Consiglio di Stato – Sentenza n. 5970 del 18 ottobre 2018

FATTO

Con il ricorso in appello, suindicato, l’Amministrazione chiede la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, che ha annullato il d.P.R. 17 febbraio 2017, con cui era sciolto il consiglio comunale di -OMISSIS-ex art. 143 d.lgs. n. 267 del 2000 ed era nominata una Commissione straordinaria per diciotto mesi e gli atti presupposti, tra i quali la relazione del Ministro dell’interno 15 febbraio 2017 e l’allegata deliberazione del Consiglio di Ministri, la proposta del Prefetto di Lecce 28 novembre 2016 ed il decreto del medesimo Prefetto del 21 febbraio 2017 n. 17310 di sospensione degli organi dell’ente e di nomina della Commissione straordinaria di gestione.

Ai fini della disamina della controversia debbono essere brevemente riassunti i fatti che hanno determinato l’emissione dei provvedimenti gravati.

Il d.P.R. 17 febbraio 2017 decretava lo scioglimento del consiglio comunale, “considerato che, all’esito di approfonditi accertamenti, sono emerse forme di ingerenza della criminalità organizzata che hanno esposto l’amministrazione a pressanti condizionamenti, compromettendo il buon andamento e l’imparzialità dell’attività comunale”, in particolare con riguardo alla compromissione della libera determinazione e dell’imparzialità degli organi eletti nella competizione del 31 maggio 2015.

Tali conclusioni erano esposte nella relazione del Ministro dell’Interno e possono essere riassunte come di seguito:

– le risultanze di un’inchiesta giudiziaria che portavano all’esecuzione di un’ordinanza di custodia-cautelare in carcere, emessa dal GIP presso il Tribunale di Lecce il 14 dicembre 2015, nei confronti di 22 persone, tra le quali un consigliere che ha rivestito, fino all’arresto, le cariche di vicesindaco ed assessore del comune di -OMISSIS-, ritenute affiliate, a vario titolo, all’organizzazione mafiosa denominata “-OMISSIS-“, operante nel comune ed in altre città limitrofe;

– i destinatari della misura, peraltro, erano accusati di associazione mafiosa, traffico e spaccio di stupefacenti, detenzione illegale di armi, estorsione e corruzione, con l’aggravante della modalità mafiosa;

– il vicesindaco aveva svolto le funzioni assessorili nella precedente consiliatura, con il medesimo sindaco, che è risultato confermato;

– il predetto amministratore era risultato – come emerge dall’ordinanza di custodia – veicolo per favorire gli interessi criminali, sulla base di un vero e proprio patto di scambio politico-mafioso, come emergeva dal sostegno – attraverso il vertice malavitoso – alla campagna elettorale di esponenti politici locali, tra cui lo stesso amministratore, che in cambio si rendeva disponibile ad esaudire le richieste della criminalità organizzata;

– in particolare, emergeva l’impegno dell’amministrazione ad assumere appartenenti al clan presso la ditta che gestiva la raccolta dei rifiuti solidi urbani nel comune, risultata aggiudicataria in via definitiva del servizio all’esito di un procedimento che si era concluso in favore di un’altra impresa, la cui offerta è stata poi ritenuta anomala dalla commissione a gara;

– presso la citata ditta, che tuttora svolge la propria attività per l’ente in forza di numerose proroghe, erano stati assunti – con contratto stipulato già nel gennaio 2010, poco prima dell’insediamento del sindaco, al suo primo mandato – il vertice della locale organizzazione criminale, uno stretto congiunto del leader storico della consorteria di cui si e già fatta menzione, nonché due sodali della stessa;

– la stabilizzazione del rapporto di lavoro con i tre esponenti del clan era avvenuta il successivo 3 aprile 2013 e aveva comportato l’aumento del costo annuale del servizio;

– era risultata viziata la procedura per la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, l’assegnazione di contributi economici;

– erano emersi contatti tra l’amministratore ed esponenti del clan per la gestione di locali commerciali;

– altre condotte antigiuridiche emergevano in relazione alla concessione di pratiche urbanistiche (in particolare la concessione di un permesso in variante ad una società di cui è socio lo stesso amministratore, presente in giunta anche nella consiliatura del 2010).

Tuttavia, il Tribunale di prime cure, pur facendo riferimento agli approdi della giurisprudenza sui presupposti legittimanti l’assunzione dei provvedimenti di scioglimento ex art. 143 TUEL, concludeva nel senso che i vari episodi richiamati nel provvedimento non potevano ritenersi significativi.

