Corte di Cassazione – Sentenza n. 6547 del 12 marzo 2008

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La s.p.a. Fi. – così trasformatasi la s.p.a. Fi. – impugnava il silenzio rifiuto dell’istanza del 14 ottobre 1988 di rimborso parziale dell’imposta proporzionale di registro nella misura dell’1% versata per la Delib. 8 aprile 1987 di aumento del capitale sociale mediante conferimento di azioni rappresentante il 93,04% del capitale sociale della s.p.a. Fi. ed emissione di azioni ordinarie con sovrapprezzo, deducendo che la tassazione a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 4 lettera b) era in contrasto con gli articoli 4 e 7 della direttiva CEE n. 69/335, che prevedevano per il conferimento in danaro l’aliquota dello 0,5%; con l’articolo 1 della direttiva n. 73/80, che stabiliva agevolazioni per conferimenti di partecipazioni rappresentanti almeno il 75% del capitale sociale della società oggetto di conferimento, e con la direttiva 85/303 che stabiliva una progressiva diminuzione dell’imposta dall’1% allo 0,50%, fino ad arrivare all’esenzione totale; in via subordinata chiedeva il rimborso di imposta soltanto relativamente alle azioni per le quali erano previste agevolazioni dall’articolo 1 della direttiva 70/80 CEE. L’Ufficio del registro ribadiva la legittimità della tassazione ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 4 lettera a).
La C.T.P. accoglieva il ricorso e la C.T.R. rigettava l’appello dell’Ufficio ritenendo che per il conferimento di azioni, determinante aumento di capitale sociale, si applica la normativa CEE, mentre per il conferimento in danaro l’Ufficio non aveva fornito la prova che si trattasse di emissione di azioni con sovraprezzo.
Avverso questa sentenza ricorrono per cassazione l’Amministrazione delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate con due motivi di ricorso cui resiste la s.p.a. Tr. Pi. già Fi. s.p.a.. Le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Va pregiudizialmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per esser stato notificato alla resistente s.p.a. Tr. Pi. – e peraltro personalmente, anzichè nel domicilio eletto presso i procuratori costituiti, in violazione dell’articolo 330 c.p.c., comma 1 – il 8 febbraio 2001, e consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica il 7 febbraio 2001, mentre la sentenza impugnata, pubblicata il 20 dicembre 1999, non notificata, era passata in giudicato il 5 febbraio 2001 – essendo il 4 febbraio 2001 giorno festivo – a norma dell’articolo 327 c.p.c., comma 1.

L’eccezione è infondata.
Sulla questione coesistono due orientamenti.

1.1- Secondo un primo orientamento, formatosi anteriormente (Cass. 5231/1999) alle sentenze del giudice delle Legge n. 477 del 2002, Legge n. 28 del 2004 e Legge n. 97 del 2004, Legge 154 del 2005 – che hanno introdotto nel nostro ordinamento il principio della scissione tra il momento di perfezionamento della notificazione per il notificante e per il destinatario – ma ribadito anche successivamente (Cass. 18003/2002, 1010, 13524, 19333/2003, 10358/2005) e pur recentemente (Cass. 14487/2007, specie in motivazione), nell’ipotesi in cui la notificazione dell’impugnazione presso il domiciliatario, ai sensi dell’articolo 330 cod. proc. civ., non sia andata a buon fine per il mancato reperimento di quest’ultimo nel luogo indicato nell’elezione di domicilio, la successiva notificazione eseguita secondo le diverse modalità indicate nello stesso articolo, dopo la scadenza del termine di un anno dal deposito della sentenza, deve ritenersi inesistente, posto che i termini per l’impugnazione, qualificati come perentori dall’articolo 326 cod. proc. civ., inquadrandosi nell’istituto generale della decadenza, decorrono per il solo fatto del trascorrere del tempo, senza alcuna possibilità di proroga, sospensione o interruzione, se non nei casi eccezionali previsti dalla legge, tra cui non rientra la necessità di reperire il nuovo recapito del destinatario della notifica dell’atto di impugnazione, e ciò tanto più nelle ipotesi in cui (articoli 325 e 327 cod. proc. civ.) il termine di impugnazione è così ampio da permettere all’interessato di attivarsi per tempo onde rimediare ad eventuali ostacoli che si oppongano all’attività notificatoria.
Ne consegue che la questione della conoscenza o della conoscibilità del diverso recapito di detto domiciliatario, spiega rilevanza solo in ordine all’individuazione delle predette modalità (nel diverso recapito – Cass. 4746/1997 – o, qualora il nuovo domicilio non sia accertatile con mezzo idoneo, ovvero sia ritenuta inoperante l’elezione di domicilio per il nuovo recapito – Cass. 4746/1997, cit., 4813/1998, 19335/2003 – alla parte personalmente), con le quali la notificazione deve essere rinnovata, ma non tocca la necessità che tale rinnovazione avvenga entro la scadenza del termine perentorio fissato per l’impugnazione, restando a carico dell’istante il rischio che le nuove modalità notificatorie non consentano di rispettare detto termine. Nè alcuna influenza possono esplicare, in tale ipotesi, i principi dettati dalla Corte castituzionale, nelle sentenze innanzi citate, riguardo alla non imputabilità al notificante delle circostanze impeditive verificatesi successivamente alla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, poichè essi attengono ai diversi casi in cui l’inosservanza del termine sia imputabile al ritardo nel compimento di un’attività riferibile a soggetto diverso dal notificante (ufficiale giudiziario, agente postale), e non ad erronee, ancorchè incolpevoli, indicazioni contenute nell’atto consegnato dall’istante per la notificazione. Dunque, allorquando risulti dalla relata di notifica che l’atto non è stato notificato per trasferimento del domiciliatario, si versa in ipotesi di inesistenza e non di nullità della notificazione, e perciò la costituzione del destinatario della medesima non da luogo a sanatoria “ex tunc”, nè è suscettiva di rinnovo.

