza e vengono liquidate corna da dispositivo.

P. Q. M.

La Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, definitivamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe indicato, ogni ulteriore domanda, deduzione ed eccezione disattesa, così decide:

accoglie il ricorso;

condanna l’Agenzia delle Entrate-Riscossione e la Regione Campania, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, a rifondere, in solido fra loro, al ricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 41,90 per spese ed in Euro .00,00 per compensi, oltre 15% spese generali e accessori di legge, con attribuzione diretta al difensore dichiaratosi antistatario