Evidenziava, ai fini dell’accoglimento del ricorso i seguenti profili:

1) le vicende penali dalle quali ha preso avvio l’indagine amministrativa riguardavano essenzialmente e direttamente il solo vicesindaco e per fatti anteriori alle elezioni del 2015;

2) questi risultava dimessosi dopo un mese dal maggio 2015, reintegrato in giunta nell’ottobre 2015, e arrestato nel dicembre 2015, con evidente pressoché nulla capacità di inquinare l’operato della giunta e dell’amministrazione comunale in genere, come ammesso anche nei provvedimenti cautelari penali;

3) l’assessore coinvolto nelle indagini non risulta soggetto a provvedimenti penali e il suo coinvolgimento è dovuto solo a dichiarazioni di terzi, senza alcun elemento quantomeno indiziario che lo colleghi in maniera oggettiva a influenze del “clan” sul suo operato;

4) tutti gli episodi considerati nelle relazioni, sia pure valutati non atomisticamente e in una considerazione “d’insieme”, non pongono in evidenza elementi concreti, univoci e rilevanti, inseriti nello sfondo di riferimento, idonei a configurare la compromissione del buon andamento o dell’imparzialità dell’amministrazioni comunale, per la riscontrata carenza di effetto sul regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale a causa di infiltrazione da parte della malavita locale.

Avverso la sentenza di primo grado, dunque, propone appello il Ministero dell’Interno, deducendo i seguenti motivi:

– erronea interpretazione dei presupposti di fatto e di diritto e del quadro indiziario necessario per l’adozione del provvedimento dissolutorio, specificamente, per quanto rileva nel caso in esame, in relazione al ruolo svolto dall’ex vicesindaco e alla continuità del suo operato nell’ambito di due conseguenti consiliature, nelle quali il Sindaco è rimasto il medesimo;

– erronea sottovalutazione degli elementi di condizionamento dell’amministrazione comunale desumibili dalle decisioni giudiziarie, ed in particolare da quanto ritenuto dallo stesso GIP del Tribunale di Lecce con riferimento alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia -OMISSIS-, dal ruolo svolto dal -OMISSIS-con riferimento alle possibilità di influire sulle scelte occupazionali anche in ragione della delega ai servizi sociali; peraltro, con riferimento alla precedente consiliatura, risultava di rilievo al figura dell’Assessore -OMISSIS-, che nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia era definito “uomo del clan all’interno dell’amministrazione”; ma ancora la conversazione intercettata tra il capo clan-OMISSIS–OMISSIS-ed i suo sodale (come riportato dal Gip di Lecce) a ridosso della competizione elettorale del 31 maggio 2015, nelle quali si faceva riferimento ad una frase dello stesso -OMISSIS-che diceva “-OMISSIS-“; ed inoltre, lo stesso -OMISSIS-esprimeva via face-book il proprio compiacimento per la vittoria nelle elezioni del 2015 dell’amministrazione comunale cui si riferisce il provvedimento di scioglimento gravato; ulteriormente, il Tribunale di prime cure avrebbe sottovalutato la contraddittorietà del comportamento assunto dallo stesso Sindaco, che nel 2011 denunciava di aver ricevuto pressioni per l’assunzione presso la ditta -OMISSIS- e la stabilizzazione dei lavoratori (affiliati del clan e capo clan) proprio durante la consiliatura, nel 2013; nonché non risultava approfondito il perdurare dell’affidamento del servizio r.s.u. alla -OMISSIS-, a fronte della sollecitazione dello svolgimento di gare da parte dell’ATO LE9; infine, il ridotto rilievo dato alle dichiarazioni del collaboratore con riferimento di alcune attività commerciali da parte del sindaco;

– erronea valutazione dell’attendibilità del collaborate di giustizia, che invece sarebbe ribadita anche alla Sez. IV pen. Della Corte di Cassazione 8 aprile 2016, risultando esse suffragate da numerose intercettazioni;

– erronea affermazione del coinvolgimento del solo vicesindaco, alla luce dell’evidenziata continuità tra le due consiliature;

– mancata valorizzazione della continuità predetta;

– errata valutazione dei singoli elementi sintomatici del condizionamento da parte della criminalità organizzata (vicenda -OMISSIS- e relative assunzioni, già sopra riportate, assegnazioni di alloggi di edilizia popolare, concessione di contributi economici ad appartenenti alla criminalità organizzata; affidamenti di lavori e forniture in economia, varianti urbanistiche ed imprenditoria locale; la gestione di esercizi commerciali da parte disponenti del clan, rispetto alla quale, il Comune era intervenuta a disporre la chiusura solo a seguito del sollecito della Questura; in particolare la vicenda del-OMISSIS-di fronte all’edificio del comune; le manifestazioni di consenso al vicesindaco arrestato in esecuzione dell’ordinanza del GIP di Lecce n. -OMISSIS-da parte di appartenenti agli ULTRAS -OMISSIS-; la mancata partecipazione alla marcia per la legalità da parte della maggioranza).

Gli originari ricorrenti si sono costituiti per resistere.

Nel merito gli appellati hanno ribadito la costante azione – a loro dire – dell’amministrazione comunale di -OMISSIS-a tutela della legalità, tant’è che la stessa si è costituita parte civile nel processo penale avviato nei confronti del -OMISSIS-; le contestazioni mosse verso quest’ultimo non sarebbero state mai elevate nei confronti dell’intera compagine amministrativa comunale.

