Corte di Cassazione – Ordinanza n. 2545 del 1 febbraio 2018

ORDINANZA

sul ricorso 27974-2016 proposto da:
(omissis);
– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE C.F. 06363391001, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DEUX) STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NOMENTANA 91, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BEATRICE, che la rappresenta e difende unitamente dall’avvocato FRANCESCO AMODIO;
– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3931/52/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di NAPOLI, depositata il 02/05/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/12/201 7 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON,

Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del Presidente e del Relatore.

Rilevato che:

Con sentenza in data 23 marzo 2016 la Commissione tributaria regionale della Campania respingeva nel merito l’appello proposto dalla (omissis) avverso la sentenza n. 7679/6/15 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che ne aveva invece dichiarato inammissibile il ricorso contro la cartella di pagamento IRAP, IRES, IVA ed altro 2007. La CTR osservava in particolare che, pur dovendosi dichiarare ammissibile il ricorso introduttivo della lite, lo stesso era infondato nel merito e specificamente, per la parte che qui rileva, relativamente all’eccezione di decadenza ex art. 25, d.P.R. 602/1973.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo un motivo unico.

Resistono con controricorso l’Agenzia delle entrate e l’Agente della riscossione.

Considerato che:

Con l’unico mezzo dedotto –ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione dell’art. 25, d.P.R. 602/1973, poiché la CTR ha affermato l’infondatezza della sua eccezione di decadenza fondata su tale disposizione legislativa.

La censura è infondata.

Va ribadito che «Alla stregua della disciplina dettata dal codice civile con riguardo alla solidarietà fra coobbligati, applicabile – in mancanza di specifiche deroghe di legge – anche alla solidarietà tra debitori d’imposta, l’avviso di accertamento validamente notificato solo ad alcuni condebitori spiega, nei loro confronti, tutti gli effetti che gli sono propri, mentre, nei rapporti tra l’Amministrazione finanziaria e gli altri condebitori, cui non sia stato notificato o sia stato invalidamente notificato, lo stesso, benché inidoneo a produrre effetti che possano comportare pregiudizio di posizioni soggettive dei contribuenti, quali il decorso dei termini di decadenza per insorgere avverso l’accertamento medesimo, determina pur sempre l’effetto conservativo d’impedire la decadenza per l’Amministrazione dal diritto all’accertamento, consentendole di procedere alla notifica, o alla sua rinnovazione, anche dopo lo spirare del termine all’uopo stabilito» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13248 del 25/05/2017, Rv. 644935 – 01).

Pur riferendosi all’ipotesi dell’emanazione di un atto impositivo, il principio di diritto di cui a tale arresto giurisprudenziale è evidentemente riferibile anche alla diversa ipotesi, quale quella in esame, del termine decadenziale previsto per l’emissione della cartella esattoriale dall’art. 25, d.P.R. 602/1973.

Evidente ne è infatti l’eadem ratio legis et juris.

Pacifico e comunque accertato in fatto dal giudice tributario di appello, che nel caso di specie il termine decadenziale è stato rispettato nei confronti dell’obbligato principale ( (omissis), cedente l’azienda cui le obbligazioni fiscali de quibus si riferiscono, essendone cessionaria la (omissis) ), per la chiara espressione disgiuntiva della legge (“o”; art. 25, primo comma, d.P.R. 602/1973) volendo dare seguito ed estensione all’arresto giurisprudenziale citato, deve affermarsi giuridicamente irrilevante l’avvenuta notifica della cartella esattoriale impugnata alla ricorrente, quale coobbligata d’imposta, successivamente al termine decadenziale de quo.

Del resto nell’ analoga fattispecie concreta della dichiarazione congiunta dei redditi dei coniugi, questa Corte ha già avuto modo di affermare, conformemente, l’equiparabilità dell’atto della riscossione a quello impositivo rispetto al termine decadenziale, nello specifico senso -che qui rileva- della sufficienza, anche ad uno soltanto dei coobbligati solidali della notifica dell’uno ovvero dell’altro entro tale termine, trovando applicazione l’art. 1310, primo comma, cod. civ., ancorchè si tratti di decadenza e non di prescrizione (v. Sez. 5, n. 27005 del 21/12/2007 e n. 1463 del 27/01/2016).

Vero è tuttavia che altra giurisprudenza di questa stessa Corte in campo civilistico ha diversamente affermato che «In tema di solidarietà tra coobbligati, il primo comma dell’art. 1310 cod. civ., dettato in materia di prescrizione, non é applicabile anche in tema di decadenza, non solo per la chiarezza del testo normativo, riferito solo alla prescrizione, ma anche per la profonda diversità dei due istituti, fondandosi la prescrizione sull’estinzione del diritto che, per l’inerzia del titolare, si presume abbandonato e fondandosi, invece, la decadenza sulla necessità obiettiva di compiere un determinato atto entro un termine perentorio stabilito dalla legge, oltre il quale l’atto é inefficace, senza che abbiano rilievo le situazioni soggettive che hanno determinato l’inutile decorso del termine o l’inerzia del titolare e senza possibilità di applicare alla decadenza le norme relative all’interruzione e/o alla sospensione della prescrizione contemplate dall’articolo indicato» (Sez. 2, Sentenza n. 16945 del 20/06/2008, Rv. 604067 – 01; conforme, Sez. 2, Sentenza n. 8288 del 19/06/2000, Rv. 537735 – 01). E del resto consimile orientamento risulta indubbiamente ben fondato sull’inequivoco dato normativo riveniente dall’art. 2964, cod. civ., secondo il quale «Quando un diritto deve esercitarsi entro un determinato termine sotto pena di decadenza non si applicano le norme relative all’interruzione della prescrizione. Del pari non si applicano le norme che si riferiscono alla sospensione, salvo che sia disposto altrimenti».
Vi è però da tener conto della diversità e della specialità della disciplina tributaria, in particolare procedimentale, trattandosi di attività di diritto pubblico (dunque ben diversa da quella di diritto privato sicuramente de-procedimentalizzata) regolata da sue proprie norme, quali appunto quella che risulta applicabile nel caso di specie (art. 25, primo comma, d.P.R. 602/1973), secondo l’interpretazione che sopra si è profilata, ovvero quella analoga in materia sanzionatoria di cui all’art. 20, comma 2, d.lgs. 472/1997.

In conclusione, il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in curo 3.000 per ciascun controricorrente, oltre spese prenotate a debito all’Agenzia delle entrate e oltre curo 200 per esborsi, 15% per contributo spese generali ed accessori di legge all’Agente della riscossione.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.