Corte di Cassazione – Ordinanza n. 6015 del 28 febbraio 2023

RILEVATO IN FATTO CHE

– la societa’ contribuente impugnava l’intimazione di pagamento notificatale a fronte di un importo complessivo di Euro 178.626,12 portate da svariate cartelle di pagamento;

– la CTP accoglieva il ricorso limitatamente alle notifiche effettuate senza l’estensione c.d. “p7m”, attestante la certificazione della firma;

– appellava l’Ufficio; la CTR dichiarava il non luogo a procedere per pendenza di autonomo giudizio quanto alle cartelle dal n. 1 al n. 11 dell’intimazione, eccettuata la terza e l’ottava; accoglieva l’impugnazione, con esclusione delle cartelle n. (OMISSIS); (OMISSIS); (OMISSIS) in quanto prescritte;

– ricorre a questa Corte la societa’ contribuente con atto affidato a tre motivi; resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

CONSIDERATO IN DIRITTO CHE

– preliminarmente, il Collegio ritiene debba dichiararsi cessata la materia del contendere riguardo alle cartelle di cui a pag. 7 ultima riga del controricorso;

– va analogamente dichiarato inammissibile il ricorso con riguardo alle cartelle indicate a pag. 8 del controricorso per difetto di interesse, stante la definizione agevolata delle stesse;

– in ogni caso, in ordine a tali profili, l’Agenzia delle entrate non produce alcun documento al riguardo (sgravio e dichiarazione della contribuente di avvalersi della definizione agevolata) anche se al riguardo la ricorrente non ha replicato, come ben poteva fare con memoria ex articolo 380 bis c.p.c.;

– venendo al primo motivo di ricorso, la censura in esame denuncia la violazione e/o falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 50, comma 2 e articolo 26, comma 2, nonche’ del Decreto Legislativo n. 82 del 2005, articolo 82, comma 6, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 poiche’ l’intimazione impugnata e’ stata notificata dall’agente della riscossione utilizzando un indirizzo PEC non riconducibile a quello inserito nei pubblici registri e per tale circostanza doveva dichiararsi illegittimamente e invalidamente notificata;

– il motivo e’ infondato;

– come questa Corte ha recentemente statuito nella sua massima composizione nomofilattica (con la pronuncia Cass. Sez. U, Sentenza n. 15979 del 18/05/2022) in tema di notificazione a mezzo PEC, la notifica avvenuta utilizzando un indirizzo di posta elettronica istituzionale, non risultante nei pubblici elenchi, non e’ nulla, ove la stessa abbia consentito, comunque, al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese, senza alcuna incertezza in ordine alla provenienza ed all’oggetto, tenuto conto che la piu’ stringente regola, di cui alla L. n. 53 del 1994, articolo 3-bis, comma 1, detta un principio generale riferito alle sole notifiche eseguite dagli avvocati, che, ai fini della notifica nei confronti della P.A., puo’ essere utilizzato anche l’Indice di cui al Decreto Legislativo n. 82 del 2005, articolo 6-ter e che, in ogni caso, una maggiore rigidita’ formale in tema di notifiche digitali e’ richiesta per l’individuazione dell’indirizzo del destinatario, cioe’ del soggetto passivo a cui e’ associato un onere di tenuta diligente del proprio casellario, ma non anche del mittente;

– il motivo contiene poi un ulteriore profilo di censura, con il quale si sostiene la necessita’ di sottoscrizione digitale delle cartelle contestate, il cui difetto causerebbe l’illegittimita’ delle stesse;

– il motivo e’ infondato, alla luce della giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 30948 del 27/11/2019) in forza della quale in caso di notifica a mezzo PEC, la copia su supporto informatico della cartella di pagamento, in origine cartacea, non deve necessariamente essere sottoscritta con firma digitale, in assenza di prescrizioni normative di segno diverso;

– il secondo motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione del Decreto Ministeriale n. 44 del 2011, articolo 16 e dell’articolo 2697 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’applicazione del principio dell’onere della prova, mancato deposito di files completi “eml” con dichiarazione di conformita’, per avere la CTR erroneamente ritenuto fornita la prova della notifica mediante documentazione inidonea in quanto non certificata di conformita’ e comunque non digitalmente nativa;

– il motivo e’ inammissibile;

– esso invero, nella sua concreta articolazione, propone una censura di merito, diretta a proporre una differente valutazione della documentazione prodotta rispetta a quella operata dalla CTR; inoltre, quanto alla concreta modalita’ del disconoscimento che assume operato, esso risulta anche privo di autosufficienza poiche’ nel ricorso nulla si trascrive sul punto;

– con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2953 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, relativo alla prescrizione quinquennale, per avere la CTR addotto in motivazione solo una generica indicazione dell’esistenza di un termine di prescrizione decennale per qualsiasi tributo diverso da quelli periodici;

– il motivo e’ infondato;

– invero, come recentemente ancora confermato da questa Corte, il termine prescrizionale applicabile alle pretese per tributi e’ quello ordinario di prescrizione decennale;

– sul punto si e’ statuito che per quanto concerne le imposte dirette, Irpef Iva e Irap (Cass. 6069/2003, 2941/2007, e da ultimo Cass. 19969/2019 e Cass. 12740/2020) in assenza di una espressa previsione, si prescrivono nel termine ordinario decennale ex articolo 2946 c.c., non potendosi applicare la disciplina dell’estinzione per decorso quinquennale prevista dall’articolo 2948 c.c., comma 1, n. 4) per “tutto cio’ che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini piu’ brevi”;

– per tali ragioni, quanto ai profili esaminati con i motivi sopra dedotti, il ricorso e’ rigettato;

– le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

dichiara cessata la materia del contendere riguardo alle cartelle di cui a pag. 7 ultima riga del controricorso; dichiara inammissibile il ricorso con riguardo alle cartelle indicate a pag. 8 del controricorso; rigetta nel resto il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di parte controricorrente che liquida in Euro 6.000,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato articolo 13, comma 1 – bis.