In estrema sintesi: l’arresto del vicesindaco avrebbe comportato l’impossibilità di mantenere le promesse elettorali; l’attendibilità del -OMISSIS- non sarebbero state chiare ed idonee nei confronti del Sindaco; gli amministratori sarebbero estranei a tutte le vicende contestate solo al -OMISSIS-; l’influenza della malavita sull’attività amministrativa sarebbe rimasta senza prova; anche la Commissione straordinaria per la gestione del comune di -OMISSIS-avrebbe affidato in proroga il servizio di raccolta di rifiuti alla -OMISSIS-; quanto alle influenze per le assunzioni non sarebbero provate e l’assunzione del -OMISSIS-, di -OMISSIS-e di -OMISSIS-non sarebbero attribuibili al Sindaco; l’assegnazione di benefici economici sarebbe avvenuta nel rispetto della trasparenza; le problematiche relative alla gestione degli alloggi non sarebbe condivisa da molti comuni salentini; nel settore delle attività produttive, il Comune avrebbe svolto le verifiche di competenza, adottando autonomamente i provvedimenti di competenza; le forniture di beni e servizi e la gestione dei permessi di costruire sarebbero state caratterizzate da regolarità dell’iter; l’episodio degli Ultras sarebbe stato sovradimensionato; sarebbe evidente l’impegno del sindaco sempre per la legalità .

Sicché il primo giudice avrebbe fatto corretta applicazione dei principi di diritto.

Con controricorso del 9 giugno 2018 gli appellati eccepivano, peraltro, la tardività dell’appello, in quanto la sentenza era stata notificata in data 4 aprile 2018 e l’appello il 30 maggio 2018, pertanto, sarebbe decorso il termine breve per l’impugnazione, trattandosi di rito ex art. 119 c.p.a..

A tale eccezione, l’Avvocatura erariale, rispondeva con memoria per l’udienza del 21 giugno 2018 evidenziando i seguenti profili:

– la notifica della sentenza in via informatica sarebbe nulla perché l’attestazione di conformità su un documento informatico separato sarebbe avvenuta in violazione dell’art. 19 ter delle specifiche tecniche del Ministero di Giustizia 16 luglio 2014, come introdotto dall’art. 1, decreto 28 dicembre 2015, ai sensi dell’art. 16 undecies del d.l. 179 del 2012, ma anche per la mancata indicazione del riferimento temporale e dell’impronta “hash” nel documento autenticato in adempimento dell’art. 23 bis comma 2 del CAD e delle regole tecniche prescritte (art. 6 comma 3); la notifica peraltro sarebbe avvenuta senza l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata e dell’elenco da cui è stato tratto.

– in ogni caso sarebbe applicabile l’errore scusabile in quanto risulterebbe documentalmente provato che in data 4 aprile 2018 si era verificato un errore nel sistema di funzionamento della pec istituzionale dell’Avvocatura dello Stato, che impediva il completamento della ricezione dei documenti inviati (e proprio con riferimento alla sentenza appellata oggetto di esame), talché il completamento della procedura è avvenuto solo in data 14 maggio 2018.

Avverso siffatte ricostruzioni, gli appellati controdeducevano ancora e contestavano la ricorrenza dei presupposti per la concessione dell’errore scusabile, addebitabile all’inefficienza del gestore interno all’Avvocatura.

All’udienza camerale del 21 giugno 2018, la Sezione accoglieva l’istanza di sospensione dell’esecutorietà della sentenza impugnata, ritenuta la sussistenza, ad un primo esame, dei presupposti dell’errore scusabile.

In esecuzione di detta ordinanza cautelare, riprendevano le loro funzioni i Commissari straordinari per la gestione del Comune di -OMISSIS-in sostituzione della Giunta Comunale che si era reinsediata in esecuzione della sentenza di primo grado del -OMISSIS-.

In data 10 settembre 2018, gli appellati depositavano un’istanza di revoca della misura cautelare in quanto, nelle more, il Prefetto di Lecce aveva convocato i comizi elettorali per il rinnovo del Consiglio Comunale di -OMISSIS-. Gli appellanti, tuttavia, rinunziavano a tale istanza n data 14 settembre 2018.

Con d.P.R. 17 settembre 2018 lo scioglimento era prorogato di sei mesi.

All’udienza di discussione del 27 settembre 2018, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1 – In primo luogo, ritiene il Collegio di dover esaminare, al fine di vagliare l’eccezione di tardività dell’appello, formulata dalla parte resistente nel presente grado, le deduzioni di parte appellante in ordine alla nullità della notifica della sentenza a sostegno della tempestività dell’appello. Infatti, il Ministero ha chiesto l’ammissione dell’errore scusabile, solo in via gradata, e come conseguenza dell’errore attestato dalla SO. nella consegna del file solo in data 14 maggio 2018, mentre in via principale ha sostenuto l’invalidità della notifica della sentenza effettuata dai ricorrenti in primo grado.

1.1 – Osserva il Collegio che, in primo luogo, appare fuorviante l’argomento utilizzato da parte degli appellati relativo al raggiungimento dello scopo. Nella specie, risulta evidente che la conoscenza della sentenza a seguito di notifica della stessa per via informatica, non è avvenuta immediatamente, ma solo oltre un mese dopo ad esito del completamento della procedura, come attestato dalla SO., certificazione che – per quanto di seguito specificato – fa piena prova sino a querela di falso.

