CTR Lazio – Sentenza n. 3887 del 26 giugno 2017

SENTENZA

– sull’appello n. 1152/2016

depositato il 11/02/2016

– avverso la sentenza n. 13838/2015 Sez:7 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di ROMA

contro:

S.C. SRL & C. SAS

difeso da:

TASCO GIAMPIERO E/O POZZI GIORGIO

STUDIO LEG.TRIB. TASCO & ASSOCIATI

VIA ANTONIO GRAMSCI N.54 00197 ROMA

proposto dall’appellante:

AG. ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE ROMA 1

Atti impugnati:

AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IRES-ALTRO 2009

Svolgimento del processo

La presente controversia ha come oggetto il ricorso proposto dalla S.M. & C. società in accomandita semplice avverso l’avviso di accertamento unico sdc n. (…) emesso dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale 1 di Roma.

In data 14/10/2011 i verificatori della Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Roma I si erano recati presso la sede legale della S.M. & c. sas.

Appreso che la società non aveva né dipendenti, né amministratore, in quanto deceduto il 09/06/2011, avevano contattato il socio di maggioranza della S., ossia l’accomandante C. s.r.l., nella persona del legale rappresentante A.S., invitandolo a presentarsi in data 18/10/2011 al fine di fornire informazioni utili e la documentazione necessaria.

Il sig. A.S., presentatosi al predetto incontro, aveva eccepito, in quanto rappresentante di una società accomandante della ricorrente, di non essere legittimato a riscontrare quanto richiesto dall’Ufficio e che comunque i soci della S. avrebbero provveduto alla nomina del nuovo socio accomandatario nel termine prescritto dall’articolo 2323 c.c. di sei mesi, quindi entro il termine del 9 dicembre 2011.

In data 06/12/2011, con atto a rogito del N.M. di R., rep. n. (…), racc. n. (…), i soci della ricorrente avevano nominato socio accomandatario la società C. s.r.l. in persona del suo amministratore unico e legale rappresentante legale, sig. L.P..

Nel frattempo, però l’Ufficio aveva notificato in data 24/11/2011 l’avviso di accertamento in discussione.

Nel ricorso introduttivo la società chiedeva l’annullamento dell’avviso, eccependo:

a. Esecuzione dell’attività di verifica in assenza del soggetto legittimato a rappresentare la società e carenza assoluta di contraddittorio;

b. Carenza di super-motivazione;

c. Mancanza di un criterio presuntivo, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n. 13838/07/15, accoglieva il ricorso e condannava l’Ufficio alle spese di giudizio, liquidate in Euro 2.000,00.

Il primo Collegio riteneva che la pretesa impositiva era stata erroneamente rivolta al socio accomandante, ossia a soggetto privi di legittimazione passiva; riteneva che l’avviso di accertamento fosse privo della necessaria motivazione, che non fosse stato rispettato il termine dilatorio di cui all’art. 12 L. n. 212 del 2000, e che non fosse stato instaurato un regolare contraddittorio con il nuovo socie accomandatario.

Avverso detta sentenza propone appello l’Agenzia delle entrate D.p. I di Roma per chiederne la riforma

Si costituisce in giudizio la società S.C. s.r.l. e C. s.a.s. (già S.M. e C s.a.s., per chiedere, con motivate argomentazioni il rigetto del gravame.

La causa viene trattata in pubblica udienza, essendo stata presentata regolare istanza in tal senso.

All’udienza odierna sono presenti il difensore del contribuente e il rappresentante dell’Ufficio.

Motivi della decisione

Questa Commissione ritiene che l’appello dell’Agenzia delle entrate sia infondato e vada, pertanto, respinto.

E, invero, questo Collegio è dell’avviso che la sentenza pronunciata dai primi giudici sia adeguatamente motivata, del tutto aderente alle risultanze processuali e in linea con la normativa che regola la materia, di guisa che non merita alcuna critica e/o censura.

In particolare, va condivisa l’affermazione del primo giudice laddove stigmatizza che, nel caso di società in accomandita semplice, la pretesa impositiva può essere rivolta solo alla Società ed al socio accomandatario e non anche nei confronti del socio accomandante nel cui caso sussisterebbe un difetto di legittimazione passiva

Nel merito, poi, deve evidenziarsi l’assoluta infondatezza dell’avviso in quanto, come evidenziato, non di certo la S., bensì il socio unico I. S.r.l., non ha fatto altro che deliberare la trasformazione della controllata S. e, successivamente, cedere tale partecipazione a tre società, in presenza di tutti i requisiti di legge e di ragioni economiche oggettivamente ed incontrovertibilmente valide.

