Corte di Cassazione – Sentenza n. 1519 del 18 gennaio 2023

FATTI DI CAUSA

A seguito di un p.v.c. del 30.7.2009 elevato dalla G.d.F. di Lucca, l’Agenzia delle Entrate-Direzione Provinciale di Lucca notificò a (OMISSIS) in liquidazione, per gli anni d’imposta 2006 e 2007, due distinti avvisi di accertamento con cui si contestava l’indeducibilità di costi ai fini delle II.DD. e l’indebita detrazione di IVA assolta in relazione ad operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, giacché riguardanti un’attività (compravendita di beni) di fatto non svolta; secondo l’Ufficio, la società aveva spiegato, al riguardo, una mera interposizione fittizia, allo scopo di consentire agli acquirenti di accedere ad agevolazioni creditizie o di ottenere dilazioni di pagamento. La società impugnò gli avvisi con distinti ricorsi dinanzi alla C.T.P. di Lucca, che con sentenza n. 134/4/13, previa riunione, li accolse, annullando gli avvisi impugnati; ciò in quanto non risultava provata la supposta interposizione, né che fosse stato arrecato alcun danno all’Erario. Avverso detta sentenza propose appello l’Agenzia delle Entrate, che la C.T.R. della Toscana rigettò con sentenza del 10.5.2016, n. 891/16/16, evidenziando che non era stata raggiunta alcuna prova dell’accordo simulatorio fra tutti i soggetti interessati e che – anzi – il ruolo assunto dalla (OMISSIS) era effettivo e teso allo svolgimento di un’attività del tutto lecita.
L’Agenzia delle Entrate ricorre ora per cassazione, affidandosi a formali tre motivi, cui resiste (OMISSIS) in liquidazione con controricorso. Il P.G. ha depositato requisitoria scritta, chiedendo il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 54, comma 2, D.P.R. n. 633/1972, degli artt. 39, 40 e 41-bis, D.P.R. n. 600/1973, nonché dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Rileva l’Agenzia ricorrente – dopo aver descritto talune operazioni commerciali in cui s’era manifestato il ruolo anomalo della (OMISSIS), intervenuta nelle stesse al solo fine di ottenerne la finanziabilità ex lege Sabatini – che la C.T.R. ha errato nel ragionamento presuntivo posto a base della propria decisione, perché gli argomenti dalla stessa utilizzati per affermare che la società contribuente avesse effettivamente commercializzato i beni in discorso appaiono del tutto inverosimili e violative dei criteri dettati dall’art. 2729 c.c.
1.2 – Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 54, comma 2, D.P.R. n. 633/1972, nonché “dei principi indicati nelle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea”, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Dopo aver descritto il principio di neutralità dell’IVA, come anche interpretato dalla giurisprudenza eurounitaria, la ricorrente si duole del fatto che – se anche i costi in esame fossero effettivi e non fittizi – l’IVA relativa non potrebbe comunque essere detratta, per mancanza di inerenza rispetto all’attività finanziaria posta in essere dalla (OMISSIS), e al più secondo il meccanismo del c.d. pro rata, l’attività finanziaria essendo esente ai fini IVA, ex art. 10, comma 1, D.P.R. n. 633/1972, donde comunque l’erroneità della sentenza impugnata.
1.3 – Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 54, comma 2, D.P.R. n. 633/1972, nonché degli artt. 39, 40 e 41-bis, D.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Sostiene la ricorrente che la C.T.R. avrebbe errato nell’attribuire rilevanza sia alla questione della mancanza della prova dell’accordo simulatorio, sia a quella della pretesa mancanza di danno per l’erario: quanto alla prima, perché la giurisprudenza nazionale e sovranazionale hanno da tempo chiarito che il committente/cessionario conserva il diritto alla detrazione dell’imposta inerente ad un’operazione fraudolenta solo ove dimostri la propria buona fede, ossia la propria inconsapevolezza circa la partecipazione col proprio acquisto ad una simile operazione, sicché nella specie la contraria consapevolezza in capo alla (OMISSIS) è da ritenersi in re ipsa, poiché le transazioni s’erano svolte tra altri soggetti; quanto alla seconda, perché il rapporto è trilatero.

2.1 – Il ricorso è inammissibile perché tardivamente proposto.
