Corte di Cassazione – Sentenza n. 21561 del 3 settembre 2018

SENTENZA

sul ricorso 18007-2013 proposto da:

(OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.R.L.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 40/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 05/02/2013 R.G.N. 181/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/02/2018 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

Con ricorso del 23 febbraio 2012 (OMISSIS) appellava la sentenza pronunciata ex articolo 281 sexies c.p.c. dal Tribunale di Torino all’udienza del 12 luglio 2010, asseritamente non validamente notificata e pronunciata in sua contumacia, con la quale il giudice adito, in accoglimento della domanda proposta da (OMISSIS) S.r.l., lo aveva condannato al pagamento a favore di quest’ultima dell’importo di Euro 11.932,86 e di Euro 9672,92 oltre accessori -dalla cessazione del rapporto risalente (28 febbraio 2008) al saldo- e spese.

L’appellante aveva dedotto di non aver avuto conoscenza del processo sino al 24 gennaio 2012 a causa della nullita’ della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio da parte della societa’, seguita cosi’ come dalla notifica della successiva sentenza ai sensi dell’articolo 143 c.p.c. nella casa municipale di Torino, comune di ultima residenza conosciuta, anziche’ in (OMISSIS), laddove, come ne sarebbe stata ben a conoscenza parte appellata, egli conviveva more uxorio con (OMISSIS), anch’essa dipendente della (OMISSIS), sin dall’inizio del rapporto di lavoro con quest’ultima. Pertanto, aveva chiesto dichiararsi la nullita’ della notifica del ricorso introduttivo e della successiva pronuncia impugnata, con conseguente remissione della causa 10 giudice ex articolo 354 c.p.c..

La Corte d’Appello di Torino con sentenza n. 40 in data 15 gennaio – 5 febbraio 2013 dichiarava inammissibile l’interposto gravame, condannando l’appellante al pagamento delle spese, trattandosi di impugnazione tardivamente proposta, esclusa nella specie l’ipotesi contemplata dall’articolo 327 c.p.c., comma 2, risultando in particolare pacifico che il (OMISSIS) aveva sempre avuto mantenuto la propria residenza in (OMISSIS), come da certificati anagrafici in atti e che nel corso della rapporto di lavoro egli non aveva mai comunicato un diverso recapito ovvero che la sua residenza effettiva fosse in quel di (OMISSIS). Per giunta, poco dopo la cessazione del rapporto, la societa’ invio’ all’appellante il 5 marzo del 2008 una raccomandata con avviso di ricevimento, che venne regolarmente recapitata al destinatario il successivo giorno 7. Anche nella richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione in data 7 maggio 2008 il (OMISSIS) indico’ nuovamente di essere residente in (OMISSIS), sicche’ a detto indirizzo (corrispondente al certificato anagrafico del 9 aprile 2010) venne regolarmente tentata la notifica del ricorso introduttivo del giudizio una prima volta il 12-4-2010, ma con esito negativo, laddove come da relata del ufficiale giudiziario il destinatario non venne reperito in luogo, mentre le informazioni assunte risultarono negative. Pari esito negativo ebbe la notifica tentata il 21 aprile 2010, sicche’ la notificazione venne eseguita ai sensi dell’articolo 143 c.p.c. mediante deposito di copia dell’atto nella casa comunale come da relata del 3 maggio 2010. Analogo iter si ebbe per la notifica della sentenza pronunciata il 12 luglio del 2010, quindi anch’essa notificata ai sensi dell’articolo 143 c.p.c. il 6 agosto del 2010.

Alla stregua delle analizzate circostanze di fatto la Corte distrettuale osservava che il (OMISSIS) non aveva comprovato in alcun modo di aver abbandonato, comunque definitivamente, la propria residenza per trasferirla a (OMISSIS), essendo d’altronde suo onere curare il ricevimento della posta e degli atti presso il luogo di residenza (mai modificato e rimasto immutato, tant’e’ che nello stesso atto di appello era stata dichiarato ancora l’indirizzo di (OMISSIS)).

Avverso la pronuncia di appello proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) con atto del 24 luglio 2013 affidato ad un solo articolato motivo, variamente articolato ed inseguito illustrato da memoria ex articolo 378 c.p.c., cui ha resistito (OMISSIS) S.r.l. mediante controricorso in data 10 – 2 agosto 2013.