1.2- Secondo un altro orientamento (Cass. 7018/2004, S.U. 13970/2004, 2005/15616, S.U. 10216/2006, 22480 e 24702/2006), a cui questo collegio ritiene di dare seguito, in conseguenza delle sentenze del giudice delle leggi succitate, nell’ipotesi in cui l’atto da notificare sia stato tempestivamente consegnato all’ufficiale giudiziario, ma non essendosi perfezionato il procedimento, il notificante lo riavvii oltre il termine perentorio stabilito per l’impugnazione, questa non soggiace alla sanzione d’inammissibilità, se egli ha provveduto con sollecita diligenza – da valutare secondo un principio di ragionevolezza avuto riguardo al momento dell’acquisizione della notizia dell’esito negativo della prima notificazione e a quello in cui notificante provvedere a riavviare validamente il procedimento – in tal modo non essendo vulnerato nè l’interesse di rango costituzionale alla ragionevole durata del processo e al conseguimento della certezza e stabilità delle situazioni giuridiche conseguenti alla pronunzia, nè gli articoli 3 e 24 Cost., come avverrebbe invece nel caso in cui si addossassero al notificante le conseguenze di una notifica tardiva per fatti sottratti al suo potere di ingerenza ed impulso e non riconducibili a suo errore o negligenza. Conseguentemente va consentito al notificante di rinnovare una procedura che, dopo quella consegna, non sia stata portata a compimento per circostanze a lui non imputabili, così soltanto potendosi realizzare il contemperamento degli interessi in gioco presidiati entrambi dalla garanzia del diritto di difesa.

1.3- Consegue alle esposte considerazioni, nel caso di specie, che, tentata dall’ufficiale giudiziario la notifica del ricorso per cassazione il 5 febbraio 2001, incontestabilmente in termini, l’esito negativo della stessa per esser risultato a detta data trasferito il difensore domiciliatario non può essere addebitato ai ricorrenti poichè dalla ricerca all’albo degli avvocati di Roma, come dal medesimo ufficio attestato (documenti prodotti ai sensi dell’articolo 372 cod. proc. civ. in quanto attinenti all’ammissibilità del ricorso), lo studio dell’avv. Andrea Fiorelli – dichiaratosi procuratore alle liti e difensore domiciliatario all’atto della costituzione in giudizio di secondo grado della contribuente, a norma dell’articolo 141 cod. proc. civ., con implicita esclusione di tutti gli altri difensori e domiciliatari elencati in calce all’impugnazione in primo grado – è risultato invece ubicato, fino al 19 settembre 2001, all’indirizzo in cui si era recato l’ufficiale giudiziario (via Carducci 10, Roma). Pertanto nella consegna del ricorso per cassazione all’ufficiale giudiziario, avvenuta il 7 febbraio 2001 per la rinotifica dell’atto perfezionatasi nella sede legale della società Tr. Pi. il 8 febbraio 2001 e cioè allorchè il termine per impugnare era scaduto da soli tre giorni è da ravvisare la massima diligenza dell’amministrazione finanziaria, avuto riguardo al momento – 5 febbraio 2001, articolo 330 c.p.c., u.c. – del non perfezionamento della prima, tentata notifica, e della conseguente, relativa notizia. Pertanto il ricorso è ammissibile.