2.2 – Prima di addentrarsi in medias res, è opportuno tuttavia precisare che la disamina che seguirà nei paragrafi successivi, in ordine alla normativa applicabile alla notifica telematica a mezzo PEC e alla stessa disciplina processuale (in particolare, art. 147 c.p.c.), concernerà specificamente quella risultante dal testo vigente ratione temporis, com’è ovvio, anche in ossequio al noto principio tempus regit actum; pertanto, poiché verranno richiamate disposizioni frattanto abrogate ovvero oggetto di complessivo riordino (valgano, per tutte, quella di cui all’art. 16-septies del d.l. n. 179/2012, o anche il corpus del d.lgs. n. 82/2005, c.d. Codice dell’amministrazione digitale-C.A.D.), o anche integrate in coerenza con la pronuncia di incostituzionalità di cui infra (il riferimento è, in particolare, all’art. 147 c.p.c., al cui originario primo comma sono stati inseriti due ulteriori commi, che risolutivamente così recitano: «2. Le notificazioni a mezzo posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato possono essere eseguite senza limiti orari. 3. Le notificazioni eseguite ai sensi del secondo comma si intendono perfezionate, per il notificante, nel momento in cui è generata la ricevuta di accettazione e, per il destinatario, nel momento in cui è generata la ricevuta di avvenuta consegna. Se quest’ultima è generata tra le ore 21 e le ore 7 del mattino del giorno successivo, la notificazione si intende perfezionata per il destinatario alle ore 7»), si ometterà, di regola e per brevità, di far cenno alle modifiche successive, giacché questione non rilevante ai fini della decisione. In particolare, quanto al C.A.D., si farà riferimento al testo risultante per effetto dell’intervento di cui al d.lgs. n. 179/2016.
2.3 – Ciò posto, la sentenza impugnata è stata pubblicata il 10 maggio 2016 e non è stata notificata; pertanto, il termine lungo ex art. 327 c.p.c. scadeva il 12 dicembre 2016 (l’11 dicembre cadeva di domenica), appunto ultimo giorno del semestre in parola.
Ebbene, dalla attestazione di conformità “cumulativa” di notifica PEC prodotta dall’Agenzia ricorrente e datata 13 dicembre 2016, risulta che il ricorso in esame è stato notificato, con spedizione all’indirizzo del destinatario, asseritamente in data 12 dicembre 2016, con accettazione del messaggio in data 13 dicembre 2016 alle ore 00:00:01, come da ricevuta generata dal gestore della posta elettronica certificata della mittente, e consegna allo stesso destinatario alle ore 00:00.05 del medesimo giorno.
2.4 – In proposito, è ben noto che la Corte cost., con la sentenza n. 75/2019, ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 16-septies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, inserito dall’art. 45-bis, comma 2, lettera b), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114, nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta”.
Il giudice delle leggi ha dunque ritenuto l’irrazionalità di una disposizione che, richiamando la regola di cui all’art. 147 c.p.c. (che fa divieto di notificare gli atti prima delle ore 7 e dopo le ore 21), mal si attagliava alle peculiarità della notificazione telematica, mediando – al lume del principio di scissione soggettiva degli effetti della notifica, coniato dalla nota Corte cost. n. 477/2002 – tra l’esigenza del destinatario di non dover continuamente controllare la propria casella di posta elettronica (con conseguente lesione del proprio diritto al riposo) e quella del mittente di non veder negato ogni effetto ad una attività che, benché effettuata successivamente alle ore 21, ma pur sempre entro l’ultimo giorno utile, ineluttabilmente – in caso di impugnazione – comportava la consegna del messaggio stesso al destinatario, giacché il sistema non può rifiutare la ricezione. Si è quindi ritenuto, in tal guisa, di poter operare una reductio ad legitimitatem dell’art. 16-septies cit., nel senso che la spedizione del messaggio a mezzo PEC effettuata tra le ore 21 e la fine dell’ultimo giorno continua a perfezionarsi, per il destinatario, alle ore 7 del giorno successivo, mentre per il mittente occorre far riferimento al momento della generazione della ricevuta di accettazione di cui all’art. 6, comma 1, d.P.R n. 68/2005 (recante Regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata), “nella quale sono contenuti i dati di certificazione che costituiscono prova dell’avvenuta spedizione” (così quest’ultima disposizione): pertanto, prosegue la Corte costituzionale, poiché il termine di cui all’art. 155 c.p.c. si computa «a giorni», “nel caso di impugnazione, [esso] scade, appunto, allo spirare della mezzanotte dell’ultimo giorno” (si richiamano, in proposito, Cass. n. 17313/2015, nonché Cass. n. 20590/2017).
D’altra parte, conclude la stessa Corte costituzionale, l’irrazionalità della soluzione originariamente adottata dal legislatore si coglie plasticamente nel confinante ambito della disciplina del deposito telematico degli atti processuali di parte, laddove, proprio in riferimento alla tempestività del termine di deposito telematico, l’art. 16-bis, comma 7, del d.l. n. 179/2012, inserito dall’art. 51 del d.l. n. 90/2014, prevede che il “deposito è tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta consegna è generata entro la fine del giorno di scadenza e si applicano le disposizioni di cui all’articolo 155, quarto e quinto comma, del codice di procedura civile”.
2.5 – La giurisprudenza di questa Corte s’è ovviamente adeguata alla predetta pronuncia di illegittimità costituzionale, non mancando di ribadire che la reductio ad legitimitatem dell’art. 16-septies cit. trova la sua giustificazione concettuale proprio nell’applicazione del principio di scissione soggettiva degli effetti della notifica anche alle notifiche con modalità telematiche (come del resto previsto dell’art. 3-bis, comma 3, della legge n. 53/1994), “essendo altrimenti impedito al ricorrente di utilizzare appieno il tempo per approntare la propria difesa” (Cass. n. 29584/2021; nello stesso senso, la precedente Cass. n. 4712/2020).
L’unico momento rilevante, ai fini della verifica circa la tempestività della notifica telematica dell’atto processuale, è dunque quello di generazione della ricevuta di accettazione rilasciata dal gestore di posta elettronica certificata del mittente, e non quello di materiale invio del messaggio, proprio al lume del combinato disposto dei già citati artt. 3-bis, comma 3, della legge n. 53/1994, e 6, comma 1, D.P.R. n. 68/2005, nonché del ripetuto art. 16-septies, nel testo risultante dalla pronuncia additiva di incostituzionalità più volte richiamata (“la notificazione si considera perfezionata … al momento di generazione della predetta ricevuta”): una applicazione ancor più “estesa” del principio di scissione (nel senso, cioè, di ritenere possibile l’anticipazione del momento perfezionativo della notificazione, per il mittente, a quello del mero invio del messaggio stesso, per quanto eventualmente documentato), è incompatibile col dettato normativo e non può dunque essere perseguita, perché la “prova dell’avvenuta spedizione” è data soltanto dalla ricevuta di accettazione (art. 6, comma 1, D.P.R. n. 68/2005).
2.6 – Risulta quindi palese che, poiché nella specie la ricevuta di accettazione della spedizione è stata generata solo in data 13 dicembre 2016, alle ore 00:00:01 (come da documentazione prodotta dall’Agenzia delle Entrate), la notifica in discorso s’è perfezionata in ogni caso tardivamente per la stessa ricorrente, quando già era iniziato il giorno successivo a quello di scadenza. Pertanto, diventerebbe a tal punto irrilevante verificare se il ricorso sia stato comunque inoltrato a mezzo PEC quando ancora il giorno di scadenza del termine non s’era interamente consumato (ossia, entro la fine del 12 dicembre 2016, come nella sostanza allegato dall’Agenzia ricorrente), non potendo farsi ricorso, in subiecta materia, ad una nozione “estesa” del principio di scissione degli effetti della notifica, come già s’è detto ampiamente.
2.7.1 – La assoluta peculiarità della vicenda consente però a questa Corte di meglio puntualizzare alcuni snodi essenziali sul tema che occupa, su cui la giurisprudenza – da quanto risulta – non ha finora avuto modo di confrontarsi.
Del resto – ferma la convinta adesione alla tesi prima esposta – ove anche volesse accedersi ad una nozione “estesa” del ripetuto principio di scissione degli effetti della notifica in subiecta materia, il ricorso in esame non sfuggirebbe comunque alla valutazione di tardività e sarebbe in ogni caso inammissibile.
Infatti, al contrario di quanto dedotto dalla stessa Agenzia ricorrente, il ricorso stesso è stato comunque materialmente spedito soltanto in data 13 dicembre 2016, ossia a termine di impugnazione già spirato; ciò emerge in modo inequivoco dal “dettaglio” della spedizione (documento allegato alla predetta attestazione di conformità, e rappresentativo del solo “messaggio originale”), che segna lapidariamente tali testuali elementi: “Data Spedizione 13 12 2016 00:00:00”.
