CTP Roma – Sentenza n. 11779 del 29 ottobre 2021

Ricorrente: chiedeva l’annullamento per illegittimità sotto il profilo della omessa notifica delle cartelle di pagamento con conseguente decadenza e prescrizione quinquennale, della carenza di motivazione e della mancata allegazione delle cartelle con vittoria delle spese del giudizio da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario (…) e contestuale richiesta di trattazione pubblica del ricorso. Il valore della controversia veniva dichiarato in Euro 6.112,00.

Resistente: chiedeva il rigetto del ricorso con vittoria delle spese del giudizio depositando la prova documentale della avvenuta notifica delle cartelle tramite pec con valenza di contestuale notifica del ruolo.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il difensore della ricorrente (…), iscritto all’Albo dei Dottori Commercialisti di Roma ed all’Ordine degli Avvocati di Roma, nella sua qualità di rappresentante speciale giusta procura alle liti rilasciata a margine del ricorso dalla ricorrente: – (…) persona del legale rappresentante signora (…) contestuale elezione del proprio domicilio, in relazione al presente processo, presso lo studio in Roma via (…), numero di fax (…), ricorreva contro l’Agenzia delle entrate-Riscossione impugnando l’intimazione di pagamento n. (…) notificata tramite pec in data 04/10/2019 per un importo complessivo di Euro 11.952,04, limitatamente alle cartelle di pagamento contenenti crediti di natura tributaria ovvero n. (…) notificata il 23/03/17 per l’anno 2013 tributo Iva ruolo n. (…) notificata il 15/02/18 per l’anno 2014 tributo Iva ruolo n. (…) e n. (…) notificata il 26/09/18 per l’anno 2008 tributo Canoni ruolo n. (…); con l’avvertenza che in caso di omesso pagamento nel termine assegnato si sarebbe proceduto ad esecuzione forzata.

Con tempestivo ricorso proposto ai sensi dell’art. 17 bis del D.Lgs. n. 546/92 notificato all’Agenzia delle entrate-Riscossione tramite pec in data 29/10/2019 e successivamente depositato per la costituzione in giudizio in data 24/02/2020, dopo l’esito negativo della mediazione, la società prenominata si opponeva all’intimazione di pagamento limitatamente alle cartelle di pagamento contenenti crediti tributari e ne chiedeva l’annullamento per illegittimità sotto il profilo della omessa notifica delle cartelle di pagamento con conseguente decadenza e prescrizione quinquennale, della carenza di motivazione e della mancata allegazione delle cartelle con vittoria delle spese del giudizio da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario (…) e contestuale richiesta di trattazione pubblica del ricorso. Il valore della controversia veniva dichiarato in Euro 6.112,00. Nel ricorso sosteneva preliminarmente che l’azione del contribuente, diretta a far valere la nullità detta, poteva essere svolta indifferentemente nei confronti dell’ente creditore o del concessionario alla riscossione (senza litisconsorzio necessario tra i due), essendo rimessa al concessionario, ove evocato in lite, la facoltà di chiamata nei riguardi dell’ente medesimo (Cass. SS. UU. 16412/2007); – conformi, fra le varie, Cass. n. 97/2015, Cass. n. 12746/2014, Cass. n. 13331/2013, Cass. n. 10646/2013, Cass. n. 1532/2012, Cass. n. 16990/2012, Cass. 1532/2010, Cass. n. 5791/2008, Cass. n. 22939/2007 e in particolare, nell’ordinanza n. 21220 del 2012, “il fatto che il contribuente abbia individuato nel concessionario, piuttosto che nel titolare del credito tributario, il legittimato passivo, nei cui confronti dirigere l’impugnazione, non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore, onere che, tuttavia, grava sul convenuto, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio”. Proseguiva nel merito eccependo 1) la decadenza per tardiva e/o omessa notifica delle cartelle di pagamento in violazione dell’art. 25 e 26 D.P.R. 602/73 e relativa prescrizione quinquennale del credito; 2) la nullità dell’atto per mancata allegazione delle cartelle di pagamento, il difetto di motivazione e la mancanza di indicazione dell’Autorità competente a ricevere il ricorso e dei termini per la proposizione. Norme violate art. 7 c. 1, L. 212/2000, art. 3 L.241/90, art. 24 Costituzione; 3) la mancata indicazione delle modalità di calcolo degli interessi.

