Corte di Cassazione – Ordinanza n. 15002 del 28 maggio 2021

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Catania accoglieva la domanda proposta da (OMISSIS) e dichiarava risolto il contratto preliminare stipulato il 9 ottobre 2003 tra (OMISSIS) e (OMISSIS), quali promittenti venditori, e (OMISSIS), quale promissario acquirente, per inadempimento dei promittenti venditori; condannava gli eredi di (OMISSIS) e gli eredi di (OMISSIS), ciascuno in proporzione alla propria quota ereditaria, al pagamento in favore della controparte della somma di Euro 72.303,96 corrispondente al doppio della caparra confirmatoria versata dal (OMISSIS).

2. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), eredi di (OMISSIS), e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), eredi di (OMISSIS) – che nel costituirsi in giudizio avevano proposto domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto con conseguente richiesta di riconoscimento del diritto al trattenimento della caparra proponevano appello avverso la suddetta sentenza.

3. La Corte d’Appello di Catania, in accoglimento dell’impugnazione rigettava le domande formulate da (OMISSIS) e in accoglimento delle domande riconvenzionali formulate dai convenuti dichiarava la risoluzione del contratto preliminare del 9 ottobre 2003 per il legittimo recesso della parte promittente venditrice determinato dall’inadempimento della parte promissaria acquirente, (OMISSIS) e il diritto della parte promittente venditrice alla ritenzione della caparra confirmatoria ricevuta.

2. La Corte d’Appello rigettava preliminarmente le eccezioni pregiudiziali circa l’avvenuta estinzione del giudizio per mancata riassunzione in quanto la notificazione dell’atto unitamente al decreto di fissazione dell’udienza era stata effettuata sia agli eredi di (OMISSIS) che a quelli di (OMISSIS). Anche l’eccezione di tardivita’ della notifica dell’appello doveva ritenersi superata stante la tempestivita’ di quello proposto dai litisconsorti necessari.

Nel merito la Corte d’Appello riteneva che il contratto preliminare stipulato tra le parti, alla stregua dei criteri interpretativi di cui agli articoli da 1362 a 1365 c.c., non aveva ad oggetto un terreno edificabile. Nel contratto preliminare, infatti, i promittenti venditori si impegnavano a vendere un lotto di terreno, senza ulteriore specificazione, anzi dal contratto risultava che le parti concordemente accettavano la soppressione delle parole “non agricolo”. Tale eliminazione, a prescindere dall’iniziativa dell’una o dell’altra parte, era stata accettata da entrambe ed evidenziava in maniera incontrovertibile che l’oggetto del contratto era rappresentato da un terreno, senza ulteriore specificazione di una determinata qualita’.

Doveva, dunque, affermarsi che l’edificabilita’ del lotto non faceva parte della qualita’ del bene oggetto del contratto promesso dalla parte venditrice. Tale conclusione era confermata anche in applicazione del principio di interpretazione del contratto secondo buona fede come canone di reciproca lealta’ di condotta tra le parti. La circostanza che l’edificabilita’ del terreno non costituisse una qualita’ promessa della parte venditrice emergeva dal fatto che il terreno in questione, pur eventualmente ricadente in zona c4 e non anche in zona vincolata, era comunque inedificabile per la sua conformazione planimetrica. Cio’ era emerso dalla consulenza tecnica e, pertanto, il terreno per le sue dimensioni, a prescindere dal mutamento della destinazione urbanistica, era in concreto inedificabile e di conseguenza era contrario al principio di buona fede invocare l’inadempimento della parte promittente venditrice per non aver dichiarato l’esistenza di un vincolo di inedificabilita’ a seguito dell’approvazione di una variante al programma di fabbricazione vigente, nonostante l’espressa volonta’ di acquistare un terreno, di fatto inedificabile, a prescindere dal vincolo imposto.

Secondo la Corte d’Appello il disinteresse del promissario acquirente all’edificabilita’ o meno del lotto era dimostrato anche dal fatto di aver ritenuto sufficiente l’allegazione di un certificato di destinazione urbanistica rilasciato circa 10 mesi prima della stipulazione del contratto. Peraltro, dal contenuto del contratto non poteva evincersi l’esistenza di un presupposto tenuto presente da entrambi i contraenti nella formazione del loro consenso e condizionante l’esistenza e il permanere del vincolo negoziale, anzi la cancellazione delle parole non agricolo rendeva evidente l’insussistenza di tale presupposto.