Nella sostanza, da quanto emerge da tale documento (che è opponibile ai terzi ai sensi dell’art. 48, comma 3, del C.A.D., e dell’art. 1 d.m. 2.11.2005, in quanto rilasciato dal gestore del servizio, come meglio si dirà infra), nonché, in ogni caso, dalla stessa prospettazione della ricorrente, emerge che il patrono erariale che ha proceduto alla notifica del ricorso a mezzo PEC, avvalendosi delle disposizioni di cui agli artt. 6 e 9 della legge n. 53/1994 e all’art. 23 del C.A.D., lo ha fatto (“cliccando” l’invio del messaggio) nell’esatto momento in cui – appena spirato il 12 dicembre – era già iniziato il nuovo giorno, ossia il 13 dicembre 2016, alle ore 00:00:00.
2.7.2 – Sul punto, le parti hanno peraltro interloquito solo nell’ambito del ricorso e del controricorso (ove la società ha peraltro sollevato l’eccezione di tardività, avuto riguardo al testo originario dell’art. 16-septies del d.l. n. 179/2012, conv. in legge n. 221/2012), non constando attività difensive successive.
Tuttavia, la testuale indicazione della difesa erariale (per come riportata nella citata attestazione di conformità) nel senso che il ricorso in esame sarebbe stato “spedito il 12/12/2016”, merita una adeguata considerazione; ciò perché – per quanto se ne sia esclusa l’applicabilità, come s’è più volte detto – il ricorso potrebbe allora considerarsi tempestivamente proposto qualora dovesse accedersi ad una nozione lata o “estesa” del ripetuto principio di scissione degli effetti della notifica.
2.7.3 – Ciò posto, nella sostanza, l’allegazione dell’Agenzia circa l’avvenuta spedizione del ricorso nel giorno 12 dicembre 2016 (benché il documento di “dettaglio” attesti, invece, che la spedizione materiale è avvenuta il 13 dicembre 2016, alle ore 00:00:00), sottende l’idea che le ore 00:00:00 di un dato giorno “x” possano anche leggersi come le ore 24:00:00 del giorno “x-1”.
Così non è, non essendo concepibile – già sul piano logico – che un determinato “minuto secondo” possa appartenere, ad un tempo, a due giorni, quand’anche immediatamente contigui.
Infatti, premesso che il calcolo del tempo (e quanto ad esso connesso, a partire dalla sua nozione e consistenza, oggetto di analisi da parte di filosofi e scienziati fin dall’antichità) è tra i temi scientifici più affascinanti e complessi, e che non è certo intenzione (né compito) di questa Corte addentrarsi in ambiti che non le competono, è indubbio che il tempo scandisce il vivere civile e, a ben vedere (ciò che qui più interessa), la stessa progressione di un processo – quale anche quello civile ordinario – che presuppone lo scorrere del tempo stesso, essendo strutturato per fasi successive, con i connessi termini (perentori o ordinatori, acceleratori o dilatori, ecc.) per lo svolgimento delle relative attività, secondo le singole previsioni normative. Lo stesso art. 155 c.p.c., del resto, non manca di rinviare al calendario comune, riguardo ai termini che si computano a mesi o ad anni.
D’altra parte, la sempre più crescente telematizzazione del processo ha finito col porre all’interprete una serie di interrogativi che giungono ad intersecare il diritto con i più vari “saperi”. Il caso che occupa ne è un classico esempio: quando finisce esattamente un dato giorno? Quando inizia esattamente il giorno successivo?
In relazione al tema della notificazione, il problema, com’è intuitivo, ben poteva apparire poco rilevante allorquando l’intervento diretto di uno specifico soggetto a ciò abilitato, diverso dal mittente, era essenzialmente ineludibile (si trattasse di notifica a mezzo ufficiale giudiziario, a mezzo del servizio postale, ecc.), venendo in rilievo non solo la regola dettata dall’art. 147 c.p.c., secondo cui “Le notificazioni non possono farsi prima delle ore 7 e dopo le ore 21”, ma anche il tema dell’accessibilità fisica ai relativi uffici di appartenenza, non prima di (e non dopo) un certo orario.