D’altro canto, vale osservare che le contestazioni di parte appellante non giungono a smentire che il documento notificato sia nel contenuto difforme dalla sentenza oggetto di appello.

Si può dunque osservare che l’argomento svolto in via prioritaria dall’Amministrazione appellante non risulta conferente..

Ciò posto, appare corretto quanto evidenziato dagli appellati: il documento notificato (allegati 5 e 6 al controricorso) comunque conteneva l’indicazione della sentenza TAR appellata e recava il file della sentenza estratta direttamente dal sito della www.giustizia-amministrativa.it (tali aspetti non sono contestati direttamente dall’amministrazione).

L’Amministrazione sostiene la nullità della notifica sostanzialmente per mancanza di certezza circa l’oggetto del file notificato per via informatica. E non contesta poi che, di fatto, la sentenza giunta a notifica in data 14 maggio sia corrispondente a quella appellata.

Dunque, se, da un lato, non può valere l’argomento di parte appellata quanto alla consistenza di duplicato informatico del file notificato (i duplicati informatici, sono il risultato di un processo di riproduzione completamente informatizzato, effettuato in modo tale che la struttura digitale del file duplicato sia in tutto e per tutto identica a quella del file originale, ovvero che gli stessi presentino la medesima sequenza di bit; i duplicati informatici hanno, pertanto, il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento informatico originario da cui sono estratti (art. 23, comma 1, d.lgs. 82/2005), salvo l’ipotesi in cui gli stessi vengano successivamente convertiti in documenti analogici tramite la stampa), proprio perché ciò che costituisce oggetto di contestazione è la mancanza dell’elemento identificativo “hash” (elemento di cui la parte appellata non prova la contraria esistenza); dall’altro, va anche evidenziato che in caso di ‘copie informatichè o ‘estrattà, il legislatore (art. 23 bis co.. 2 C.A.D.) si occupa del loro efficacia, disponendo che essi “hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità …è attestata da un pubblico ufficiale…o se la conformità non è espressamente disconosciuta”.

Ora, nell’ipotesi in discussione, l’Amministrazione non ha espressamente disconosciuto la conformità del documento notificato all’originale.

Ed allora, deve ritenersi che l’insieme degli elementi dedotti dall’Amministrazione quali sintomi di invalidità della notifica della sentenza, in realtà si appalesano quali mere irregolarità, che risultano sanabili dal riconoscimento della conformità della sentenza di primo grado notificata a quella effettivamente pubblicata, e dalla conseguente conoscenza di tutti i punti della decisione ai fini della formulazione dell’appello e dello svolgimento delle complete difese e del contraddittorio nell’introduzione del secondo grado di giudizio.

1.2 – Inoltre, come evidenziato dagli appellati, la mancata indicazione del nome del file, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, costituisce una mera irregolarità non riconducibile ad alcune delle ipotesi di nullità (Corte di Cassazione- II sez. civ. – ordinanza n. 14369 del 5 giugno 2018)

Tant’è che quanto all’utilizzo dell’indirizzo di posta elettronica, esso era estratto dall’elenco pubblico https://pst.giustizia.it/ e, peraltro, esso non risulta errato, come risulta evidente anche alla documentazione dell’Amministrazione, che nei fatti non smentisce la correttezza dell’indirizzo PEC utilizzato.

1. 3 – La questione che invece risulta concretamente rilevante ai fini della valutazione della tempestività del gravame, attiene al momento da cui far decorrere il termine breve per la proposizione dell’appello, ovvero se tale termine debba farsi partire dal primo momento in cui è stata notificata regolarmente la sentenza dai ricorrenti vittoriosi in primo grado oppure dal momento in cui è avvenuto il completamento della consegna al destinatario.

1.4 – Che in tema di notificazioni degli atti, “risulta ormai presente nell’ordinamento… il principio secondo il quale – relativamente alla funzione che sul piano processuale, cioè come atto della sequenza del processo, la notificazione è destinata a svolgere per il notificante – il momento in cui la notifica si deve considerare perfezionata per il medesimo deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario; pur restando fermo che la produzione degli effetti che alla notificazione stessa sono ricollegati è condizionata al perfezionamento del procedimento notificatorio anche per il destinatario e che, ove a favore o a carico di costui la legge preveda termini o adempimenti o comunque conseguenze dalla notificazione decorrenti, gli stessi debbano comunque calcolarsi o correlarsi al momento in cui la notifica si perfeziona nei suoi confronti” risulta affermato dalla Corte Costituzionale n. 28/2004 e consolidato a seguito delle sentenze della stessa Corte nn. 69 del 1994 e 477 del 2002 (la scissione dei due momenti tra invio alla notifica e perfezionamento per il destinatario risultano ribaditi dalla Corte Cassazione, con la sentenza 4 marzo 2014, n. 4993).

