CTR Lazio – Sentenza n. 6518 del 27 ottobre 2016

SENTENZA

– sull’appello n. 7402/2015

depositato il 13/11/2015

– avverso la sentenza n. 5992/2015 Sez. 12 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di ROMA

contro:

AG. ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE ROMA 3

proposto dall’appellante:

CU.SA.

VIA (…) 00044 FRASCATI RM

difeso da:

LU.RO.

VIA (…) 00012 GUIDONIA MONTECELIO RM

altre parti coinvolte:

AG. RISCOSSIONE ROMA EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE S.p.A.

VIA (…) 00147 ROMA RM

difeso da:

RA.EM.

CORSO (…) 03100 FROSINONE FR

Atti impugnati:

CARTELLA DI PAGAMENTO n. (…) IRPEF-ALTRO 2005

CARTELLA DI PAGAMENTO n. (…) IVA-ALTRO 2005

FATTO

La presente controversia ha come oggetto la cartella di pagamento n. (…) scaturita dall’iscrizione al ruolo reso esecutivo il 15.04.2010 per richiedere le imposte dirette ed indirette, oltre la sanzione, di cui all’avviso di accertamento n. (…), (secondo l’ufficio) regolarmente notificato al sig. Cu.Sa. e divenuto definitivo per mancata impugnazione.

Con ricorso notificato a mezzo raccomandata a.r. del 26.11.2011, spedito il 24.12.2011 e ricevuto dalla C.T.P. il 02.01.2012, il contribuente impugnava la detta cartella di pagamento ed eccepiva che la notifica del prodromico avviso di accertamento era nulla perché eseguita ai sensi dell’art. 60 lett. e) del D.P.R. n. 600/73 in assenza del presupposto dell’irreperibilità assoluta e nel merito che il reddito accertato era da ripartire con il germano Ugo con il quale aveva in essere un’impresa familiare e che erano da riconoscere l’iva sugli acquisti, gli oneri deducibili e le detrazioni d’imposta, con la conseguenza che le somme versate erano pressoché capienti delle somme dovute.

La Commissione tributaria provinciale di Roma, con la sentenza n. 5992/12/15, dichiarava inammissibile il ricorso essendosi la parte ricorrente “costituita senza rispettare le forme di cui all’art. 22 comma 3 del D.Lgs. n. 546/92” in quanto ometteva di provvedere al deposito accludendo non solo la ricevuta postale di ricezione ma anche l’attestazione di conformità dell’atto depositato a quello spedito o consegnato.

Avverso detta sentenza propone appello il contribuente per chiederne la riforma.

In particolare, il contribuente impugna la citata sentenza per falsa ed errata interpretazione ed applicazione dell’art. 22 comma 3 del D.lgs. n. 546/92 e riproponendo le eccezioni sulla nullità della cartella di pagamento per l’irregolare notifica del prodromico avviso di accertamento ai sensi dell’art. 60 lett. e del D.P.R. n. 600/73. Il contribuente sostiene di essere residente in Frascati, via (…) sin di 31 marzo 1998.

Ribadisce la doglianza relativa alla mancata ripartizione del reddito imponibile con il familiare collaboratore; e al mancato riconoscimento dell’iva assolta sugli acquisti, degli oneri previdenziali obbligatori deducibili e delle altre detrazioni d’imposta.

L’Agenzia delle entrate D.p. III si costituisce in giudizio per contrastare, con varie deduzioni, le argomentazioni sollevate dall’appellante, affermando la validità e la fondatezza del proprio operato e chiedendo il rigetto del gravame.

La causa, non essendo stata presentata istanza di trattazione in pubblica udienza, viene decisa con procedimento camerale.

DIRITTO

Questa Commissione ritiene che l’appello del contribuente sia infondato e vada, pertanto, respinto.

Deve, infatti, ritenersi condivisibile la decisione del primo giudice laddove ha dichiarato inammissibile il ricorso, perché privo dell’attestazione di conformità dell’atto depositato a quello spedito o consegnato, come previsto dai commi 2 e 3 dell’art. 22 del D.Lgs. 546/92.

