Corte di giustizia tributaria di II grado della Lombardia – Sentenza n. 5172del 21 dicembre 2022

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il contenzioso ha ad oggetto una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria (notificata a mezzo PEC il 27.03.2019) con cui la contribuente era invitata a pagare l’importo di Euro 83.548,73 risultante da 14 cartelle di pagamento.

La parte impugnava l’atto rappresentando di avere avuto notizia delle cartelle solo in occasione di quest’ultima notifica e lamentava: omessa notifica atti presupposti; prescrizione di alcune cartelle perché relative a crediti per tributi con prescrizione quinquennale; stralcio automatico delle cartelle di importo inferiore a Euro 1000; omessa o carente motivazione; violazione dei diritti di difesa.

L’AERISCOSSIONE si costituiva e replicava che nessuna cartella poteva essere oggetto di stralcio perché tutti i ruoli erano stati affidati all’agente della riscossione in data successiva al 31.12.2010.

La CTP ha accolto il ricorso rilevando che nelle controdeduzioni l’AER indicava il doc. 2 come atto a provare l’avvenuta notifica delle cartelle, ma tale documento non era di fatto depositato. Dovendosi pertanto allo stato considerare le cartelle non notificate, il ricorso è stato accolto con compensazione delle spese considerato l’elevato numero delle cartelle e il fatto che, verosimilmente, non erano state impugnate nei termini.

Propone appello l’Ufficio. Avvalendosi della pacifica possibilità di depositare documenti anche in appello, l’Ufficio ha depositato la prova della avvenuta notifica delle cartelle presupposte e la prova della notifica di ulteriori atti a valenza interruttiva del decorso del termine di prescrizione.

Si è costituita la contribuente replicando all’appello dell’Ufficio. Sostiene la parte che l’iter notificatorio delle cartelle sia irregolare comportando la nullità o inesistenza delle notifiche. Si analizzano quindi le singole cartoline evidenziando le anomalie: che il portiere non è un dipendente della società; o che il destinatario è indicato come sconosciuto e la notifica alle società di capitali non può avvenire con affissione all’albo comunale; che manca la prova del CAD (comunicazione avvenuto deposito); che sono nulle le notifiche a mezzo PEC perché nel 2013 non erano previste e sono entrate in vigore solo dal 01.06.2016; in alcuni casi non è indicata la data formazione dei ruoli e questo impedisce di verificare se rientrano nello stralcio di cui all’art. 4 DL 119/2018; rimane il difetto di motivazione.

Ha depositato successiva memoria la parte privata per rappresentare che l’impugnazione proposta avverso l’intimazione di pagamento, notificata successivamente al preavviso di iscrizione ipotecaria qui in discussione e relativa alle medesime cartelle di pagamento, ha avuto esito vittorioso in grado di appello (CTR Lombardia, sentenza n. 2974/21/2022) per l’accoglimento di una eccezione relativa alla nullità dell’iter notificatorio perché l’indirizzo PEC utilizzato dall’ufficio per effettuare la notifica ([email protected]) non risulta dai pubblici registri. Sul punto si richiama giurisprudenza di merito favorevole alla parte e una ordinanza della Suprema Corte n. 17346 del 27.06.2019.

L’avviso di fissazione dell’udienza del 25.10.2022 prevedeva la trattazione in camera di consiglio ma, avendo la parte fatto istanza formale di discussione in pubblica udienza ed essendo intervenuta, è stata sentita dalla Corte.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello dell’Ufficio è fondato e, pertanto, deve essere accolto, con conseguente doverosa riforma della decisione di primo grado.