Da tale principio consegue:

la già richiamata scissione dei momenti di produzione degli effetti della notifica tra mittente e destinatario;

la necessità, ai fini della produzione degli effetti in capo al destinatario, del completamento della notifica stessa.

Orbene, ciò che rileva nella fattispecie che occupa è proprio tale secondo aspetto, relativamente al quale – per quanto di seguito si precisa – risultano irrilevanti le argomentazioni di parte appellata in ordine all’addebitabilità del malfunzionamento occorso in capo all’Avvocatura dello Stato.

1.5 – Può, invece, trovare applicazione, nella specie, il principio dell’errore scusabile ai sensi dell’art. 37 d.lgs. n. 104/2010 per la ricorrenza del presupposto di “gravi impedimenti di fatto” (Cons. Stato Sez. VI, 5 settembre 2017, n. 4200; Cons. Stato Sez. III, 18 luglio 2017, n. 3540) addebitabile ad un soggetto terzo quale la SO., che ha specificamente attestato il malfunzionamento.

Orbene, a riguardo non può revocarsi in dubbio che il compimento della predetta attività della notifica della sentenza con una valenza acceleratoria ai fini della formazione del giudicato (nel senso che in caso di notifica vale il termine breve per la proposizione dell’appello), che segna il momento della conoscenza legale del provvedimento da impugnare, deve essere identificato – per quanto già sopra evidenziato – con il momento in cui la notifica stessa risulta completa.

Nel caso di specie, l’attestazione di SO. è proprio nel senso di evidenziare il mancato completamento della predetta attività prima del 14 maggio 2018 (è questa la data in cui risulta dall’atto depositato il completamento della notifica), sì da non potersi inverare prima (l’avvio alla notifica in data 4 aprile 2018) la condizione idonea alla decorrenza del termine breve.

Ricorre, dunque, nella specie l’ipotesi accordata anche dalla Plenaria di difetto di funzionamento non imputabile al destinatario idoneo a far venire meno gli effetti della notifica PEC (Cons. Stato, Ad. Plenaria, del 10.12.2014, n. 33; Cons. Stato, del 7.12.2016, n. 5164).

Ne consegue che – nella specie che occupa – non poteva esservi la notifica, prima del completamento dell’operazione di consegna del messaggio PEC, che risulta essere stato oggetto di incidente informatico (vedi relazione del gestore allegata alla memoria del 19 giugno 2018).

1.6 – Con riferimento alle controdeduzioni di parte appellata, valgono le seguenti precisazioni.

A – La natura della SO..

Essa è una società di forma privata, partecipata dal Ministero dell’Economia e delle finanze, ad essa è assegnata una funzione di rilevanza pubblica, relativa alla gestione delle reti secondo quanto disciplinato dal C.A.D., con specifiche responsabilità come si evince anche dall’art. 32 lett. m bis) C.A.D., che prevede tra i compiti del gestore “m-bis) garantire il corretto funzionamento e la continuità del sistema e comunicare immediatamente a AgID e agli utenti eventuali malfunzionamenti che determinano disservizio, sospensione o interruzione del servizio stesso”;

Non vi è dubbio, pertanto che la SO. sia un soggetto autonomo, con specifiche responsabilità, anche nei confronti delle Amministrazioni, questione questa che esula dal presente giudizio ed attiene ai rapporti tra amministrazione e SO. medesima.

Non vi è, peraltro, alcun dubbio sulla connotazione pubblicistica della SO. , al di là della forma societaria.

Senza che sia necessario elencare l’intero novero delle disposizioni attinenti alla SO., basta richiamare il d.l. 30 gennaio 1976, n. 8, recante “Norme per l’attuazione del sistema informativo del Ministero delle finanze e per il funzionamento dell’anagrafe tributaria” (G.U. 2 febbraio 1976, n. 29), convertito con modificazioni in l. 27 marzo 1976, n. 60, recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 30 gennaio 1976, n. 8, recante norme per l’attuazione del sistema informativo del Ministero delle finanze e per il funzionamento dell’anagrafe tributaria” (G.U. n. 84, 31 marzo 1976), e successive modificazioni ed integrazioni, con la quale il Ministero dell’economia e delle finanze è stato autorizzato ad affidare ad una società specializzata, costituita con prevalente partecipazione statale anche indiretta, la realizzazione e la conduzione tecnica del sistema informativo per il funzionamento dell’anagrafe tributaria per il periodo di tempo occorrente alla completa funzionalità del sistema stesso, e comunque per una durata non superiore a cinque anni, in base al quale l’allora Ministero delle finanze ha affidato alla SO., con apposita convenzione, la realizzazione e la conduzione tecnica del sistema informativo per il funzionamento dell’Anagrafe Tributaria; l’art. 59 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, recante “Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della Legge 15 marzo 1997, n. 59” (G.U. 30 agosto 1999, n. 203, S.O.), con il quale l’allora Dipartimento per le Politiche Fiscali del M.E.F. è stato autorizzato a promuovere la costituzione o a partecipare a società che, secondo le disposizioni del codice civile, abbiano ad oggetto la prestazione di servizi strumentali all’esercizio delle funzioni pubbliche ad esso attribuite, purché la maggioranza delle azioni ordinarie delle predette società venga detenuta dallo stesso Dipartimento; ed ancora l’art. 1 comma 1126 della l. 27 dicembre 2017, n. 205 – recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020” – il quale, al fine di garantire la continuità operativa e gestionale necessaria per il conseguimento degli obiettivi strategici relativi alle attività informatiche riservate allo Stato ai sensi del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 414, e successivi provvedimenti di attuazione, proroga gli istituti contrattuali che disciplinano il rapporto di servizio tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze e “la Società di cui all’art. 59 del Decreto Legislativo 30 luglio 1999, n. 300” fino al completamento delle procedure in corso per la stipula del nuovo atto regolativo.