2.- Con il primo motivo di ricorso il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate deducono: “violazione e falsa applicazione dell’articolo 4 della tariffa allegata al Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 e dell’articolo 7 della direttiva 69/335/CEE in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, motivazione carente, illogica e contraddittoria in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, articolo 360 c.p.c., n. 4”, per avere la C.T.R. erroneamente assimilato il conferimento di quasi tutto il capitale sociale di una società al conferimento di un ramo di attività, contemplato dall’articolo 7 della direttiva, ovvero dall’articolo 7 punto b-bis nel testo introdotto con la direttiva n. 79/73/CEE e 85/303/CEE, secondo cui gli Stati membri esentano dall’imposta sui conferimenti le operazioni diverse da quelle di cui all’articolo 9 e che alla data del primo luglio 1984 erano esentate o assoggettate ad un’aliquota pari o inferiore a 0,50%, ma purchè siano conferimenti di azienda, di rami di azienda, di fusioni (lettera b), e non di quote societarie (lettera b bis), per le quali la riduzione è una facoltà degli Stati e lo Stato italiano non se ne è avvalso.

Il motivo è fondato.

Questa Corte ribadisce (Cass. 6079/2001, 5862/2003) infatti che in tema d’imposta di registro, gli articoli 7 e 9 della direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, 69/335/CEE, come modificata dalle direttive del Consiglio 9 aprile 1973, 73/79 CEE e 73/80 CEE, e 10 giugno 1985, 85/303/CEE, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali – direttiva d’immediata applicabilità “in toto” – non ostano, anche alla luce della sentenza della Corte di Giustizia del 13 dicembre 1991 in causa C – 164/90 (Muwi Bouwgroep BV contro Staatssecretaris vn Financien), alla riscossione della imposta proporzionale di registro, in base al Decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, in caso di aumento del capitale sociale mediante conferimento di partecipazioni societarie, non trattandosi di conferimento di ramo d’azienda o di totalità del patrimonio di una società, ai sensi dell’articolo 7, n. 1, lettera b) della stessa direttiva 69/335/CEE (secondo il concetto di autonomia funzionale espresso dalla Corte di Giustizia nel punto 22 della motivazione della citata pronuncia e ribadito nella sentenza 13 ottobre 1992 in causa C-50/91, Commerz – Credit – Bank, nella quale si definisce come ramo di attività “un insieme di beni e di persone capaci di concorrere alla realizzazione di un’attività determinati”), e non avendo esercitato lo Stato italiano la facoltà di riduzione dell’imposta concessagli dal medesimo articolo 7, n. 1, lettera b) bis.

3.- Con il secondo motivo di ricorso le ricorrenti deducono: “violazione e falsa applicazione dell’articolo 4 della tariffa allegata al Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 e dell’articolo 7 della direttiva 69/335/CEE in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Motivazione carente, illogica e contraddittoria in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Ultrapetizione in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per avere la C.T.R., in relazione all’ulteriore aumento del capitale sociale della società Fi. mediante emissione di azioni ordinarie con sovrapprezzo affermato che questo non era stato provato pur non avendo la contribuente nulla dedotto al riguardo, risultando la circostanza dal verbale di assemblea straordinaria e disponendo l’articolo 7, paragrafo 1 lettera a della direttiva 69/335/CEE che l’aliquota dell’imposta sui conferimenti non può esser inferiore all’1% – misura massima fissata poi dalla direttiva 303/85/CEE, paragrafo 2, si che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 4 lettera a) non era in contrasto con esse.

Il motivo è fondato.

Va infatti riaffermato (Cass. 2510 e 21510/2004) che, nel caso di aumento di capitale sociale con conferimento di denaro, come nell’ipotesi di emissione di nuove azioni ordinarie, all’applicazione dell’imposta proporzionale, ai sensi dell’articolo 4 della tariffa, parte prima, allegata al Decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alle modifiche apportate dalla Legge 23 dicembre 1999, n. 488, articolo 10), non osta la direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, n. 69/335/CEE, come modificata dalla direttiva n. 85/303/CEE. Da un lato, infatti, l’articolo 4 della direttiva, nel sottoporre ad imposizione l’aumento di capitale mediante conferimento di “beni di qualsiasi natura”, va inteso nel senso di comprendere, in quest’ultima ampia dizione, anche il danaro; dall’altro, l’articolo 7, nell’esentare dal prelievo fiscale alcune operazioni relative alle azioni, non include in tale previsione le operazioni di capitalizzazione in se considerate, le quali, pertanto, rientrano nella previsione del citato articolo 4.
Pertanto anche il secondo motivo va accolto.
Dall’accoglimento del ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata. Non risultando dalla motivazione della medesima contestazione motivazione della medesima contestazione alcuna delle risultanze del verbale di assemblea straordinaria della s.r.l. Fi., come riassunto in narrativa, non necessitano ulteriori accertamenti di fatto e pertanto la causa può esser decisa nel merito rigettando il ricorso introduttivo della contribuente. L’esito dei giudizi di merito induce a compensare le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo della contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio.