Corte di Cassazione – Ordinanza n. 26260 del 18 ottobre 2018

ORDINANZA

sul ricorso 5917-2017 proposto da:
(omissis);
– ricorrente –
contro
(omissis)
– intimati –
avverso la sentenza n. 630/2016 della CORTE D’APPELLO Dl
CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA Dl SASSARI, depositata il 09/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 21/03/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

(omissis) chiede la cassazione della sentenza con cui la corte di appello di Cagliari – sez. distaccata di Sassari ha rigettato il gravame da lui proposto avverso la sentenza di prime cure che aveva accolto la domanda della sig.ra (omissis), titolare dell’Agenzia immobiliare (omissis), di pagamento della provvigione per l’attività di mediazione dalla stessa svolta nell’operazione di compravendita immobiliare intercorsa tra i sigg.ri (omissis) e (omissis).

La corte distrettuale ha disatteso la doglianza dell’odierno ricorrente secondo cui la (omissis) non avrebbe svolto un’attività di mediazione ma avrebbe operato in forza di un rapporto di mandato con il venditore (omissis), con la conseguenza che solo quest’ultimo sarebbe stato obbligato al pagamento di un compenso per l’attività dalla stessa svolta. Secondo il giudice di appello la mancata presenza nei fascicoli del secondo grado di giudizio del contratto intercorso tra l’agenzia immobiliare e il (omissis) – dipendente dalla mancata produzione, da parte dell’appellata (omissis), del fascicolo di parte di primo grado in cui esso era inserito – impediva l’ esame del documento e, quindi, di valutare se le pattuizioni intercorse tra le parti implicassero o meno l’applicazione dei principi richiamati dall’appellante. La corte di appello, inoltre, rigettava anche il motivo di appello sulla condanna dei sigg.ri (omissis) e (omissis) al pagamento delle spese sostenute dalla (omissis) per l’assistenza legale stragiudiziale ricevuta ante litem, rilevando che “non può di certo dubitarsi che una pretesa creditoria possa – essendo risultate vane le bonarie richieste – essere avanzata col ministero di un legale”.

Nessuno degli intimati – la menzionata (omissis), il (omissis) e la società (omissis) – ha svolto attività difensiva in questa sede.

La causa è stata discussa nell’ adunanza di camera di consiglio del 21.3.18, per la quale il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.

Preliminarmente va rilevato che dalla relata di notifica del ricorso alla (omissis) risulta che tale notifica è stata indirizzata all’avvocatessa (omissis) e portata allo studio dell’avvocatessa (omissis) in Sassari, dove l’avvocatessa (omissis) ha rifiutato l’atto.

La notifica deve ritenersi perfezionata ai sensi del secondo comma dell’articolo 138 c.p.c., giacché l’avvocatessa (omissis) era la domiciliataria della (omissis) nel giudizio di appello, secondo quanto si rileva dall’epigrafe della sentenza gravata e, pertanto, era l’effettiva destinataria della notifica; d’altra parte, l’indicazione del nome “(omissis)”, invece che “(omissis)”, nella relata di notifica non creava equivoci (anche alla luce della corretta identificazione dell’indirizzo dello studio) e, pertanto, non incideva sulla validità della notifica (cfr. Cass. n. 1987/14: “Nel caso di notifiche effettuate al difensore, l’erronea indicazione del prenome di questi non è causa di nullità della notificazione se, nonostante l’errore, debba escludersi qualsiasi possibilità di equivoco circa l’effettivo destinatario dell’atto”). Il ricorso per cassazione si articola in due motivi, entrambi formulati ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3.

Con il primo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 346 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c., con riguardo al principio di acquisizione processuale e si afferma che il contratto (omissis) doveva ritenersi “definitivamente acquisito alla causa”; cosicché la corte territoriale non avrebbe dovuto limitarsi a rilevare che la (omissis) non aveva depositato in appello il proprio fascicolo di primo grado ma avrebbe dovuto comunque procedere all’esame del documento, presente nel fascicolo del sig. (omissis).