La questione ha assunto invece tutt’altra valenza allorquando alle modalità di notificazione tradizionale, o analogica, si è affiancata la ben più pratica ed agevole notificazione con modalità telematiche; infatti, in questo specifico ambito, all’esito della già citata Corte cost. n. 75/2019, la notifica si perfeziona tempestivamente a condizione che “la … ricevuta di accettazione [sia] generata … entro le ore 24” del giorno di scadenza, ai sensi dell’art. 16-septies del d.l. n. 179/2012, conv. in legge n. 221/2012, nel testo risultante dalla detta pronuncia additiva (e qui applicabile ratione temporis). Ecco che, dunque, la stessa consumazione della misura minima del tempo, nella partizione rilevante per il processo (ossia, un solo “minuto secondo”, come meglio si dirà tra breve), può assumere un valore decisivo, perché da ciò può dipendere la valutazione circa la tempestività o l’intempestività della notifica.
D’altra parte, non solo la Corte costituzionale, ma questa stessa Corte di cassazione hanno talvolta fatto riferimento alla necessità del compimento di un determinato atto “entro le ore 24:00” del giorno di scadenza (così, da ultimo, Cass. n. 1383/2022; ma v. anche il riferimento a tale specifica ora, per come operato da Cass. n. 23149/2014, benché nel diverso ambito inerente all’efficacia del pagamento del premio assicurativo); sarebbe quindi del tutto lecito chiedersi se ciò abbia una valenza ontologica, ossia se tanto possa significare che l’indicazione delle “ore 24:00” di un dato giorno, quale dies ad quem per la noticazione di un atto, possa dirsi effettivamente valida.
2.7.4 – Ora, premesso che la misurazione del tempo, benché collegata a nozioni che svariano dalla filosofia all’astrofisica, ha essenzialmente una base convenzionale oltre che scientifica, occorre comunque evidenziare che – almeno ai fini che qui interessano – il primario dato normativo di riferimento va individuato nel Regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23.7.2014 (c.d. Regolamento eIDAS – electronic IDentification Authentication and Signature), che tra l’altro, “Allo scopo di garantire il buon funzionamento del mercato interno perseguendo al contempo un adeguato livello di sicurezza dei mezzi di identificazione elettronica e dei servizi fiduciari, (…) c) istituisce un quadro giuridico per le (…) le validazioni temporali elettroniche (…)” (art. 1), che consistono in “dati in forma elettronica che collegano altri dati in forma elettronica a una particolare ora e data, così da provare che questi ultimi esistevano in quel momento” (art. 2, n. 33); in particolare, è previsto che “Una validazione temporale elettronica qualificata gode della presunzione di accuratezza della data e dell’ora che indica e di integrità dei dati ai quali tale data e ora sono associate” (art. 41, par. 2), e che essa “si basa su una fonte accurata di misurazione del tempo collegata al tempo universale coordinato” (art. 42, lett. b).
Occorre poi richiamare, quanto all’ambito interno, l’art. 48, comma 3, del C.A.D. (nel testo vigente ratione temporis), che stabilisce che “La data e l’ora di trasmissione e di ricezione di un documento informatico trasmesso ai sensi del comma 1 sono opponibili ai terzi se conformi alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, ed alle relative regole tecniche, ovvero conformi alle regole tecniche adottate ai sensi dell’articolo 71”. Ed ancora, viene in rilievo detto ultimo Regolamento, già citato (v. par. 2.4), il cui art. 10, rubricato “Riferimento temporale”, stabilisce che “1. Il riferimento temporale e la marca temporale sono formati in conformità a quanto previsto dalle regole tecniche di cui all’articolo 17. 2. I gestori di posta elettronica certificata appongono un riferimento temporale su ciascun messaggio e quotidianamente una marca temporale sui log dei messaggi”. L’art. 17 cit., a sua volta e finalmente, rinvia per l’individuazione delle suddette regole tecniche ad un ulteriore regolamento ministeriale, adottato dal M.I.T. con d.m. 2.11.2005 (recante, appunto, le Regole tecniche per la formazione, la trasmissione e la validazione, anche temporale, della posta elettronica certificata), che dapprima, all’art. 1, definisce la “marca temporale” come “un’evidenza informatica con cui si attribuisce, ad uno o più documenti informatici, un riferimento temporale opponibile ai terzi secondo quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 e dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 13 gennaio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27 aprile 2004, n. 98”; e poi, all’art. 9, stabilisce che “1. A ciascuna trasmissione è apposto un unico riferimento temporale, secondo le modalità indicate nell’allegato. 2. Il riferimento temporale può essere generato con qualsiasi sistema che garantisca stabilmente uno scarto non superiore ad un minuto secondo rispetto alla scala di Tempo Universale Coordinato (UTC), determinata ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 11 agosto 1991, n. 273”. Più di recente, è stato emesso un documento, rinvenibile sul sito internet dell’Agenzia per l’Italia digitale (AGID), in coerenza col disposto del già citato art. 48, comma 3, C.A.D., denominato “Regole tecniche del servizio di trasmissione di documenti informatici mediante posta elettronica certificata”, di cui si dirà in prosieguo.