Anche gli altri motivi di gravame appaiono pretestuosi e devono essere respinti. Il contribuente contestava la sussistenza dei presupposti per applicare la procedura prevista in caso di irreperibilità assoluta, in quanto aveva la residenza presso l’indirizzo di via (…), fin dal 31.03.1998, mutata in via delle (…) dal 04.06.2011, sua attuale abitazione. Nel caso in esame, deve convenirsi che, malgrado attente ricerche, il messo comunale non ha potuto rinvenire l’abitazione del contribuente. Nel caso di specie, il messo comunale si recava il 18 dicembre 2009 in Frascati alla via (…) ed attestava di aver notificato mediante procedura di deposito in busta sigillata sulla quale è trascritto il numero 1249 cronologico della notificazione presso la casa comunale di Frascati ed affissione di avviso di deposito in busta sigillata, nel relativo albo, poiché nello stesso Comune non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente.

Nella relata di notifica specificava che “Su indicazione degli Agenti P.M. (Polizia Municipale) la ricerca è stata effettuata in via (…) dal n. civ. (…) al n. civ. (…) ma, pur avendo chiesto informazioni a svariate persone, nessuno sembra conoscere il sig. Cu.; per ultimo è stato sentito il titolare del ristorante il Caminetto che mi conferma di non aver mai sentito nominato il sig. Cu.”.

Non può negarsi che nel caso di specie il messo comunale era a conoscenza che il domicilio fiscale del contribuente corrispondeva all’indirizzo di via (…) in Frascati, ma recatosi sul posto constatava che tale informazione non corrispondeva a quanto effettivamente riscontrato. Invero, poiché al civico 112 non risultava abitare il contribuente, il messo comunale si adoperava a porre in essere tutte quelle ricerche espletabili sul posto ed in quel momento al fine di consegnare il plico.

Si avvaleva della collaborazione degli Agenti della Polizia Municipale i quali lo esortarono a verificare tutti i civici dal 106 al 166, senza tuttavia alcun esito visto che le numerose persone incontrate ed interpellate negarono di conoscere il sig. Cu.Sa.

il messo comunale, inoltre, orientava le ricerche al titolare del ristorante (…), il quale dava una’risposta ancora più netta, non avendo mai sentito nominare il sig. Cu.

Alla luce dei fatti sopra narrati era evidente che nessun addebito può essere mosso al messo comunale il quale aveva usato la massima diligenza per ricercare il destinatario e solo dopo essersi reso conto dell’impossibilità di recapitare il plico, in quanto il contribuente risultava di fatto trasferito in luogo sconosciuto, applicava la conseguente procedura prevista per i casi di irreperibilità assoluta.

Peraltro, il certificato di residenza storica prodotto dal ricorrente non può assurgere al rango di prova contraria in merito alle notizie apprese all’esito delle ricerche, in quanto non faceva che confermare quanto era già a conoscenza del messo comunale, il quale non aveva eseguito la notifica perché non aveva trovato elementi oggettivi che potessero ricondurre l’indirizzo di via (…) all’abitazione del contribuente.

Il contribuente, poi, lamenta che, nel calcolo del reddito imponibile, l’Ufficio non aveva tenuto conto che gestione dell’attività era svolta nella forma dell’impresa familiare, essendo compartecipata del germano, con la quota del 49%. Sul punto deve osservarsi che il rapporto che si instaura tra l’imprenditore e i familiari che prestano il proprio lavoro nell’impresa ha natura individuale e non collettiva (associativa); pertanto, è l’imprenditore l’unico titolare dell’impresa, il quale la esercita assumendo in proprio diritti e obbligazioni, oltre la piena responsabilità verso i terzi.

