CTP Milano – Sentenza n. 353 del 29 gennaio 2018

Ricorso avverso cartella di pagamento n. (omissis), notificata a mezzo PEC nel mese di (omissis) nella quale veniva richiesto il pagamento della somma di € 545.772,93.=, a titolo di IVA

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Con ricorso depositato il (omissis), la società ricorrente (omissis) impugnava l’atto in epigrafe. Eccepiva in via pregiudiziale l’inesistenza giuridica della notifica avvenuta a mezzo PEC in violazione degli artt. 20, 21 e 22 del D.lgs. 82/2005 (codice dell’amministrazione digitale, C.A.D.). Citando altre normative caratterizzanti il settore digitale specificava che la notifica a mezzo PEC era valida solamente se aveva ad oggetto un documento informatico (la cartella) debitamente sottoscritta con firma digitale e come nel caso di specie si era davanti ad una semplice trasposizione in PDF della cartella cartacea. Ancora citando l’articolo 22 del C.A.D. evidenziava come i documenti informatici contenenti copia di atti pubblici avevano piena efficacia ai sensi degli artt. 2714 e 2715 c.c., solo se ad essi era stata apposta una firma digitale. A causa di ciò, la ricorrente contestava la violazione dell’articolo 12, comma 4 del D.P.R. 602/73 il quale prevedeva al fine di rendere perfetta l’iscrizione a ruolo la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro funzionario. Citava della giurisprudenza di merito che sanciva l’illegittimità della notifica a mezzo PEC. Sviluppava poi una lunga serie di considerazioni attinenti al funzionamento della PEC, specificando che il sistema non garantisce come l’atto sia stato aperto e letto dal destinatario e che, rispetto al sistema “raccomandata”, lasciava incerto l’esito della ricezione. Aggiungeva poi che sulla cartella de qua non era stato riportato l’indirizzo della sede legale della ricorrente e che a maggior ragione tale notifica “elettronica” non poteva essere eseguita per la non corrispondenza dell’indirizzo di destinazione con quello apposto sulla cartella. Eccepiva poi una carenza di motivazione della cartella in quanto, trattandosi di liquidazione ex art. 36-bis del D.P.R. 600/73, il ruolo necessitava di una chiara, semplice e specifica motivazione. Eccepiva ancora l’illegittimità della cartella per mancata sottoscrizione da parte di un soggetto legittimato. Eccepiva altresì l’illegittimità del cartella per mancata notifica della prodromica comunicazione di irregolarità, in violazione dell’art. 6 della L. 212/00. Citava all’uopo sentenze di legittimità e di merito conformi, insistendo nell’attribuire fondamentale importanza alla notifica dell’avviso di irregolarità. Ancora specificava che l’avviso bonario in parola non le era mai stato
Sull’illegittimità dei compensi di riscossione Equitalia replicava alla ricorrente che gli stessi erano stati calcolati secondo le disposizioni di legge e, citando della giurisprudenza, riteneva l’aggio come remunerazione per l’attività svolta dall’agente stesso e non certo delle sanzioni. Chiedeva il rigetto del ricorso.
La Commissione adita, in data (omissis), in esito all’udienza di cui all’art. 47 del D.lgs. 546/92, disponeva la sospensione della cartella impugnata.
In data (omissis) l’agenzia delle entrate con proprio atto di intervento volontario ex art. 14 del D.lgs. 546/92, diveniva parte nel processo. Evidenziava come, contrariamente a quanto affermato dalla società, lo stesso aveva proceduto a notificare – ritualmente – la comunicazione di irregolarità, notifica avvenuta in data (omissis) (allegava sia l’avviso bonario che la relata di notifica). Chiedeva il rigetto del ricorso, poiché infondato in fatto e in diritto.
In data (omissis) la società ricorrente depositava delle memorie per il tramite delle quali, insisteva per l’accoglimento delle doglianze, già espresse in fase di ricorso introduttivo e, in particolare sulla nullità della notifica per via PEC. (Allegava sentenze di merito conformi).