Anzitutto occorre ricordare che, per consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, il giudice, nel motivare “concisamente” la sentenza secondo i dettami di cui all’art. 118 disp. att. epe, non è tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti, ben potendosi limitare alla trattazione delle sole questioni, di fatto e di diritto, considerate rilevanti ai fini della decisione concretamente adottata. Ne consegue che quelle residue, non trattate in modo esplicito, non devono necessariamente essere ritenute come “omesse”, per effetto di “error in procedendo”, ben potendo esse risultare semplicemente assorbite (ovvero superate) per incompatibilità logico-giuridica con quanto concretamente ritenuto provato. Alla luce di quanto appena ricordato, si deve quindi precisare che la trattazione sarà in questa sede limitata all’approfondimento delle sole questioni rilevanti e dirimenti ai fini del decidere; ritenendosi quindi assorbite tutte le altre eccezioni e questioni. E ciò in applicazione del principio della cosiddetta ‘ragione più liquida’ desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., ulteriormente valorizzato e confermato dalla Suprema Corte (Cass. Civ. SSUU sentenza n. 24883/2008; Cass. Civ. n. 26242/2014 e Cass. Civ. n. 9936/2014).

Quanto alle eccezioni sula regolarità della notifica a mezzo PEC, in primo luogo si deve rilevare che la domanda di riconoscerne la nullità/inesistenza per la provenienza da indirizzo PEC non risultante da pubblici registri è nuova e come tale inammissibile in quanto formalizzata solo in sede di memoria illustrativa in questo grado di giudizio. Infatti, in ordine alla notifica a mezzo PEC l’unica domanda che era stata formalizzata (causa petendi a fondamento della richiesta di dichiarare nulla o inesistente la notifica) era relativa al fatto che, a dire della parte privata, la modalità di notifica a mezzo PEC non era normativamente prevista in data antecedente al 1° giugno 2016.

In ogni caso, a parere di questa Corte, entrambe le eccezioni sono comunque infondate.

Si deve premettere che la notificazione a mezzo PEC è espressamente consentita, quanto agli atti della riscossione, dall’art 26 del D.P.R. n. 602/73, che testualmente recita: “La notifica della cartella può essere eseguita, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), ovvero, per i soggetti che ne facciano richiesta, diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell’INI-PEC, all’indirizzo dichiarato all’atto della richiesta. In tali casi, si applicano le disposizioni dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973; n. 600.” Pacificamente la notifica a mezzo PEC, esattamente come quella direttamente realizzata tramite il servizio postale per raccomandata con avviso di ricevimento, dà garanzia e certezza in ordine al giorno ed orario esatto della spedizione e della ricezione, nonché in merito all’integrità del contenuto e degli eventuali allegati. Con la sentenza n. 146/2016, resa nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 3, R.D. 267/1942, la stessa Corte costituzionale ha affermato come la notifica telematica consenta pienamente la conoscibilità effettiva dell’atto da notificare; ribadendo che il risultato conseguibile con tale modalità di notifica è sostanzialmente equipollente a quello conseguibile con le altre modalità di notifica previste dalle norme (ufficiale giudiziario o agente postale). Essendo state allegate, da parte dell’Ufficio, le ricevute di consegna delle PEC, gli atti devono pacificamente essere considerati come entrati nella sfera di conoscibilità del destinatario. E ciò basta per ritenere perfezionata ritualmente la notifica, a nulla rilevando il dato di fatto del momento in cui il destinatario (per le più svariate ragioni) abbia o non abbia consultato la casella, aperto il messaggio e letto il relativo contenuto. Esattamente come avviene nei casi, ad esempio, di mancato ritiro di raccomandate e perfezionamento delle notifiche per compiuta giacenza. La Corte di Cassazione ha, inoltre, più volte affermato (cfr. Cass., sent. del 07/07/2016, n. 13917 e Cassazione sent. n. 22352/2015) che la responsabilità per la mancata lettura di una comunicazione o notifica ricevuta a mezzo PEC è da attribuire al destinatario, se conseguente ad una sua carenza.

Ovviamente salvo la prova di mancata concreta conoscenza dovuta a caso fortuito, forza maggiore o circostanze esterne non prevedibili e non imputabili al destinatario, il quale tuttavia ha onere di fornirne una prova rigorosa e specifica. Nel caso di specie non solo non è stata fornita alcuna prova in tal senso, ma neppure sono state allegate circostanze rilevanti in questa prospettiva, non potendosi la parte limitare ad invocazioni generiche laddove è, nel caso di specie, pacifico che il destinatario abbia ricevuto e letto il messaggio, tanto da avere formalizzato l’impugnazione.