Ne discende, come del resto evidenziato nella delibera ANAC n. 1192 del 16 novembre 2016, che la SO. è società che opera secondo il modello dell’in house providing per il Ministero dell’Economia e delle Finanze – in quanto società strumentale partecipata interamente dal M.E.F. e costituita per lo svolgimento dei compiti istituzionali del suddetto Ministero e di tutte le sue articolazioni e strutture serventi quali, ad esempio, le Agenzie fiscali -, ed essa include nell’oggetto sociale anche “lo svolgimento di ogni attività di natura informatica per conto della Amministrazione pubblica centrale”, subordinandolo al rispetto della normativa vigente.

Tuttavia, come specificato, altresì nella medesima delibera, l’organismo in house di un Ministero non può essere considerato di per sé, a priori, come soggetto in house di un altro dicastero e addirittura dell’intera pubblica amministrazione centrale. A tal fine, occorre in ogni caso un’espressa disposizione normativa che lo consenta.

Vale ribadire, dunque, che se da un lato, la SO. ha natura pubblicistica (in quanto in house rispetto al Ministero dell’Economia e delle Finanze), non può stabilirsi un rapporto di identificazione interorganica con un altro soggetto quale l’Avvocatura dello Stato, rispetto alla quale essa mantiene la propria autonomia.

Si tratta di un modello organizzativo riconducibile alle così dette quasi amministraziona, in virtù di quegli indici individuati dalla legge medesima in termini di istituzione, partecipazione e controllo, interpretabili nel senso della ‘strumentalità ‘ e funzionalizzazione, quindi ‘pubblicità ‘ (v. ex multis: Cons. St., IV, 24 maggio 2013, n. 2829), ed alle quali sono affidati compiti pubblici se non funzioni pubbliche in senso proprio.

Vale ancora a conferma di quanto sin qui evidenziato, la circostanza che la SO. sia tenuta agli obblighi di cui al d.lgs. n. 33 del 2013.

B – Il valore della certificazione.

Da quanto sin qui detto, deriva ancora che alla SO. è riconducibile l’esercizio di una pubblica funzione di certificazione quanto ai procedimenti alla stessa gestiti, con l’ulteriore conseguenza che le certificazioni – quale quella prodotta in atti, ed attinente precipuamente alla attestazione di quanto occorso in ordine al procedimento di consegna dell’atto nella posta certificata della Avvocatura dello Stato – risultano assistite dalla particolare fede di cui all’art. 2700 c.c..

Orbene, nella specie non risulta che la parte appellata abbia proposto querela di falso in ordine al contenuto della “RelazioneincidenteSistemaDocumentale.eml” depositata in data 19 giugno 2018, dall’Avvocatura.

E’ bene anche evidenziare che il mancato completamento della notifica in data 4 aprile 2018 risulta anche dallo stesso documento informatico che descrive come data di consegna il 14 maggio 2018.

1.7 – Ne consegue che deve essere riconosciuta la scusabilità dell’errore per fatto non imputabile all’Avvocatura dello Stato, risultando chiaramente agli atti e non essendo stato smentito dalla parte appellata con gli idonei strumenti, che la notifica della sentenza è avvenuta in data 14 maggio 2018.

2 – Venendo ora ad analizzare il merito della controversia, l’appello è fondato e deve essere accolto alla luce dei principi elaborati dalla Sezione in materia.

Come evidenziato da ultimo, con la sentenza 3828/2018 “la misura di cui all’art. 143, t.u. 18 agosto 2000, n. 267, non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo, con la conseguenza che, ai fini della sua adozione, è sufficiente la presenza di elementi che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato infiltrato” (Cons. St., sez. III, 10 gennaio 2018, n. 96; id. 7 dicembre 2017, n. 5782).

“Essa, dunque, ha eminentemente finalità di salvaguardia dell’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata, trovando dunque giustificazione i margini, particolarmente ampi, della potestà di apprezzamento di cui fruisce l’Amministrazione e la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata, quali i vincoli di parentela o di affinità, i rapporti di amicizia o di affari, le notorie frequentazioni, ecc..”.