RAGIONI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso il (OMISSIS) ha formulato il seguente motivo: violazione e falsa applicazione dell’articolo 143 c.p.c. e articolo 43 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – omesso esame di fatto decisivo ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Nella specie era stato invalidamente applicato l’articolo 143, norma per la quale citata giurisprudenza di legittimita’ era intervenuta reiteratamente al fine di arginare un uso disinvolto della procedura di notifica c. d. agli irreperibili, arrivando a definirne tassativamente i casi in cui fosse possibile ricorrervi. Nella specie la societa’ non solo aveva omesso di provare di aver eseguito alcuna ricerca nel luogo dove potesse effettivamente dimorare il destinatario, ma aveva altresi’ pacificamente ammesso di essersi limitata ad una mera indagine di natura anagrafica, laddove l’impossibilita’ di individuare il luogo di effettiva residenza non puo’ in alcun modo dirsi incolpevole se risulti, come invece verificatosi nella vicenda in esame, che nessuna ulteriore indagine sia stata compiuta dal soggetto nel cui interesse era stata chiesta la notificazione, tanto piu’ poi nel caso in esame il legale rappresentante della societa’, signor (OMISSIS), era perfettamente al corrente del fatto che sin dall’inizio del rapporto di lavoro il suo dipendente aveva sempre risieduto in (OMISSIS), dove conviveva con la sua compagna, architetto (OMISSIS), anch’ella all’epoca dipendente di (OMISSIS).

Non sussisteva, ad ogni modo, ignoranza incolpevole ex articolo 143 c.p.c., ovvero oggettiva impossibilita’ di individuare il luogo di effettiva residenza, domicilio o dimora del notificando. Inoltre, la Corte territoriale aveva omesso di valutare un punto decisivo della controversia, consistito nell’esplicita ammissione di controparte di essersi limitata ad eseguire una mera ricerca anagrafica del (OMISSIS), mentre con le argomentazioni svolte in proposito la Corte distrettuale aveva dimostrato di essersi ancora nuovamente discostata dall’orientamento giurisprudenziale, piu’ che consolidato, secondo cui in base all’articolo 143 c.p.c. non e’ sufficiente il solo dato oggettivo dell’ignoranza, essendo altresi’ richiesto che tale ignoranza, indipendentemente dalla colpa del destinatario della notifica, per inosservanza dell’onere di denuncia nei registri anagrafici del luogo di sua nuova residenza, sia oggettivamente incolpevole, perche’ non superabile con diligenti indagini.

Vi era stata, inoltre, falsa applicazione del concetto di dimora, domicilio e di residenza, ex articolo 43 c.c., per cui la residenza e’ il luogo in cui la persona ha fissato la sua abituale dimora, ossia il luogo dove il soggetto vive normalmente l’intimita’ sua e della sua famiglia nonche’ le normali relazioni sociali e non dunque quello in cui risulta averla in base alle risultanze anagrafiche, che rivestono valore meramente presuntivo. Considerato, dunque, che sin dall’anno 2003 esso (OMISSIS), pur senza mai trasferire la propria formale residenza, coabitava continuativamente in (OMISSIS) presso la casa della sua compagna, in questo luogo si trovava indubbiamente il centro dei suoi interessi affettivi e sociali e quindi l’effettiva propria residenza. Tanto premesso, il ricorso va disatteso in forza delle seguenti considerazioni.

In primo luogo, va rilevato che la prima parte della doglianza risulta formulata come violazione di legge ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove viene in effetti censurata l’applicazione nella normativa processuale in tema di notificazioni, di guisa che si versa evidentemente nell’ipotesi di error in procedendo, percio’ sussumibile come tale nella sola previsione di cui al n. 4 dello stesso articolo 360 (nullita’ della sentenza o del procedimento), nullita’ che quindi andava ritualmente dedotta univocamente in termini appunto di nullita’ (della notifica del ricorso introduttivo del giudizio, con conseguente invalidita’ della sentenza per difetto di valida instaurazione del contraddittorio nei riguardi della parte convenuta, non costituitasi e quindi in astratto illegittimamente- considerata contumace), cio’ che invece non puo’ dirsi chiaramente avvenuto in base alle varie argomentazioni svolte a supporto del ricorso (non rilevando comunque in proposito quanto eventualmente in senso diverso dedotto con la memoria ex articolo 378 c.p.c., avente com’e’ noto finalita’ meramente illustrative, senza quindi possibilita’ di sanatoria alcuna. V. tra le altre sul punto Cass. 6 civ. – 3 n. 3780 del 25/02/2015: i vizi di genericita’ o indeterminatezza dei motivi del ricorso per cassazione non possono essere sanati da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all’articolo 378 c.p.c., la cui funzione e’ quella di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi gia’ debitamente enunciati nel ricorso e non gia’ di integrare quelli originariamente inammissibili. In senso conforme, tra le altre, Cass. n. 7237 del 2006, Sez. 6 – L n. 26670 del 18/12/2014, Sez. un. n. 11097 del 15/05/2006.

Cfr. poi, quanto alla indispensabile univocita’, Cass. 2 civ. n. 24247 del 29/11/2016, secondo cui il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione ivi stabilite, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Ne deriva che, ove il ricorrente lamenti l’errore processuale consistito nell’aver ritenuto ammissibile una domanda in violazione delle preclusioni processuali, non e’ indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilita’ della fattispecie di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo alla norma processuale violata, purche’ il motivo rechi univoco riferimento alla nullita’ della decisione derivante dalla relativa violazione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorche’ si riferisca esclusivamente alla insufficienza e contraddittorieta’ della motivazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. In senso analogo, Cass. I civ. n. 24553 del 31/10/2013 e Sez. un. civ. n. 17931 del 24/07/2013. Peraltro, non e’ mancato un orientamento interpretativo sul punto ancor piu’ rigoroso, come da sentenza della Sez. 3 civ. di questa Corte, n. 21165 del 17/09/2013, secondo cui costituisce causa di inammissibilita’ del ricorso per cassazione l’erronea sussunzione del vizio, che il ricorrente intende far valere in sede di legittimita’, nell’una o nell’altra fattispecie di cui all’articolo 360 c.p.c.. In senso analogo, v. anche Cass. Sez. 6 – 5 n. 19959 del 22/09/2014: il giudizio di cassazione e’ un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassativita’ e della specificita’ ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’articolo 360 c.p.c., sicche’ e’ inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicita’ di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito).

Inoltre, nella formulazione del ricorso in esame si rilevano pure difetti di allegazioni rilevanti, ex articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6 per quanto concerne il requisito della c.d. autosufficienza, comunque occorrente pure in ordine ad errores in procedendo, rilevanti ex articolo 360, n. 4 cit., segnatamente per cio’ che attiene alla riproduzione degli atti di parte ricorrente e delle contrapposte difese della societa’ intimata in sede di merito, laddove il (OMISSIS) assume pero’ tacite ammissioni della (OMISSIS), invero non apprezzabili in questa sede di legittimita’, ne’ tanto meno ravvisate sul punto dalla Corte territoriale (cfr. tra le Cass. 5 civ. n. 10272 del 26/04/2017, secondo cui l’esame degli atti del giudizio di merito da parte del giudice di legittimita’, ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilita’ del motivo di censura, sicche’, laddove sia denunciata la violazione dell’obbligo di sospendere il processo tributario, a seguito della proposizione di querela di falso contro le relazioni di notificazione degli atti impositivi impugnati, e’ necessario che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini, il testo della querela di falso ed il verbale di udienza relativo al suo deposito davanti al giudice che non ha disposto la sospensione del processo. In senso analogo, v. anche Cass. Sez. 6 – 5, ordinanza n. 5036 del 28/03/2012. Cfr. parimenti Cass. 1 civ. n. 20405 del 20/09/2006: l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimita’ ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilita’ del motivo di censura, onde il ricorrente non e’ dispensato dall’onere di specificare -a pena, appunto, di inammissibilita’- il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Similmente, tra le altre, v. anche Cass. 5 civ. n. 22880 del 29/09/2017). Ed analogamente va rilevato per quanto concerne le relate di notifica a cura dell’ufficiale giudiziario, qui in discussione, atteso che, in particolare, nella nota in calce a pag. 2 del ricorso e’ riportata la sola relata del 21-04-2010, mentre a pag. 7 della sentenza qui impugnata si dava atto anche di una precedente tentata notifica in data 12-04-2010, per cui l’ufficiale giudiziario attesto’ di non aver reperito sul posto il destinatario e che le informazioni all’uopo assunte risultarono negative.