Quanto alla provenienza dei messaggi elettronici, essa è inequivocabilmente riferibile all’Agente della Riscossione. La riconducibilità del documento al mittente è comprovata, oltre che dagli elementi propri della cartella di pagamento (es. intestazione, logo ecc.) anche dai dati di certificazione contenuti – con carattere immodificabile – nelle buste di trasporto e nelle varie ricevute emesse e firmate dallo stesso Gestore (es. ricevuta di presa in carico, di accettazione e di avvenuta consegna) nonché dall’indirizzo e dal dominio di posta elettronica dal quale il messaggio è stato inviato. La PEC infatti funziona nei seguenti termini (artt. 4, 5 e 6 DPR n. 68/2005): il mittente inoltra il messaggio di posta al Punto di Accesso del proprio Gestore PEC; il Gestore (anche detto “Provider”) rilascia al mittente una “ricevuta di accettazione” – da lui sottoscritta – nella quale sono contenuti i dati di certificazione che costituiscono prova dell’avvenuta spedizione del messaggio; lo stesso Gestore include il messaggio del mittente nella c.d. busta di trasporto sulla quale appone la propria firma e, se il gestore del mittente e quello del destinatario coincidono, questi rende disponibile la busta di trasporto – contente, quale allegato, il messaggio originario – nella casella PEC del destinatario, genera la “ricevuta di avvenuta consegna”, la firma e la trasmette al mittente; se il gestore del mittente e quello del destinatario non coincidono (come nel caso che ci occupa): il Gestore del mittente inoltra la busta di trasporto al Punto di Ricezione del Gestore del destinatario; il Punto di Ricezione del destinatario verifica la busta di trasporto, crea una “ricevuta di presa in carico”, la firma e la inoltra al Punto di Ricezione del Gestore del mittente che, verificatane la validità, la inoltra al Punto di Consegna del mittente e, da qui, alla relativa casella di posta elettronica certificata; il Punto di Ricezione del destinatario, inoltra la busta di trasporto al Punto di Consegna del destinatario che ne verifica il contenuto e la rende disponibile nella casella PEC del destinatario stesso; il Punto di Consegna del destinatario crea una “ricevuta di avvenuta consegna”, vi appone la propria firma e la inoltra al Punto di Ricezione del Gestore mittente che, verificatane la validità, la inoltra, a sua volta, al Punto di Consegna del mittente, rendendola disponibile nella relativa casella PEC. La ricevuta di avvenuta consegna, dunque, fornisce al mittente la prova che il suo messaggio è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e comunque a lui riferibile e a certificare il momento in cui è avvenuta la consegna.

E’ poi opportuno aggiungere che ciascun dominio PEC è attribuibile dal Gestore unicamente ad un soggetto e che; quello utilizzato da Agenzia Entrate Riscossione nella specie, reca esattamente la denominazione del mittente non lasciando, quindi, spazio a fraintendimenti circa il soggetto da cui l’atto promana. Peraltro, chiunque può verificare il titolare del dominio di posta elettronica dal quale gli è stato notificato un messaggio PEC, consultando la c.d. “Anagrafe dei domini internet” rappresentata, per quelli con estensione – come nel caso di specie – “.it”, da “Registro.it”, accessibile attraverso il link “http://nic.it/”. Detto registro, offre il servizio “who is” che permette, per ciascun dominio, di verificare alcuni dati, quali, ad esempio, il nominativo del soggetto registrante, il relativo indirizzo e recapiti telefonici/mail, la data di creazione del dominio e quella di scadenza, nonché i riferimenti del c.d. “contatto amministrativo”. Non vi è dubbio, quindi, circa la inequivocabile riferibilità della provenienza del messaggio elettronico e dei relativi contenuti. Deve quindi concludersi nel senso che le caratteristiche proprie di una notifica telematica a mezzo PEC a prescindere dall’utilizzo o meno di un indirizzo inserito in pubblici registri, purché comunque si tratti di un indirizzo PEC) permettono ben più delle notifiche effettuate con mezzi tradizionali di risalire e accertare il mittente del documento o l’autorità da cui proviene.