L’Agenzia delle entrate-Riscossione in data 16/09/2020 depositava in via telematica atto di controdeduzioni con il quale chiedeva il rigetto del ricorso con vittoria delle spese del giudizio depositando la prova documentale della avvenuta notifica delle cartelle tramite pec con valenza di contestuale notifica del ruolo. Sosteneva ancora che l’avviso di intimazione era un atto di natura vincolata, in quanto ai sensi dell’art. 50 del D.P.R. n. 602 del 1973, “è redatto in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle finanze”. Tale modello non prevedeva che all’avviso fosse allegata copia della cartella o di altro atto sottostante a quello opposto. Ed era logico, poiché l’avviso faceva seguito e richiamava la cartella precedentemente notificata indicando la data di avvenuta notificazione e conteneva tutti gli elementi idonei ad individuare ammontare, natura e causali della pretesa tributaria, e, non ultimo, anche l’Ente cui tale pretesa si riferiva, rendendo, di fatto, del tutto superflua l’allegazione della cartella in parola. In tale contesto, l’intimazione di pagamento, lungi dall’avere natura provvedimentale, era atto prodromico e strumentale all’avvio del processo esecutivo, essendo equiparato, nel sistema della riscossione fiscale, al precetto civilistico il quale non prevede affatto una nuova notificazione, in uno, del titolo esecutivo già precedentemente notificato al debitore. Era di tutta evidenza, pertanto, che qualsiasi ricostruzione che individui negli artt. 7 della legge n. 212 del 2000 e 3 della legge n. 241 del 1990 (relativi per l’appunto agli atti squisitamente amministrativi) il fondamento di un asserito obbligo di allegazione delle cartelle agli avvisi di intimazione, non potrà che apparire infondata. Ancora con riferimento all’eccepito difetto di motivazione l’Agenzia della riscossione chiariva come la disposizione sull’obbligo di motivazione degli atti amministrativi fosse applicabile con riferimento a tutti gli atti impositivi, per tale non potendosi però intendere l’atto di intimazione di pagamento, che invece era atto prodromico all’esecuzione forzata, corrispondendo, nell’esazione a mezzo ruolo, al precetto civilistico e il cui obbligo di motivazione era assolto con il richiamo al titolo esecutivo sottostante. Ed infatti, la giurisprudenza di merito aveva ritenuto adeguatamente motivato l’atto di intimazione che riportasse con precisione ed in dettaglio i singoli tributi che costituivano oggetto della cartella previamente notificata, la quale, pertanto, non era neppure necessario fosse allegata alla suddetta intimazione, essendo sufficiente che ne fossero riportati gli estremi ed il contenuto. Da ultimo rappresentava che le modalità di calcolo degli interessi fossero quelle stabilite dalla legge.

Con successiva memoria illustrativa depositata in via telematica dalla ricorrente in data 13/09/2021 veniva eccepito ad integrazione il fatto che dall’analisi dei documenti analogici prodotti da controparte, emergevano molteplici vizi idonei a rendere le notifiche de quo inesistenti, o quantomeno nulle.

L’art. 27 del D.L. n. 137 del 28/10/2020 convertito con modificazioni nella legge 18/10/2020 n. 176 come modificato dall’art. 6 del d.l. 01/04/2021 n. 44 per la proroga dello stato di emergenza fino al 31 luglio 2021 ed ancora in forza del d.l. n. 105 del 23/07/2021 per la proroga dello stato di emergenza fino al 31 dicembre 2021 dispone al secondo comma che “2. In alternativa alla discussione con collegamento da remoto, le controversie fissate per la trattazione in udienza pubblica, passano in decisione sulla base degli atti, salvo che almeno una delle parti non insista per la discussione, con apposita istanza da notificare alle altre parti costituite e da depositare almeno due giorni liberi anteriori alla data fissata per la trattazione.

I difensori sono comunque considerati presenti a tutti gli effetti”. La controversia quindi passa in decisione sulla base degli atti non risultando depositata alcuna istanza per la conferma della discussione pubblica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato e deve essere accolto.