Il (OMISSIS) non aveva, peraltro, fornito la prova dell’esternazione alla controparte dello scopo di voler comprare il terreno per edificare. L’allegazione di un certificato di destinazione urbanistica che non riproduceva la reale qualita’ del terreno non poteva da sola essere espressione di una garanzia del venditore relativa alle destinazione edificatoria del terreno oggetto del preliminare. Al contrario da quanto era emerso doveva dedursi che i promittenti venditori si erano impegnati a vendere un terreno senza ulteriore qualita’ e il (OMISSIS) si era impegnato ad acquistare il lotto in questione a prescindere dalla sua edificabilita’, risultando dunque irrilevante ai fini della decisione la consapevolezza o meno dei venditori del mutamento della destinazione urbanistica del bene avvenuta gia’ prima della stipulazione dell’atto.

In ogni caso il vincolo imposto all’immobile con deliberazione del consiglio comunale n. 33 del 10 aprile 2003 non poteva qualificarsi come onere non apparente gravante sull’immobile, secondo la previsione dell’articolo 1479 c.c. e non era conseguentemente invocabile dal compratore come fonte di responsabilita’ della controparte che non l’aveva dichiarato nel contratto. Con la suddetta Delibera l’area in questione era stata classificata come parco naturalistico e dunque inedificabile in applicazione delle misure di salvaguardia. La deliberazione di adozione del piano regolatore e del programma di fabbricazione, atto collegiale esprimente la volonta’ definitiva dell’ente pubblico, conferiva agli strumenti edilizi un’efficacia immediata sia pur limitata.

In conseguenza dell’adozione degli stessi secondo la Corte d’appello divenivano operanti le cosiddette misure di salvaguardia le quali conferivano ai sindaci dei Comuni il potere-dovere di sospendere ogni decisione sulle domande di concessione o autorizzazione edilizia in contrasto con il programma adottato. L’affissione nell’albo pretorio delle deliberazioni comunali effettuata nei modi e termini di legge costituiva una forma di pubblicita’ legale di per se’ esaustiva ai fini della presunzione assoluta di piena conoscenza erga omnes allorquando tali atti non fossero direttamente riferibili a soggetti determinati. Peraltro, la mancanza di una garanzia sulla destinazione edificatoria del suolo e l’allegazione di un certificato risalente nel tempo imponevano al compratore di indagare sulla qualita’ del suolo. Infine, era possibile rilevare di ufficio la non apparenza del vizio anche senza allegazione della parte risultando la stessa dagli atti.

3. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi.

4. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), eredi di (OMISSIS), e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), eredi di (OMISSIS), si sono costituiti con controricorso.

5. Entrambe le parti, con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, hanno insistito nelle rispettive richieste.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli articoli 1362 e 1363 c.c., in materia di interpretazione dei contratti e dei principi regolatori dei criteri di ermeneutica contrattuale. Violazione dei criteri di interpretazione soggettiva del contratto diretti all’accertamento della comune volonta’ delle parti. Violazione del criterio di interpretazione secondo il tenore letterale del contratto.

La censura ha ad oggetto la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale e, in particolare, di quello che richiede al giudice di compiere una valutazione complessiva di tutte il contenuto dell’accordo in ogni sua parte. Anche solo in base alla complessiva disamina letterale del contratto preliminare del 9 ottobre 2003 emergerebbe che aveva ad oggetto un lotto di terreno dalle specifiche caratteristiche edificatorie. In tal senso secondo il ricorrente deporrebbe anche la circostanza fondamentale della allegazione al preliminare del certificato di destinazione urbanistica del terreno contenente l’espressa descrizione delle specifiche caratteristiche e qualita’ edificatorie del fondo oggetto di contestazione, documento che era stato sottoscritto da tutti i contraenti, cosi’ da costituire parte integrante e sostanziale del contratto preliminare.

Anche l’entita’ del prezzo convenuto in Euro 72.303,96 era in linea con il valore di mercato di un terreno edificabile anche tenuto conto dell’estensione del lotto di appena 2464 mq.

Pertanto, l’eliminazione delle parole “non agricolo” dal contratto, alla luce delle caratteristiche oggettive promesse dai venditori in ordine al bene oggetto del preliminare, dimostrerebbe che la suddetta indicazione era superflua.

Nel contratto preliminare,di cui faceva parte integrante anche il certificato di destinazione urbanistica del terreno, era fin dall’inizio esattamente specificata ed indicata in maniera chiara ed incontrovertibile la sua edificabilita’. In forza di una corretta applicazione dei criteri di interpretazione soggettiva del contratto la Corte d’Appello di Catania avrebbe dovuto condividere quanto ritenuto dal Tribunale a fondamento della propria decisione, rilevando l’inadempimento dei promittenti venditori ed il diritto del (OMISSIS) di ottenere il recesso del preliminare e il pagamento del doppio della caparra confirmatoria a causa del sopravvenuto accertamento dell’inesistenza della qualita’ edificatoria del fondo a causa del vincolo posto dagli organi competenti in data antecedente la stipula del contratto.