Da ultimo, deve anche sottolinearsi che la notifica contestata ha pacificamente raggiunto il suo scopo, essendo la società destinataria venuta a conoscenza del contenuto dell’atto; tanto da avere in questa sede formalizzato una impugnazione. Sicché ogni eventuale nullità, che nel caso di specie non è dato rinvenire e che non è sanzione espressamente prevista dalle norme che pure prevedono l’inserimento degli indirizzi PEC delle pubbliche amministrazioni in elenchi specifici, deve ritenersi in ogni caso sanata. E’ infatti del tutto ultroneo ipotizzare una forma addirittura di inesistenza laddove si è di fronte ad una notifica a mezzo PEC che ha raggiunto il suo scopo. A fronte di ciò le eccezioni sollevate dalla parte privata risultano strumentali e meramente formalistiche.

La Suprema Corte di Cassazione (n. 30948 del 27.11.2019) si è pronunciata in tema di notifica della cartella di pagamento effettuata a mezzo posta elettronica certificata, affermando

che la notifica della cartella di pagamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio di posta elettronica certificata (PEC) un documento informatico (il cosiddetto ‘atto nativo digitale’), sia duplicato informatico dell’atto originario, sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la cosiddetta ‘copia informatica’), laddove il concessionario della riscossione ha provveduto a inserire nel messaggio di posta elettronica certificata un documento informatico in formato Pdf.

Quanto alle residue questioni.

I documenti sono pacificamente producibili in giudizio anche in grado di appello ex art. 58 D.Lgs. 546/1992.

La Corte di Cassazione (sentenza del 25.06.2012 n. 10567) ha ribadito che è ammessa, da un lato, anche in grado di appello, la produzione di nuovi documenti (cfr. Cassazione anche n. 3611/2006) e, dall’altro, la produzione delle cartelle notificate, costituendo la stessa una mera difesa consentita alla parte rimasta eventualmente contumace in prime cure, concernendo il divieto di cui all’art. 57 D.Lgs. n. 546/1992 solo le eccezioni in senso stretto (cfr. Cassazione n. 12008/2011; n. 14020/2007).

L’ufficio ha dunque ha depositato la prova delle notifiche delle cartelle: alcune a mezzo raccomandata ar e a mezzo messo notificatore; alcune a mezzo PEC. Nonché la prova della notifica di ulteriori atti a valenza interruttiva del decorso del termine di prescrizione e idonei a portare la parte a conoscenza delle pretese; oltre che atti formalizzati dalla stessa contribuente a dimostrazione della già pregressa conoscenza delle pretese erariali. In particolare: in data 04.09.2018, tramite PEC, avviso di intimazione n. in data 18.05.2015, comunicazione di preventiva iscrizione ipotecaria n. (…) notificata con la procedura per gli irreperibili; in data 18.04.2019 istanza di adesione alla definizione agevolata, con successivo esito notificato comunicato via PEC. Tutte le notifiche, al di là delle questioni formalistiche indicate dalla difesa che al più costituiscono mere irregolarità che non pregiudicano la valenza sostanziale dell’effetto della notifica, raggiunto nel suo scopo, risultano regolarmente perfezionate.

Quanto alla prescrizione è sufficiente ricordare, da un lato, che per i tributi erariali il termine è decennale, dall’altro, che per gli altri il decorso del termine quinquennale è stato validamente interrotto dagli atti indicati.

La condanna al pagamento delle spese di lite segue la soccombenza e le stesse si liquidano, tenuto conto della natura e del valore della controversia nonché dei parametri tabellari di riferimento, in complessivi Euro 4.200, oltre al 15% a titolo di rimborso spese generali e già detratto il 20% ex art. 15 comma 2sexies D.Lgs. 546/1992.

P.Q.M.

La Corte di Giustizia Tributaria di 11° per la Lombardia

ACCOGLIE

L’appello dell’ufficio e in riforma della decisione di primo grado rigetta il ricorso originario della parte privata.

CONDANNA

La parte privata soccombente alla rifusione delle spese di lite che si liquidano, con riferimento a questo grado di giudizio, in complessivi Euro 4.200, oltre al 15% a titolo di rimborso spese generali e già detratto il 20% ex art. 15 comma 2 sexies D.Lgs. 546/1992.