Infatti, “lo scioglimento dell’organo elettivo si connota quale misura di carattere straordinario per fronteggiare un’emergenza straordinaria; di conseguenza sono giustificati margini ampi nella potestà di apprezzamento dell’Amministrazione nel valutare gli elementi su collegamenti diretti o indiretti, non traducibili in singoli addebiti personali, ma tali da rendere plausibile il condizionamento degli amministratori, anche quando,… il valore indiziario dei dati non è sufficiente per l’avvio dell’azione penale, essendo assi portanti della valutazione di scioglimento, da un lato, l’accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall’altro, le precarie condizioni di funzionalità dell’ente in conseguenza del condizionamento criminale. L’art. 143, d.lgs. n. 267 del 2000 delinea, in sintesi, un modello di valutazione prognostica in funzione di un deciso avanzamento del livello istituzionale di prevenzione, con riguardo ad un evento di pericolo per l’ordine pubblico quale desumibile dal complesso degli effetti derivanti dai “collegamenti” o dalle “forme di condizionamento” in termini di compromissione della “libera determinazione degli organi elettivi, del “buon andamento delle amministrazioni” nonché del “regolare funzionamento dei servizi”, ovvero in termini di “grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”: perciò, anche per “situazioni che non

rivelino né lascino presumere l’intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata”, giacché, in tal caso, sussisterebbero i presupposti per l’avvio dell’azione penale o, almeno, per l’applicazione delle misure di prevenzione a carico degli amministratori, mentre la scelta del legislatore è stata quella di non subordinare lo scioglimento del consiglio comunale né a tali circostanze né al compimento di specifiche illegittimità (Cons. St., sez. V, 15 luglio 2005, n. 3784; id., sez. IV, 10 marzo 2004, n. 1156)”.

Così ricostruito l’istituto, deve ritenersi che l’apprezzamento giudiziale svolto dal giudice di prime cure – pur formalmente richiamando l’orientamento ermeneutico della Sezione – ha finito con il costituire una estrapolazione di singoli fatti ed episodi dal contesto, operando un’operazione per così dire ‘al contrario, rispetto alla complessa ricostruzione effettuata dall’Amministrazione, arrivando a delibare l’illegittimità dei provvedimenti gravati.

Ciò facendo il primo giudice, in vero, ha perso di vista la ricostruzione d’insieme nel quale trovano significato i vari elementi posti a conferma e presupposto della misura, in presenza di un fenomeno di criminalità organizzata diffuso nel territorio di riferimento.

In sede giurisdizionale, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, non è necessario un puntiglioso accertamento di ogni singolo episodio, più o meno in sé rivelatore della volontà degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, né delle responsabilità personali, anche penali, di questi ultimi (Cons. St., Sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266).

2.1 – Tutto ciò premesso, si può ora passare all’esame dei singoli profili di doglianza rivolti ai diversi elementi sintomatici dell’infiltrazione mafiosa, che sono alla base del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale di -OMISSIS-.

2.2 -La continuità amministrativa ed il condizionamento mafioso.

Come evidenziato in fatto, il Tribunale di prime cure si è soffermato sulla circostanza che le vicende penali avevano riguardato essenzialmente il vicesindaco, che, peraltro, non sarebbe stato in condizione di inquinare l’operato della Giunta, poiché arrestato nel dicembre 2015.

Il ragionamento del primo giudice non può essere condiviso.

Appare evidente, infatti, come con tali conclusioni la sentenza appellata abbia completamente omesso di considerare proprio il valore di prevenzione dello strumento adottato, nonché l’irrilevanza – ai fini dell’assunzione dello stesso – delle misure poste in essere dalle autorità di polizia e dai giudici penali (nella specie l’arresto del vicesindaco).

Le elezioni del 2015, nel caso che occupa, hanno portato alla conferma della precedente consiliatura, ponendo in luce, dunque, una continuità tra l’operato della precedente amministrazione e la nuova insediatasi nel 2015. Nella sentenza della Cassazione, Sez. VI, Penale, n. 18448 del 2016, prodotta in atti, sul ricorso proposto dal -OMISSIS-(il vicesindaco) contro l’ordinanza con la quale il Tribunale di LECCE, in sede di riesame, accoglieva solo parzialmente il ricorso contro l’ordinanza del Gip della stessa città e sostituiva la misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari con divieto di comunicazione, si legge:

“le censure difensive svolte nella prima parte dello specifico motivo in trattazione, infatti,

non colgono nel segno quando criticano il giudizio di attendibilità dato dal Tribunale in lunghe pagine della motivazione alle dichiarazioni di -OMISSIS–OMISSIS- che, secondo il ricorrente, avrebbero trovato positiva smentita, dal momento che è lo stesso Tribunale a riconoscere che le stesse difettavano dei necessari riscontri individualizzanti; al contrario al contrario, il fondamento della gravità indiziaria ritenuta sussistente per il -OMISSIS-si fonda su di una copiosa serie di intercettazioni ambientali riportate al punto 17 della motivazione dell’ordinanza”;