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Il ricorso viene respinto alla stregua delle seguenti motivazioni ed argomentazioni. Nonostante la ricorrente sostenga il contrario, la cartella esattoriale, qui impugnata, è stata correttamente notificata, così come risulta allegato il prodromico avviso di irregolarità, giusta allegazione da parte delPUfficio sia dell’avviso bonario che della relata di notifica. Tornando alla notifica della successiva cartella, questo Giudice rileva che tutto è avvenuto nel rispetto dell’art. 26 del D.P.R. 602/1973, che prevede espressamente la notifica mediante posta elettronica certificata, rinviando per le relative modalità, alle disposizioni del decreto n. 68/2005. Pur tralasciando tutto lo schema del procedimento di notifica, è la ricevuta di avvenuta consegna, dunque, a fornire la prova che il suo messaggio è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e a certificare il momento in cui è avvenuta la consegna. Dall’allegata ricevuta di avvenuta consegna della PEC si evince, pertanto, nel caso de quo, l’avvenuto buon fine della notifica, atteso che l’atto risulta entrato, pienamente, nella sfera di conoscibilità della parte ricorrente. La cartella risulta ricevuta il (omissis) come certificato nella “ricevuta di avvenuta consegna” del messaggio indirizzato a (omissis). Questo Giudice rileva che, con decorrenza dal (omissis) mediante l’aggiunta del comma 1 bis all’art. 26 del D.P.R. notificato e all’uopo citava dell’altra giurisprudenza conforme dalla quale ne deduceva l’illegittimità di tutti gli atti discendenti e successivi al cosiddetto avviso bonario, come la cartella oggetto di odierna impugnativa. Evidenziava altresì la violazione dell’articolo 2, comma 2, del D.lgs. 472/97 il quale permetteva ai contribuenti di ravvedersi degli errori/omissioni commesse, usufruendo di una riduzione delle sanzioni. Nel caso di specie, ravvisava una disparità di trattamento tra quei contribuenti che avevano ricevuto l’avviso di irregolarità e quelli che non l’avevano ricevuto i quali, erano penalizzati dall’inasprimento delle sanzioni, ritenendo tale differenza non giustificabile. Citava della giurisprudenza conforme e sottolineava come l’onere probatorio della notifica dell’avviso bonario incombeva sull’ufficio. Eccepiva poi la mancata indicazione del calcolo degli interessi, la non debenza degli stessi o comunque l’erroneità del loro calcolo in violazione dell’art. 20 del D.P.R. 602/73. Altresì eccepiva la violazione dell’articolo 12, comma 4 del D.P.R. 602/73 poiché carente di una valida sottoscrizione. Ancora eccepiva l’illegittimità dei compensi di riscossione richiesti da Equitalia poiché da considerarsi come ulteriori sanzioni nei quali ravvisava tratti di illegittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 3, lett. a) del d.lgs. 112/99. Ancora riteneva come l’articolo 17 da ultimo citato era in violazione delle norme europee poiché, a suo dire, era qualificabile come un aiuto di Stato. In ultima analisi la società eccepiva l’illegittimità delle sanzioni e richiedeva una riduzione delle stesse ad un terzo, in forza della mancata notificazione dell’avviso bonario.
In data (omissis) l’agente per la riscossione diveniva parte nel processo. Sulla mancata previa notifica della prodromica comunicazione di irregolarità; sulla inesistenza giuridica del titolo giustificativo presupposto (avviso bonario); sulla violazione dell’articolo 2, comma 2 del D.lgs. 472/97; sulla mancanza di valida sottoscrizione del ruolo, l’agente sollevava un difetto di legittimazione passiva. Sulla doglianza relativa alla inesistenza giuridica della notifica a mezzo PEC, l’agente replicava alla società che lo stesso aveva proceduto a notificare la cartella secondo le ordinarie modalità previste dalla legge. Più precisamente l’art. 26 del D.P.R. 602/73 prevede espressamente la notifica a mezzo PEC quale mezzo idoneo a portare a conoscenza del contribuente la pretesa creditoria. Specificava poi che con tale modalità di notificazione non era neppure prevista la compilazione della relata di notifica essendo sufficiente la ricevuta generata dal gestore abilitato a fornire il servizio PEC. Sul vizio di motivazione della cartella in relazione alla mancata indicazione del calcolo degli interessi e dell’errato calcolo degli stessi, l’agente replicava alla società ricorrente che la cartella rispettava appieno il dettato normativo poiché emessa in conformità con i modelli ministeriali approvati, così come il contenuto della stessa era pienamente rispondente alla legge, con ciò confermando la correttezza degli importi ivi riportati.