2. Il secondo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’articolo 1366 c.c., in materia di interpretazione dei contratti – Violazione del criterio di interpretazione oggettiva del contratto secondo il principio di buona fede. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, consapevolezza dei promittenti venditori dell’esistenza del vincolo.

Anche il secondo motivo attiene alla violazione dei canoni di interpretazione del contratto, questa volta con riferimento al principio di buona fede di cui all’articolo 1366 c.c., evidenziato dalla Corte d’Appello ma di fatto erroneamente applicato. Tale canone di interpretazione permea anche la fase di formazione del contratto. Nel caso di specie i promittenti venditori avevano allegato e sottoscritto un certificato di destinazione urbanistica che apparentemente riportava le caratteristiche edificatoria del terreno oggetto di vendita. In atti vi era pero’ specifica prova documentale del fatto che alla data di stipula del preliminare i promittenti venditori avevano piena consapevolezza che la potenzialita’ edificatoria riportata nel certificato di destinazione urbanistica era venuta meno per effetto del vincolo di inedificabilita’ assoluta apposto al terreno con provvedimento del 10 aprile 2003. Infatti, i promittenti venditori avevano proposto ricorso al Tar di Catania contro il diniego a realizzare dei manufatti sul citato terreno in conseguenza dell’intervenuto vincolo di inedificabilita’. In atti vi erano, dunque, specifici riscontri documentali della malafede dei promittenti venditori che nel corso del giudizio avevano negato di essere a conoscenza dell’esistenza del vincolo e che anzi ne avevano addirittura negato l’esistenza.

Secondo il ricorrente la Corte d’Appello si sarebbe soffermata unicamente sulla condotta del promissario acquirente quando avrebbe dovuto valutare la condotta di entrambe le parti anche in relazione al principio contrattuale della buona fede, quale obbligo di lealta’, di solidarieta’, correttezza e collaborazione previsto dalla legge per ogni parte contrattuale.

La malafede dei promittenti venditori avrebbe determinato il (OMISSIS) a fare affidamento su quanto certificato circa la sussistenza delle qualita’ edificatoria del terreno che si obbligava ad acquistare senza procedere ad ulteriori accertamenti al riguardo se non al momento della stipula del definitivo allorquando era emersa la situazione diversa del bene.

Neanche rileverebbe la sostanziale inedificabilita’ del terreno per la sua conformazione come risulterebbe provato proprio dalla condotta dei venditori che avevano tentato di attuare un’iniziativa edificatoria che il Comune aveva negato solo per l’apposizione del vincolo e non per l’obbligo di staccarsi dal confine. La questione della consapevolezza da parte dei promittenti venditori dell’esistenza del vincolo di inedificabilita’ rappresentava un fatto decisivo per il giudizio oggetto di specifica discussione tra le parti.

2.1 Il primo e il secondo motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono in parte inammissibili, in parte infondati.

Nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione sia contestata l’interpretazione attribuita dal giudice di merito al contratto intercorso tra le parti, infatti, le relative censure, per essere esaminabili, non possono risolversi nella mera contrapposizione tra la volonta’ dei contraenti cosi’ come ritenuta dal ricorrente e quella invece accertata dalla sentenza impugnata, ma debbono essere proposte o sotto il profilo della mancata osservanza, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, delle norme che fissano i criteri ermeneutici di cui agli articoli 1362 ss. c.c. ovvero, a norma dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, nel testo in vigore ratione temporis, del vizio di motivazione consistito nell’omesso esame di un fatto decisivo, a condizione, pero’, che, in ossequio al principio dell’onere di specificita’ del motivo, tali censure siano accompagnate dalla trascrizione, nel corpo del ricorso, almeno nella stesura che ne consenta la piena comprensione, delle clausole asseritamente individuative dell’effettiva volonta’ delle parti, al fine di consentire alla Corte di cassazione di valutarne la fondatezza senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte: cio’ che, nel caso di specie, non e’ accaduto. I ricorrenti, infatti, non hanno provveduto alla trascrizione del contenuto del contratto nella misura minima necessaria a consentirne la comprensione. L’interpretazione di un atto negoziale, del resto, e’ un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di legittimita’, salvo che, come accennato, nelle ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, alla stregua del c.d. “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione attualmente vigente, ovvero, ancora, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dagli articoli 1362 c.c. e segg. (Cass. n. 14355 del 2016, in motiv.). Il sindacato di legittimita’ puo’ avere, quindi, ad oggetto solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (Cass. n. 23701 del 2016). Pertanto, al fine di riscontrare l’esistenza dei denunciati errori di diritto o vizi di ragionamento, non basta che il ricorrente faccia, com’e’ accaduto nel caso di specie, un astratto richiamo alle regole di cui agli articoli 1362 c.c. e segg., occorrendo, invece, che specifichi, per un verso, i canoni in concreto inosservati e, per altro verso, il punto e il modo in cui il giudice di merito si sia da essi discostato (Cass. n. 7472 del 2011; piu’ di recente, Cass. n. 27136 del 2017). Ne consegue l’inammissibilita’ del motivo di ricorso che, come quelli in esame, pur denunciando la violazione delle norme ermeneutiche o il vizio di motivazione, si risolva, in realta’, nella mera proposta di una interpretazione diversa rispetto a quella adottata dal giudice di merito (Cass. n. 24539 del 2009), cosi’ come e’ inammissibile ogni critica della ricostruzione della volonta’ negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati (Cass. n. 2465 del 2015, in motiv.). In effetti, per sottrarsi al sindacato di legittimita’ sotto i profili di censura dell’ermeneutica contrattuale, quella data dal giudice al contratto non dev’essere l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o piu’ interpretazioni (plausibili), non e’ consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimita’ del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 16254 del 2012; conf., piu’ di recente, Cass. 27136 del 2017).