Ciò è confermato anche dal contenuto dell’art. 5 del TUIR, che così evidenzia: “… in base alle disposizioni richiamate, il reddito dell’impresa è dichiarato, nel suo ammontare complessivo, dall’imprenditore, che è l’unico titolare dell’impresa…”. È dunque pacifica la natura individuale dell’impresa familiare di ciò all’art. 230 bis del codice civile, nel senso che la qualifica di imprenditore spetta solo e esclusivamente al titolare della stessa, rispetto al quale i familiari, che, trovandosi in una dei rapporti previsti dal terzo comma dell’art. 230 bis prestano lavoro continuativo e prevalente la propria attività di lavoro, possono assumere la qualifica di meri collaboratori.

Consegue che legittimamente l’Ufficio si è rivolto al sig. Cu. con la richiesta di integrale versamento dei tributi omessi.

Per quanto riguarda il mancato riconoscimento dell’iva assolta sugli acquisti, il cui ammontare era di Euro 9.674,65, deve osservarsi che, in materia di Iva, il titolo necessario per riconoscere il diritto del contribuente alla detrazione è rappresentato dalla presentazione della dichiarazione annuale delle operazioni imponibili, entro il termine di trenta giorni previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, articolo 37, applicabile ratione temporis, in seguito abrogato dall’articolo 9 del D.P.R. n. 322 del 1998 dal 22 settembre 1998, posto che, a mente di tale disposizione, la dichiarazione presentata con ritardo superiore a trenta giorni costituisce titolo per la riscossione dell’imposta, ma deve considerarsi omessa a tutti gli altri effetti, e quindi anche al fine del riconoscimento del diritto alla detrazione (Cass. n. 14505/2001; n. 11737/2011; n. 19204/2006 e n. 17158/2005).

Ulteriore preclusione alla detraibilità dell’iva era l’assenza delle relative fatture passive, che il ricorrente ometteva di produrre ed impediva così potesse attualizzare il diritto alla detrazione dell’imposta “a monte” di cui all’art. 19 del D.P.R. n. 633/72.

invero, essendo quest’ultimo subordinato al fatto che l’acquisto effettuato fosse inerente all’attività dell’impresa, il ricorrente non consentiva di verificare se ognuno degli acquisti per i quali asseriva di aver versato la relativa iva fossero finalizzati a beni e/o servizi impiegati per l’attività dell’impresa. Il contribuente produceva l’elenco dei pagamenti effettuati con mod. F24 nel corso del 2005 dai quali si evincevano le somme versate a titolo di contributi obbligatori a favore dell’INPS. Premessa l’integrale deducibilità dal reddito complessivo ai fini irpef dei contributi previdenziali ed assistenziali versati obbligatoriamente all’INPS da artigiani, commercianti, lavoratori autonomi senza una specifica Cassa professionale, tuttavia nel caso di specie, ricorrendo la fattispecie dell’impresa familiare, la deducibilità era da escludere. Invero, essendo il titolare dell’impresa obbligato al versamento dei contributi previdenziali anche per i familiari che collaborano nella stessa ed avendo il titolare diritto di rivalsa, il titolare stesso non può dedurre tali contributi, neppure se non ha esercitato la rivalsa, a meno che il familiare sia un soggetto fiscalmente a carico; i collaboratori possono dedurre i contributi soltanto se il titolare dell’impresa ha effettivamente esercitato detta rivalsa. Quindi, il ricorrente non poteva rivendicare il diritto alla detrazione, esperibile nel solo caso in cui il familiare collaboratore fosse stato a suo carico: condizione assente nel caso di specie visto che il germano Ugo era titolare di redditi tali da essere obbligato a presentare autonoma dichiarazione dei redditi.

Sulla base delle dedotte considerazioni, l’appello del contribuente deve essere respinto e, per l’effetto, deve essere confermata la legittimità e la validità della cartella di pagamento impugnata.

Le spese di lite possono essere compensate tra le parti, tenuto conto della peculiarità della presente controversia e delle complesse questioni trattate.

P.Q.M.

La Commissione tributaria regionale del Lazio – Sezione 17, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, così dispone: “Respinge l’appello del contribuente. Compensa le spese di giudizio”.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2016.

Depositata in Segreteria il 27 ottobre 2016.