602/1973 è stato introdotto l’utilizzo direttamente da parte di Equitalia, quale modalità di notifica, della posta elettronica certificata; peraltro la possibilità di notificare le cartelle a mezzo PEC, laddove emesse in forma di documento informatico, poteva affermarsi già in forza dell’art. 48 del Codice dell’Amministrazione Digitale, d.lgs. 82/2005 il quale equipara la trasmissione dei documenti medesimi attraverso la posta elettronica certificata alla notificazione per mezzo di posta tradizionale raccomandata. E’ principio consolidato che qualsiasi ipotesi di vizio della notificazione è da considerarsi sanato, ai sensi e per gli effetti degli artt. 160 e 156, terzo comma, c.p.c., allorquando sia provato che l’atto sia entrato nella sfera di conoscibilità del destinatario. Posto infatti, che la funzione dell’attività di notifica è proprio quella di portare a conoscenza del destinatario l’esistenza dell’atto che lo riguarda, è evidente che alcuna conoscenza può derivare dagli asseriti vizi del procedimento di notifica, allorquando sia stato raggiunto lo scopo (Cass. 29 aprile 2015, n. 8674; Cass., 26 gennaio 2015, n. 1301; 14 gennaio 2015, n. 416; 19 dicembre 2014, n. 27089). Ebbene nel caso de quo, l’odierna ricorrente, non solo ha confessato di avere ricevuto l’atto impugnato, ma anzi, ha provveduto alla sua tempestiva impugnazione ed alla sua allegazione in atti, richiamando correttamente in giudizio l’Agente della riscossione che l’ha emessa. In tal senso si è espressa la suprema Corte di cassazione che, da ultimo a sezioni unite, con la sentenza n. 7665/2016, proprio nell’ambito della notificazione a mezzo PEC, ha chiarito come l’eccezione non è fondata. Continua la sentenza in parola affermando come opera, infatti, nella fattispecie in parola l’insegnamento, condiviso e ormai consolidato secondo cui il principio – sancito in via generale dall’art. 156 c.p.c. – la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, anche per le notificazioni in relazione alle quali, sia stata sollevata l’irritualità della notifica stessa (Cass. sez. lav., n. 13857/2014; Cass. Sez. Trib., n. 1184/2001). Nella fattispecie, l’odierna ricorrente non adduce né alcun specifico pregiudizio al suo diritto di difesa, né l’eventuale difformità tra il testo recapitato telemáticamente, sia pure con estensione .doc in luogo del formato .pdf, e quello cartaceo depositato agli atti. Il medesimo discorso è valevole per la mancata sottoscrizione della cartella con l’estensione .p7m. Difatti, ai fini dell’immodificabilità del contenuto è sufficiente l’estensione .pdf, la quale, per l’appunto, fornisce adeguate garanzie circa l’impossibilità di alterazione del contenuto del file che beneficia di questa specifica estensione. Ne consegue dunque che è inammissibile l’eccezione con la quale la parte ricorrente lamenti un mero vizio procedimentale, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte stessa, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale del giudice. Ebbene, l’avvenuta proposizione dell’opposizione che ci occupa, nei termini, ha avuto l’inequivocabile effetto di sanare ogni supposto vizio attinente alla notifica. Né ad ogni modo, nel caso in esame, le presunte irregolarità denunziate potrebbero dar luogo ad un’ipotesi di inesistenza della notifica per assenza di alcuna valida prospettazione da parte del ricorrente circa le ragioni per le quali l’asserito vizio di notifica avrebbe comportato la lesione del suo diritto di difesa o altro pregiudizio.