D’altro canto, va ancora ricordato che in tema di errores in procedendo il fatto, di cui e’ consentita la cognizione diretta, da parte della Corte di Cassazione, e’ solo quella che riflette l’attivita’ processuale del giudice e delle parti, non essendo consentito – diversamente da quanto accade in tema di competenza e di giurisdizione – l’apprezzamento delle circostanze di fatto che attengono ai presupposti materiali dell’attivita’ processuale, o costituiscono le componenti in cui si sostanziano rapporti o situazioni suscettibili di ripercuotersi nel processo (Cass. 1 civ. n. 3175 del 25/05/1982, secondo cui di conseguenza non poteva ricondursi nell’ambito della cognizione di fatto sugli errores in procedendo la determinazione della sede effettiva della persona giuridica per stabilire la regolarita’ della notificazione. In senso pressoche’ identico v. pure Cass. 1 civ. n. 2166 del 03/04/1980, id. Sez. lav. n. 3150 del 24/05/1985 ed ancora Cass. 1 civ. n. 2166 del 03/04/1980. Cfr. inoltre Cass. lav. n. 7573 del 22/12/1983, secondo cui ai fini della notificazione a societa’ non avente personalita’ giuridica, la valutazione delle prove per l’accertamento della sede effettiva rientra nel potere del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimita’ se adeguatamente e congruamente motivato, atteso che la Corte di Cassazione, ove venga denunciato un error in procedendo del giudice del merito, puo’ solamente conoscere dell’attivita’ processuale del giudice e delle parti, ma non puo’ direttamente apprezzare le circostanze di fatto che attengono ai presupposti materiali di quell’attivita’ processuale o che costituiscono le componenti in cui si sostanziano rapporti o situazioni suscettibili di ripercuotersi nel processo).

Orbene, alla luce degli anzidetti principi va rilevato quanto accertato ed apprezzato in punto di fatto dalla Corte di merito: cessazione del rapporto di agenzia, da cui trae origine la causa di cui e’ processo, in data 28 febbraio 2008 per dimissioni rassegnate dal (OMISSIS); mantenimento da parte di costui della residenza anagrafica in (OMISSIS) come da certificati in atti; assenza di ogni formale comunicazione da parte dell’agente alla preponente del prospettato cambio di residenza effettiva, da Torino a (OMISSIS), laddove per contro le fatture emesse riportavano sempre e soltanto l’indirizzo corrispondente alla residenza anagrafica; stessa residenza indicata anche nelle acquisite certificazioni sanitarie e laddove inoltre era pervenuta in data sette marzo 2008 una lettera raccomandata a.r., spedita da (OMISSIS); identico indirizzo menzionato pure nella richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione sette maggio 2008, da parte del (OMISSIS), corrispondente altresi’ alle risultanze anagrafiche acquisite dalla societa’ tra il marzo e l’agosto 2010; esito negativo delle informazioni assunte in loco dall’ufficiale giudiziario; inattendibilita’ delle giustificazioni addotte dall’appellante circa la non corrispondenza tra residenza anagrafica e quella asseritamente effettiva, per cui la Corte di merito ha invece, con adeguata motivazione (ancorche’ non condivisa dal ricorrente) ritenuto in punto di fatto che il (OMISSIS) a (OMISSIS) non aveva una stabile dimora, tant’e’ che egli non vi aveva mai trasferito la sua residenza da Torino, sebbene a (OMISSIS) “intrattenesse con la (OMISSIS) una relazione all’epoca del rapporto con (OMISSIS)”, giusta il capo I della prova per testi chiesta dal medesimo;… tutto cio’ consentiva di affermare che mai fosse stato interrotto il collegamento tra l’abitazione di Torino ed il (OMISSIS); irrilevanza della circostanza della cena natalizia di dicembre 2007 a (OMISSIS), che di per se’ non poteva dare contezza di quale fosse la residenza effettiva di coloro che vi avevano partecipato, e trattandosi di circostanza risalente a circa due anni e mezzo prima delle notificazioni de quibus, laddove inoltre pure la (OMISSIS) aveva interrotto il suo rapporto con (OMISSIS) a febbraio 2008; ne’ poteva ragionevolmente sostenersi che la societa’ avrebbe dovuto “tentare” la notifica in (OMISSIS), non essendo di certo tenuta, nemmeno secondo i canoni della diligenza ordinaria, ma non eccezionale, tentare notifiche in luoghi dove in passato (cioe’ fino a oltre due anni prima) il (OMISSIS) si era trovato a cenare o magari anche a soggiornare temporaneamente; irrilevanza del fatto che il fratello del ricorrente da maggio 2009 non avrebbe piu’ abitato a (OMISSIS), trattandosi di circostanza inerente comunque ad altra persona e non comprovante in alcun modo che anche l’appellante avesse abbandonato definitivamente tale residenza per trasferirla a (OMISSIS), non avendo invece mai mutato la propria residenza anagrafica, tanto piu’ che lo stesso (OMISSIS) anche nel ricorso ex articolo 414 c.p.c. depositato il 28 novembre 2011 (relativo a separato contenzioso, tra le stesse parti, pero’ introdotto dall’attuale ricorrente) “e ancora oggi nell’appello” aveva dichiarato di risiedere a (OMISSIS).

Per queste ed altre considerazioni in punto di fatto la Corte distrettuale ha giudicato senz’altro valida la notifica del ricorso introduttivo del giudizio e poi della conseguente sentenza (ad ogni modo cio’ che rileva, ai fini dell’impugnata declaratoria d’inammissibilita’, e’ la notifica del ricorso introduttivo, di cui poi alla successiva pronuncia in data 12 luglio 2010, per cui, una volta accertata la rituale insaturazione del rapporto processuale, anche per il contumace decorreva il termine lungo di cui all’articolo 327 c.p.c., sicche’, indipendentemente da quello breve dalla notifica della sentenza ex articolo 434 c.p.c., ad ogni modo il ricorso d’appello, depositato il 23 febbraio 2012, risultava ormai tardivo).

Pertanto, a fronte degli anzidetti motivati accertamenti, compiuti dai competenti giudici di merito, inconferenti si appalesano le doglianze in proposito svolte dal ricorrente, sicche’ neppure sono ravvisabili gli errori in diritto all’uopo ipotizzati (essendo stata acclarata, come sopra visto, dalla Corte territoriale l’ordinaria diligenza della parte notificante circa la ritenuta ignoranza della residenza, della dimora o del il domicilio del destinatario, pacifica inoltre essendo la mancanza di procuratore abilitato ex articolo 77 c.p.c., di modo che correttamente l’ufficiale giudiziario incaricato eseguiva la notificazione mediante deposito di copia dell’atto nella casa comunale dell’ultima residenza, a norma dell’articolo 143 dello stesso codice di rito, disposizione di legge che a tal proposito, inoltre, indica testualmente soltanto, appunto, l’ultima residenza, la quale ovviamente non poteva che corrispondere se non a quella pubblicamente resa nota in base ai registri d’anagrafe).

Risulta, per altro, verso assolutamente inammissibile l’asserita omessa valutazione, per cui erroneamente e’ stato dedotto il vizio contemplato dall’articolo 360 c.p.c., n. 5 (peraltro secondo il testo attualmente vigente, ratione temporis applicabile con riferimento alla impugnata sentenza, risalente al gennaio / febbraio 2013, di guisa che, in particolare, il difetto di motivazione puo’ rilevare soltanto se abbia violato il c.d. minimo costituzionale – cfr. sul punto, tra le altre, Cass. sez. un. civ. nn. 8053 e 8054 del 2014). In effetti, al riguardo parte ricorrente non ha individuato alcun preciso fatto storico e decisivo che sia stato pretermesso nelle valutazioni di competenza dal collegio giudicante, avendo piuttosto dedotto argomentazioni e/o questioni giuridiche, pero’ meramente dissenzienti rispetto a quanto opinato e deciso dalla Corte distrettuale.

Invero, per consolidato orientamento di questa Corte, la motivazione omessa o insufficiente e’ configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non gia’ quando, invece, vi sia difformita’ rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (in termini, tra le tante, Cass. sez. un. civ. n. 24148 del 2013). Infatti, il motivo di ricorso ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non conferisce alla Corte di legittimita’ il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza nonche’ scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti in discussione, dando cosi’ liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. sez. un. civ. n. 5802 del 1998, nonche’ Cass. n. 1892 del 2002, n. 15355 del 2004, n. 1014 del 2006, n. 18119 del 2008).

Nella specie, parte ricorrente, lungi dal denunciare una totale obliterazione di un “fatto controverso e decisivo” che, ove valutato, avrebbe condotto, con criterio di certezza e non di mera probabilita’, ad una diversa decisione, si e’ limitata, attraverso un vago e pure lacunoso riesame delle risultanze istruttorie, a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo patrocinato dalla parte stessa, proponendo un preteso migliore e piu’ appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti; tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalita’ di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento, rilevanti ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sicche’ la censura in esame, anche laddove deduce solo formalmente violazioni di legge, si traduce in sostanza nell’invocata revisione delle valutazioni e dei convincimenti espressi dal giudice di merito, tesa a conseguire una nuova pronuncia sul fatto, non ammessa perche’ estranea alla natura ed alla finalita’ del giudizio di legittimita’.

Pertanto, il ricorso va respinto, con la conseguente condanna della parte rimasta soccombente al rimborso delle relative spese. Stante, infine, l’esito integralmente negativo dell’impugnazione ricorrono i presupposti di legge per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

P.Q.M.

la Corte RIGETTA il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida, a favore di parte controricorrente, in Euro 3.500,00 per compensi professionali ed in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.