2.7.5 – Il riferimento temporale che viene in rilievo, ai fini delle trasmissioni a mezzo PEC, è dunque il Coordinated Universal Time (noto con l’acronimo UTC); questo rappresenta una scala di tempo che, parametrata al fuso orario corrispondente per ciascun Paese (in Italia, +1 o +2, a seconda che sia in vigore l’ora solare o l’ora legale), è stata adottata dall’International Telecommunication Union (Agenzia nell’egida dell’ONU, con sede a Ginevra) e diffusa a livello planetario a partire dal 1972.
Detta modalità di misurazione, pur sostanzialmente coincidente con il GMT (c.d. Tempo Medio di Greenwich), è basata su complesse metodologie di calcolo generate da precisi orologi atomici, per quanto necessiti di specifiche correzioni ad epoche prefissate (generalmente apportate, se del caso, il 30 giugno e/o il 31 dicembre di ogni anno), per allineare l’UTC alla velocità di rotazione della Terra, non sempre costante. In tal caso, l’adeguamento può comportare l’addizione o la sottrazione di un secondo: si tratta del c.d. “secondo intercalare”, o leap-second, in terminologia anglosassone, e il suo utilizzo è demandato all’International Earth Rotation and Reference Systems Service-IERS.
Può dunque accadere che – secondo i dati emergenti dalle suddette misurazioni e con un preavviso, di regola, di circa sei mesi – lo IERS stabilisca che occorre apportare una correzione ad un determinato giorno di fine giugno o fine dicembre, stabilendone la durata in 24h più un secondo, ovvero in 24h meno un secondo, in base all’occorrenza (si veda, in particolare, la Recommendation ITU-R TF 460-6); da quanto consta, l’ultima l’addizione di un secondo, da parte dello IERS, è avvenuta il 31 dicembre 2016, che pertanto – anticipandosi sin d’ora quanto meglio si dirà nel par. 2.7.7 – è spirato alle ore 23:59:60 ed è durato un secondo in più rispetto alla norma. Pertanto, è evidente che, ove l’ente preposto dovesse valutare la necessità di sottrarre un secondo (evenienza che, da quanto risulta, non s’è finora mai verificata), quel dato giorno verrebbe a spirare alle ore 23:59:58, ossia durerebbe un secondo in meno.
2.7.6 – In ogni caso, il termine di cui all’art. 155 c.p.c., come già visto (v. par. 2.4), si computa «a giorni»; la durata del giorno, di regola, viene scandita – su sei cifre, secondo lo schema “00:00:00”, come da standard ISO 8601 – in ore, minuti e secondi che definiscono 24h complete, pari ad 86.400 secondi (si veda, sul punto, anche il documento supra richiamato al par. 2.7.4, denominato “Regole tecniche del servizio di trasmissione di documenti informatici mediante posta elettronica certificata”, § 7.2 in particolare). Ed è anche ben noto che il secondo è l’unità di misura del tempo posta a base del SI, ossia il Sistema Internazionale, adottato in Italia dal D.P.R. n. 802/1982, in adeguamento alla Dir. del Consiglio CEE del 18 ottobre 1971 (71/354/CEE), e successive modifiche.
2.7.7 – Tirando le fila di quanto fin qui sunteggiato, emerge dunque che, anzitutto, la misurazione relativa al giorno “x” non può che avere come dato iniziale, per una ragione di immediata intuitività logica, le ore 00:00:00; sul punto, può qui anche richiamarsi Cass. n. 24637/2014, che – seppur senza giungere a tale elemento di dettaglio, in quel caso non necessario – indica significativamente, e non a caso, il momento d’inizio del calcolo con “le ore zero del giorno stesso”.