Con il secondo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e 2697 c.c.; in particolare, nel mezzo di impugnazione si argomenta che: “quando, come nel caso di specie, la condotta preprocessuale delle parti soccombenti non comporti alcuna violazione del dovere di legalità e di probità stabilito in via generale dall’art. 88 c.p.c., e comunque non sia stata data la prova sia dell’an che del quantum dei pretesi danni, il giudice non poteva in alcun modo procedere al loro riconoscimento ed alla loro liquidazione” (pag. 20, penultimo capoverso, del ricorso).

Il primo motivo va disatteso perché non risulta pertinente alle motivazioni della sentenza; la doglianza presuppone che il contratto (omissis) fosse stato dal (omissis) “ridepositato nel giudizio di gravame” (pag. 19 del ricorso), là dove la sentenza gravata afferma (con statuizione la cui eventuale erroneità sarebbe censurabile solo ai sensi dell’articolo 395, n. 4, c.p.c.) che “detto documento non compare in alcuno dei fascicoli depositati nel presente grado”.

Al riguardo non appaiono concludenti i rilievi svolti nella memoria depositata dal ricorrente in prossimità dell’adunanza di discussione, giacché l’argomentazione, sviluppata in detta memoria, secondo cui il contenuto del contratto (omissis) era alla base delle difese svolte dal (omissis) e dalla (omissis) e risultava riprodotto, nelle clausole principali, negli scritti difensivi dei medesimi (cosicché la corte d’appello avrebbe dovuto applicare il principio di non contestazione, o, alternativamente, avrebbe dovuto disporre la ricostruzione del fascicolo di parte (omissis), pag. 9 della memoria) si risolve nella formulazione di censure (violazione del principio di non contestazione, violazione del dovere di disporre la ricerca o la ricostruzione di atti di parte la cui mancanza si possa presumere involontaria) diverse ed ulteriori (ed evidentemente intempestive) rispetto a quella prospettata nel primo motivo dei ricorso per cassazione.

In tale motivo, infatti, si denunciava la violazione del principio di acquisizione processuale in cui la corte sarebbe incorsa non esaminando un documento prodotto dalla (omissis) in primo grado e non in secondo grado (non avendo costei depositato in appello il proprio fascicolo di primo grado) ma che tuttavia, secondo il ricorrente, sarebbe stato comunque esaminabile dalla corte distrettuale perché presente nel fascicolo del (omissis) per averlo quest’ultimo depositato in primo grado e ridepositato in secondo grado; circostanza, questa della presenza del documento nel fascicolo di appello del (omissis), espressamente negata dalla corte di appello con la già riportata affermazione “detto documento non compare in alcuno dei fascicoli depositati nel presente grado”, che, se erronea, sarebbe frutto di svista percettiva denunciabile solo con il mezzo di cui all’articolo 395 n. 4 c.p.c.

Il secondo motivo di ricorso va disatteso, perché non attinge specificamente ratio decidendi della sentenza gravata. La corte distrettuale, infatti, ha confermato la decisione con cui il primo giudice aveva posto a carico del sig. (omissis) le spese per l’assistenza legale stragiudiziale della signora (omissis) non per aver ritenuto che costui avesse tenuto una condotta preprocessuale contrastante con il “dovere di legalità e di probità stabilito in via generale dall’art. 88 c.p.c.”, ma perché – a fronte di un motivo di appello in cui il (omissis) aveva contestato di dover pagare le spese di difesa stragiudiziale della (omissis) sul rilievo che “ogni mandatario mediatore degno di questo nome è mediamente in grado di curare da sé la redazione di una semplice monitoria di recupero credito” (stralcio del motivo di appello riportato nel penultimo capoverso di pagina 3 della sentenza) – ha affermato che una pretesa creditoria può “esser avanzata col ministero di un legale” (pag. 7 della sentenza) e tale argomentazione non è stata specificamente censurata. Né, d’altra parte, può trovare ingresso in sede di legittimità la generica doglianza sulla mancanza di prova “sia dell’an che del quantum dei pretesi danni”, essendo essa palesemente inidonea ad attingere l’accertamento di fatto di entrambi i giudici di merito sulla fruizione, da parte della signora (omissis), di un’attività professionale di difesa stragiudiziale funzionale al recupero del credito poi giudizialmente accertato.

In definitiva il ricorso va rigettato.

Non vi è luogo a regolazione di spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

Deve darsi atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ex art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/02.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.
Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ex art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/02.