Di contro, le apparenti argomentazioni dell’Ufficio sono generiche ed inidonee a dimostrare la contemporanea sussistenza di tutti e tre i requisiti prescritti specificamente dall’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 ai fini dell’applicazione delle disposizioni antielusione, quali:

a. l’assenza di valide ragioni economiche;

b. l’aggiramento di obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario;

c. l’ottenimento di riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti.

Mancando anche uno solo di detti requisiti, il comportamento non può essere considerato elusivo.

Ed è proprio nel verificare la coeva esistenza di tali presupposti che la tesi elusiva supposta dall’Ufficio viene meno per mancanza degli stessi.

Infatti, l’ipotesi accusatoria sostenuta dall’Ufficio poggia sull’asserita mancanza di valide ragioni economiche sottese alle fattispecie negoziali in argomento.

Ora, nelle memorie del 5.9.2012, in risposta al questionario dell’Agenzia, la società ha enunciato chiaramente le ragioni economiche, oggettivamente ed incontrovertibilmente valide, sottese sia alla trasformazione di S. che alla successiva cessione.

In particolare, la società ha fatto presente che:

1) la trasformazione di S. da società per azioni in società di persone (cit. all. n. 9 al ricorso) veniva deliberata dal socio unico I. S.r.l. a fini di semplificazione gestionale e di riduzione dei costi amministrativi, in ragione anche del venir meno dell’obbligo del Collegio sindacale e della conseguente semplificazione degli adempimenti civilistici, contabili e sociali;

2) la cessione della partecipazione in S. veniva effettuata dal socio unico I. S.r.l. al fine di rafforzare il patrimonio netto della società, previa emersione delle plusvalenze latenti, potendo così esporre ai terzi e soprattutto al sistema del credito una situazione patrimoniale più solida, favorendone l’ulteriore accesso.

Inoltre, tale operazione di vendita di quote consentiva di realizzare un’ingente liquidità che, coerentemente ai piani industriali della società I. S.r.l., veniva impiegata in finanziamenti onerosi nei confronti di Ares 2005 S.r.l.

Si tratta, ad avviso del Collegio, di operazioni sostenute da valide e condivisibili ragioni economiche, determinate da una scelta gestionale del tutto legittima.

In ogni caso, detti negozi, sono stati effettuati da I. S.r.l., socio di S., e sebbene abbiano interessato anche soggetti correlati, è indubitabile che ciascuna società, seppur facente parte del medesimo gruppo imprenditoriale, è portatrice di una propria autonomia giuridica, nonché centro di imputazione di interessi scissi e diversi rispetto a quelli del gruppo considerato nella sua interezza.

Ogni società è, infatti, un distinto ed autonomo soggetto passivo d’imposta e deve e può rispondere solo degli atti da essa stessa posti in essere e, certamente, non anche di quelli compiuti da altri soggetti, eventualmente anche appartenenti al medesimo gruppo, i quali ne dovranno rispondere autonomamente.

Ed allora, non si comprende per quale motivo l’Ufficio abbia formulato le proprie contestazioni nei confronti della S. – che in entrambe le operazioni di trasformazione e cessione ne ha costituito solo l’oggetto quale società trasformata e ceduta – piuttosto che nei confronti dei soggetti che le hanno invece poste in essere.

E, dunque, è quanto mai evidente che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Agenzia, nessuna illiceità o distorsione è configurabile in tale contesto, né tanto meno un aggiramento di obblighi o divieti previsti dalla legislazione tributaria da parte della ricorrente S..

Sulla base delle dedotte considerazioni, appello dell’Ufficio deve essere respinto e, per l’effetto, deve essere annullato l’avviso di accertamento impugnato.

Le spese di lite del presente giudizio, in applicazione del principio della soccombenza, vanno poste a carico dell’Ufficio appellante e soccombente e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Commissione tributaria regionale del Lazio – Sezione 10a, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, così dispone:

“Respinge l’appello dell’Ufficio che condanna alle spese di giudizio, liquidate in Euro 10.000,00”.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2017.