” per quanto riguarda poi il merito delle conversazioni e il loro significato, va rilevato che

la motivazione dell’ordinanza impugnata attribuisce alle stesse il senso che è immediatamente desumibile dal contenuto testuale delle frasi pronunciate e dalla correlazione temporale e in successione delle conversazioni stesse con un procedimento ermeneutico che non sembra tacciabile di critica e che sfocia coerentemente nel riconoscimento della esistenza di rapporti stretti e continui con il gruppo criminale oggetto della imputazione preliminare con la piena disponibilità del -OMISSIS-, come ha osservato l’ordinanza impugnata, ad assicurare, grazie alla sua funzione, posti di lavoro pubblici e modifiche migliorative di contratti già in corso, oltre a contribuzioni economiche in favore della associazione stessa”;

le osservazioni difensive, pur astrattamente suscettibili di possibili, eventuali sviluppi

positivi in sede di accertamento pieno della responsabilità del -OMISSIS-, non sono attualmente tali da vanificare quella “qualificata probabilità di colpevolezza” che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, costituisce l’essenza della nozione di gravità indiziaria sopra richiamata (si veda da ultimo, a conclusione di un percorso giurisprudenziale sostanzialmente uniforme, Cass. sez. 2 del 10/1/2003 n. 18103).

Quanto sin qui ricordato rende dunque plausibile, in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata a nulla rilevando, quindi, che tali comportamenti abbiano o meno anche una valenza penale (per altri soggetti dell’amministrazione).

Non solo risulta il grave quadro indiziario a carico del vicesindaco, presente nelle due consiliature (accanto al medesimo sindaco), ma gli stessi addebiti comportano di per sé quel quadro di pericolo di condizionamento dell’apparto burocratico, idoneo a compromettere i princì pi di buona amministrazione, come risulta confermato dalla molteplicità degli episodi e dei settori in cui l’amministrazione ha riscontrato l’ingerenza del -OMISSIS-.

Siffatta ingerenza, per lo meno, non potrebbe non rilevare in termini di mancanza di un efficace controllo o vigilanza da parte degli altri componenti del Consiglio.

Né rileva, altresì, quanto contro dedotto da parte appellata, con riguardo alla necessità di rispettare la volontà dell’elettorato, poiché purtroppo le attività investigative e la stessa ordinanza di custodia cautelare nei confronti del -OMISSIS-hanno riportato alla luce un’attività tesa all’alterazione della libera espressione del voto, proprio con riferimento alle amministrative del maggio 2015.

L’effetto di prevenzione dello strumento dello scioglimento del Comune – in generale e nella fattispecie che occupa – va, dunque, individuato, propriamente, nella volontà di evitare che l’infiltrazione della criminalità organizzata negli apparati della ‘cosa pubblicà, vada a colpire i principi fondamentali della convivenza civile.

Nella specie, alcuni comportamenti tenuti dal -OMISSIS-e che hanno formato oggetto dell’ordinanza di custodia, rendono inequivocabilmente giustificata l’adozione della misura.

Risulta, dunque, coerentemente perseguito quell’obiettivo voluto dal legislatore, di protezione del diritto della collettività ad uno svolgimento democratico della vita amministrativa e dell’autonomia dell’ente locale.

Dalla relazione del Ministero dell’Interno e dagli atti di causa (già sopra in fatto richiamati) emerge un vasto quadro indiziario relativo alla pervasività del pericolo di influenza dell’organizzazione di stampo mafioso, proprio in settori che assumono, per così, valore sintomatico quali quelli dell’urbanistica, della gestione dei rifiuti, degli appalti, degli alloggi popolari e delle assunzioni.

Rispetto a tutti gli elementi sin qui posti in evidenza, da un lato la posizione degli appellati – come recepita dal primo giudice – tende contraddittoriamente a privare di significato i fatti emersi in sede penale, attraverso la ripetuta affermazione della diversità della valutazione amministrativa da quella penale, dimenticando erroneamente – come già precisato – il valore di prevenzione del provvedimento di scioglimento e, dall’altro, a sottolineare, però, la mancanza di ulteriori condanne penali, nei confronti degli originari ricorrenti medesimi.

Neppure può risultare utile a confutare la ricostruzione, quanto ripetuto dalla parte appellata in ordine alla continuità di alcuni rapporti (provvedimenti di proroga per il servizio di rifiuti), pur dopo il commissariamento, poiché risulta ovvio che, attraverso lo strumento dello scioglimento, si è voluto proprio interrompere (con valore eminentemente di prevenzione, a protezione della correttezza dell’operato della p.a.) quella contiguità tra amministrazione e soggetti della malavita organizzata, che costituiva elemento di pericolo nello svolgimento delle attività dell’ente.

2.3 – Da tutto quanto sin qui evidenziato discende la fondatezza dei motivi di censura della sentenza di primo grado, dedotti da parte dall’Amministrazione appellante.

3 – Pertanto, in accoglimento del ricorso di appello, la sentenza -OMISSIS-deve essere annullata e per l’effetto, deve essere respinto il ricorso R.G. -OMISSIS-.

In ragione della complessità della fattispecie, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del doppio grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, annulla la sentenza -OMISSIS- e conseguentemente, respinge il ricorso R.G. -OMISSIS-.

Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti private.