Corte di Cassazione – Sentenza n. 39506 del 3 settembre 2018

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 25/05/2017 del Tribunale di Ravenna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE RICCARDI;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Orsi Luigi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) ricorre personalmente per cassazione avverso l’ordinanza del 25/05/2017 con cui il Tribunale di Ravenna, in sede di rinvio disposto con sentenza di annullamento della Corte di Cassazione, Sez. 1, n. 5494 del 14/09/2016, dep. 2017, ha rigettato l’istanza di declaratoria di non esecutivita’ della sentenza n. 376 del 18/02/2014 del Tribunale di Ravenna, o di restituzione nel termine per impugnare.

Deduce la violazione del principio di diritto affermato dalla sentenza della Corte di Cassazione, che aveva evidenziato come lo strumento giuridico per eliminare l’efficacia probatoria di un atto fidefaciente (nella specie, l’avviso di ricevimento della notifica dell’estratto contumaciale) fosse la querela di falso; querela proposta dal (OMISSIS), che ha provveduto anche al deposito di una consulenza tecnica attestante la natura apocrifa della firma apposta in calce all’avviso di ricevimento; il Tribunale di Ravenna avrebbe dunque potuto solo verificare l’autenticita’ della sottoscrizione.

Deduce, inoltre, il vizio di violazione di legge in ordine all’identificazione formale del soggetto ricevente da parte dell’agente postale, lamentando che non siano stati indicati, sulla relata di notifica, gli estremi del documento di identita’ del ricevente, basandosi su una mera dichiarazione rilasciata dal medesimo; dichiarazione che non fa prova del contenuto, e che e’ vincibile da prova contraria e da querela di falso.

Con un terzo motivo denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla determinazione del corretto luogo di notifica: espone che la notifica dell’estratto contumaciale e’ stata richiesta ed eseguita a (OMISSIS), ed il Tribunale ha ritenuto eseguita la notifica presso il luogo ove l’imputato esercitava la propria attivita’ lavorativa, in quanto a quell’indirizzo aveva sede la ditta individuale (OMISSIS); tuttavia, lamenta che sia stata indebitamente identificata la sede della ditta individuale con la sede ove il ricorrente esercitava la propria attivita’ lavorativa, nonostante in sede di notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari fosse stato attestato che il (OMISSIS) era sconosciuto al civico (OMISSIS); dal fascicolo, invece, emerge che la residenza anagrafica del (OMISSIS) e’ in (OMISSIS), e che l’attivita’ lavorativa venga svolta in (OMISSIS).

Lamenta, infine, la violazione di legge in relazione alla inammissibilita’ della richiesta di remissione in termini per l’impugnazione, in quanto non sarebbero state compiute tutte le formalita’ del procedimento di notifica, con affissione alla porta di casa del destinatario o immissione nella cassetta postale dell’avviso di deposito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile.

Giova premettere che con l’originaria istanza di esecuzione il ricorrente sosteneva la tesi dell’esistenza di un difetto di notifica dell’estratto contumaciale, nonostante lo stesso risultasse notificato a mani del condannato a mezzo raccomandata, e disconosceva la firma, adducendo che la notifica era avvenuta non in (OMISSIS), sua residenza, ma al civico n. (OMISSIS); lamentava di non avere mai ricevuto l’estratto contumaciale e di non essere mai stato raggiunto dalla citazione a giudizio, sempre inviata all’indirizzo errato, e chiedeva l’immediata sospensione dell’ordine di esecuzione, di rinnovazione della notifica dell’estratto contumaciale e, in subordine, l’emissione di un’ordinanza di restituzione nel termine per impugnare; allegava all’istanza una consulenza tecnica calligrafica sulla firma disconosciuta, della dott.ssa (OMISSIS), che giudicava apocrifa la firma impugnata.

La sentenza rescindente della Corte di Cassazione aveva annullato con rinvio l’originaria ordinanza di rigetto, sul rilievo che il (OMISSIS) avesse dichiarato di aver proposto querela di falso avverso l’attestazione contenuta nella notifica dell’avvenuta ricezione da parte del destinatario, in tal senso attivando lo strumento necessario per privare di efficacia probatoria fidefaciente l’atto di notifica.

Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Ravenna ha evidenziato che: la discrasia sul numero civico era solo apparente, in quanto, sebbene il decreto di citazione e la cartolina di consegna riportassero il n. (OMISSIS), la busta indicava che l’invio del plico era avvenuto al civico n. (OMISSIS); stante la temporanea assenza del destinatario, veniva immessa nella cassetta postale l’avviso di deposito; il ricorrente non ritirava il plico presso l’ufficio postale; la successiva notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di condanna veniva eseguita, a mani proprie del condannato, l'(OMISSIS), in (OMISSIS); ad oltre due anni di distanza il condannato non aveva presentato alcuna querela di falso, a dispetto di quanto preannunciato anche in sede di ricorso per cassazione. Tanto premesso, rigettava nuovamente l’istanza proposta.

Le doglianze riproposte dal ricorrente sono manifestamente infondate.

L’ordinanza impugnata, infatti, e’ immune da censure, per l’assorbente rilievo che, effettivamente, la querela di falso – la cui proposizione era stata soltanto “dichiarata” nel ricorso per cassazione accolto dalla sentenza rescindente – non e’ stata proposta, come dimostrato dallo stesso ricorrente che ha allegato, al ricorso in esame, una querela di falso notificata soltanto successivamente all’emissione dell’ordinanza impugnata (depositata il 25 maggio 2017), in data 3 ottobre 2017; peraltro, dall’ordinanza impugnata emerge che, in relazione alla contestazione del procedimento di notifica, nei confronti del (OMISSIS) sia stato emesso decreto di citazione a giudizio per simulazione di reato.

2. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Motivazione semplificata.