In secondo luogo, poiché il giorno è destinato a durare, di regola, complessivi 86.400 secondi, ne deriva che la fine del giorno considerato (ovvero, “lo spirare della mezzanotte”, per usare le medesime parole di Corte cost. n. 75/2019) non resta integrata fino a che l’ultimo secondo (ossia, l’86.400°) non si sia ancora integralmente consumato, il che avviene nell’esatto momento in cui scatta il secondo immediatamente successivo: pertanto, il giorno in questione termina effettivamente – almeno ai fini che qui interessano, com’è ovvio – alle ore “23:59:59” UTC (in relazione al fuso orario italiano), mentre quello immediatamente seguente segnerà le ore “00:00:00” UTC, senza soluzione di continuità, indiscutibilmente rappresentando il primo secondo del nuovo giorno. Almeno con riguardo alle notifiche telematiche, non può dunque configurarsi alcuno spazio, tecnicamente inteso, perché vengano prese in considerazione le ore “24:00:00”.
Pertanto, quale ulteriore corollario, si ha che il riferimento alla “ricevuta di accettazione … generata … entro le ore 24 …”, come indicato dalla più volte citata Corte cost. n. 75/2019, deve essere letto nel senso che la ricevuta in discorso, ove si tratti di notificazione di una impugnazione, deve essere generata al più tardi entro la ventiquattresima ora dell’ultimo giorno, ossia entro le ore 23:59:59.
Il discorso, naturalmente, può complicarsi ove un evento simile a quello da cui origina la questione in esame – indubbiamente “al limite”, oltre che di sicura rarità –, che si svolgesse con la medesima tempistica (ossia, con invio del messaggio nel secondo immediatamente successivo all’86.400° secondo del giorno di scadenza) dovesse intervenire in uno dei giorni oggetto di adeguamento mediante addizione del “secondo intercalare” (v. supra, par. 2.7.5), ma il problema è certamente irrilevante nel caso che occupa, giacché il 12 dicembre 2016 non venne interessato dalla questione.
2.8 – Pertanto, sia in forza della prospettazione dell’Agenzia ricorrente, sia in base alle risultanze del “messaggio originale” documentato dalla stessa – in assenza di qualsiasi ulteriore questione circa la funzionalità e l’adeguatezza del sistema informatico di gestione della posta elettronica, neppure adombrata – emerge che il ricorso stesso venne avviato all’invio telematico, in modo inequivocabile, il 13 dicembre 2016 alle ore 00:00:00, cioè quando il termine lungo ex art. 327 c.p.c. era già irrimediabilmente scaduto.
Neppure una interpretazione “estesa” del principio di scissione degli effetti della notifica – che comunque, lo si ribadisce per chiarezza, non si ritiene perseguibile (v. amplius, par. 2.5) – avrebbe dunque potuto scongiurare l’inammissibilità dell’impugnazione erariale.
2.9 – Sulla questione fin qui esaminata può dunque affermarsi il seguente principio di diritto: “In tema di notifica del ricorso per cassazione a mezzo PEC, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 75 del 2019 – che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 16-septies del d.l. n. 179/2012, conv. in legge n. 221/2012 nella parte in cui tale norma prevedeva che la notifica eseguita con modalità telematiche, la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 dell’ultimo giorno utile ad impugnare, si perfeziona, per il notificante, alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta – l’applicazione della regola generale di scindibilità soggettiva degli effetti della notificazione per notificante e destinatario implica che la stessa ricevuta di accettazione deve essere generata, al più tardi, entro la ventiquattresima ora del predetto ultimo giorno utile, ossia entro le ore 23:59:59 (UTC), giacché, con l’insorgere del secondo immediatamente successivo, alle ore 00:00:00 (UTC), il termine di impugnazione deve intendersi irrimediabilmente scaduto, per essere già iniziato il nuovo giorno, restando irrilevante che il ricorso sia stato già avviato alla spedizione dal mittente prima di tale momento”.

3.1 – In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Trattandosi di impugnazione proposta da un’amministrazione dello Stato, non sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228/2012 (v. Cass. n. 1778/2016).

P. Q. M.

la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in € 10.000,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno 29.9.2022.