Sul punto della notifica a mezzo PEC con mancata sottoscrizione della busta di trasporto, le doglianze della contribuente appaiono pretestuose. Sull’eccezione, a tal punto, questo Giudice rileva l’assoluta assenza di vizi che la ricorrente lamenta. Sull’argomento, l’art. 9 del D.P.R. 68/2005, che disciplina le modalità di utilizzo della PEC per le notifiche, stabilisce che la sottoscrizione della “busta di trasporto” ò messa a monte dai “gestori” di posta elettronica e, non certo, dal mittente. La notifica in tal senso è nel pieno rispetto delle modifiche introdotte a decorrere dal (omissis) , mediante raggiunta del comma 1 bis all’art. 26 del decreto presidenziale n. 602/1973. Circa la sottoscrizione digitale della cartella, le doglianze dell’odierna ricorrente appaiono prive di pregio. Nessuna norma di legge, al riguardo, prescrive la pena di invalidità della cartella stessa, qualora il contribuente sia in grado di individuare con certezza l’autorità di provenienza. Essendo la cartella esattoriale un atto a natura vincolata, la stessa è stata redatta in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle finanze. Né l’art. 25 del D.P.R. 602/1973, né i richiamati modelli di cartella di pagamento, prevedono la sottoscrizione della cartella, bensì unicamente la stampigliatura della denominazione della società cui è dato incarico di riscuotere, al fine di consentire al contribuente l’individuazione della provenienza del documento. In tal senso, vedasi Cassazione, sentenze n. 577/2017; n. 26053/2015 e n. 25773/14. In altre parole, la mancata sottoscrizione della cartella, quale eventuale vizio formale, non determina l’annullabilità dell’atto predisposto, in quanto il legislatore ha voluto riconoscere all’amministrazione finanziaria strumenti più duttili ed elastici per svolgere la propria attività, mirata al raggiungimento dell’interesse pubblico, senza che vizi di natura prettamente formale ne possano paralizzare l’azione. Sul punto delle doglianze in merito all’art. 149 bis c.p.c., queste risultano essere infondate, attesa la specialità della disciplina esattoriale, riservata anche alla notifica degli atti della riscossione. L’espressa inapplicabilità della disciplina di cui all’art. 149 bis c.p.c. conduce, dunque, all’inoppugnabilità degli adempimenti tecnici ivi previsti, come pretenderebbe, invece, la contribuente. Sulla mancata estensione sulla cartella della dicitura pdf/a, la contribuente non può chiedere la nullità del documento. L’eccezione è infondata in quanto la cartella presenta le caratteristiche di legge. Questo Giudice non vuole addentrarsi nel particolare tecnicismo della questione, ma occorre ribadire come il formato pdf/a, ad ogni modo, sia ritenuto
indispensabile solo nei casi in cui si verta in presenza di atti e documenti che, per loro natura, necessitino della sottoscrizione. Neppure possono essere accolte le contestazioni che riguardano la carenza di attestazione di conformità e alla mancata ricezione da parte del contribuente dell’originale della cartella. Quest’ultima, allegata al messaggio PEC, ricevuta dal contribuente, è essa stessa l’originale: non si tratta, infatti, di una copia foto-riprodotta dell’originale, quanto, piuttosto, del documento informatico originale, del quale, quindi, non esiste altra copia, né analogica, né informatica. A tale punto, vedasi Cassazione, sentenza n. 12888/2015. Sul mancato calcolo degli interessi la doglianza risulta essere alquanto temeraria, perché trattasi di interessi a seguito di mancato rispetto delle scadenze dei vari pagamenti. La lamentela, al riguardo, è generica e, quindi, infondata. La cartella indica la data di consegna del ruolo e, pertanto, la contribuente è in grado di controllare l’ammontare della quantificazione degli interessi calcolati, ai sensi di legge. Sono queste le ragioni per le quali il ricorso viene rigettato e confermato in toto l’operato dell’ufficio.
Spese di giudizio
Le spese di giudizio seguono la soccombenza, come da dispositivo.
Il Collegio giudicante

P.Q.M.

respinge il ricorso. Condanna parte soccombente alla rifusione delle spese di giustizia che liquida in complessivi € 1.500,00.=.