Il collegio osserva infatti che nessuna mail PEC era stata mai ricevuta dalla ricorrente; – sulle “ricevute di avvenuta consegna”, erano presenti dei numeri di identificativo del messaggio (o [email protected], EA58636.0024F86A.F8AA0076.95509CD8.posta-certificata@legalmail. it e [email protected]) in alcun modo collegati e/o riferibili alle mail PEC di inoltro; -gli indirizzi di posta elettronica certificata “[email protected]” e “[email protected]”, dai quali il Concessionario asseriva di aver inviato le cartelle di pagamento, non firmate digitalmente, NON ESISTEVANO nella banca dati INI-PEC “Indice

Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata” istituito dal Ministero dello Sviluppo Economico. Altrettanto, tali indirizzi, non esistevano nella pagina ufficiale del sito internet di Agenzia Entrate Riscossione nella pagina della CCIAA ed in quella di INDICEPA, Indice delle Pubbliche Amministrazioni. Infatti l’AdER ha due appositi indirizzi PEC per quanto riguarda le notifiche: 1. [email protected] nel Registro INI-PEC; [email protected] nel Registro PP.AA. Ne consegue che solo da tali indirizzi poteva provenire l’Intimazione di Pagamento n. (…) “Atto dell’Esecuzione Forzata esattoriale”. Diversamente la notifica effettuata da indirizzi quali: notifica.acc.lazio@pec. agenziariscossione.gov.it o [email protected] non può perfezionarsi non essendo presente in alcuno dei suddetti registri, con la conseguente inesistenza dell’atto. Ebbene nella fattispecie in esame per le notifiche non sono stati utilizzati dall’Agenzia delle entrate-Riscossione gli indirizzi di posta elettronica certificata risultanti dai pubblici registri consultabili dai contribuenti 1. [email protected] nel Registro INI-PEC; 2. [email protected] nel Registro PP.AA. ma altri indirizzi non presenti in violazione della normativa vigente nella materia. Il collegio osserva infatti che la notificazione con modalità telematica deve essere eseguita ricorrendo ad indirizzi PEC risultanti dai pubblici elenchi, con espressa indicazione dell’elenco da cui gli stessi indirizzi sono stati estratti, in virtù del combinato disposto dell’articolo 3 bis, legge n. 53/1994 e articolo 16-ter del d.l. 179/12, convertito dalla legge n. 221/12. Queste sono le disposizioni a cui fa riferimento la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 17346/19, depositata il 27 giugno, che rigetta un ricorso avverso una sentenza della Corte di Appello di Perugia. In particolare, la vicenda trae origine da un provvedimento del Giudice di secondo grado che dichiarava l’estinzione del processo a causa della mancata notifica della citazione nei confronti dell’Avvocatura di Stato da parte del ricorrente. Avverso tale provvedimento, è stato proposto ricorso in Cassazione, lamentando la violazione dell’articolo 291 c.p.c. e del R.D. n. 1611 del 1910, art. 11, relativo alle modalità di citazione delle Amministrazioni pubbliche in giudizio. Prescindendo dalla decisione della Cassazione in merito al predetto ricorso, è bene far luce sulla disciplina della notifica a mezzo PEC. Innanzi tutto, occorre fare riferimento alla legge 53/1994, il cui articolo 3 bis, comma 1, dispone testualmente “la notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi”, con l’obbligo per il notificante di dichiarare nella relazione di notificazione “l’indicazione dell’elenco da cui il predetto indirizzo è stato estratto”. Quindi, sia il mittente che il destinatario della PEC devono risultare nei pubblici registri, pena la nullità della notifica in virtù del disposto dell’articolo 11 della stessa legge. E’ l’art. 16-ter del D.L. 179/2012 convertito dalla legge n. 221/12 che invece individua i suddetti pubblici elenchi, per esempio, tra quelli oggi attivi, si menzionano l’INI-PEC, che raccoglie tutti gli indirizzi di PEC delle Imprese e dei Professionisti presenti sul territorio italiano; l’Elenco o Registro PA (da non confondere con l’Indice PA che non è più considerato un pubblico registro), contenente gli indirizzi delle Amministrazioni pubbliche; il Registro delle Imprese, infine RegInDE (Registro generale degli Indirizzi Elettronici). Per l’effetto di quanto sopra esposto l’atto impugnato deve essere annullato per illegittimità.

P.Q.M.

La Commissione accoglie il ricorso. Spese compensate. Così deciso in Così deciso in Roma il 6 ottobre 2021.

Depositata in Segreteria il 29 ottobre 2021