Nella specie, la Corte d’Appello ha affermato che la promessa di vendita stipulata tra le parti non aveva ad oggetto un terreno edificabile, evidenziando che nell’ambito della trattativa per la stipula del contratto le parti si erano accordate per la cancellazione dal testo dell’espressione “non agricolo”. Tale circostanza, non contestata, evidenzia che, nell’ambito dell’accordo negoziale, l’aspetto dell’edificabilita’ del terreno era stato esplicitamente considerato, tanto da determinare l’esigenza di precisare che il terreno era promesso in vendita a prescindere dalla sua edificabilita’.

D’altra parte, il contenuto del contratto non e’ riportato e il ricorrente non indica nessun’altro elemento, non valutato dalla Corte d’Appello, da cui ricavare che il bene promesso in vendita fosse un terreno con la specifica qualita’ della sua edificabilita’. L’allegazione del certificato di destinazione urbanistica, oltre ad essere anch’essa considerata nella motivazione della Corte d’Appello, rientra tra le attivita’ ordinarie nell’ambito della stipula dei contratti preliminari di compravendita di beni immobili e il fatto che il suddetto certificato non fosse aggiornato non e’ sufficiente a supportare una diversa interpretazione della volonta’ negoziale di segno contrario a quella esplicitata nel testo dai contraenti.

In conclusione, deve ribadirsi che il sindacato di legittimita’ puo’ avere ad oggetto non gia’ la ricostruzione della volonta’ delle parti bensi’ solamente la individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto. Nella specie nessun canone di interpretazione negoziale risulta violato, compreso quello della buona fede, posto che, come si e’ detto, la cancellazione della dicitura “non agricolo” e’ segno di un comportamento delle parti che hanno ritenuto di escludere l’edificabilita’ del terreno dal vincolo contrattuale.

Una volta ricostruita la volonta’ negoziale rispetto all’oggetto del contratto perdono di consistenza tutte le restanti censure attinenti alla edificabilita’ in concreto del suolo e alla consapevolezza dei promittenti venditori del cambio di destinazione del terreno.

3. Il terzo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli articoli 1373, 1385, 1453, 1498, 1490 e 1497 c.c., in materia di recesso unilaterale e caparra confirmatoria, vizi della cosa. Violazione degli articoli 99, 112, 342 c.p.c., in merito alla corrispondenza tra chiesto e pronunciato, e alla specifica proposizione dei motivi di appello e alla rilevabilita’ d’ufficio dell’eccezioni.

Il ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimita’ che ha avuto modo di chiarire che il promissario acquirente non puo’ avvalersi della disciplina relativa alla garanzia dei vizi della cosa venduta o di quella di cui all’articolo 1497 c.c., relativa alla garanzia per mancanza di qualita’ della cosa venduta le quali presuppongono la conclusione del contratto definitivo e sono estranee al contratto preliminare che ha ad oggetto un facere e non un dare.

Sarebbe dunque illogica l’affermazione secondo la quale il vincolo di inedificabilita’ era assistito da una presunzione legale di conoscenza erga omnes e, dunque, privo del requisito normativo della non apparenza.

Il ricorrente evidenzia che l’apposizione di un vincolo assoluto di inedificabilita’ sui singoli terreni ricompresi in una zona deve essere qualificato come un atto direttamente riferibile a soggetti determinati dunque esclusi dalla presunzione di conoscenza. Ma in ogni caso, anche a prescindere da tale considerazione, la questione dell’apparenza del vizio non era mai stata introdotta in giudizio in primo grado e neppure in appello tanto che la Corte aveva ritenuto necessario motivare sulla rilevabilita’ d’ufficio. Ne consegue che la Corte avrebbe erroneamente qualificato la domanda del (OMISSIS) come azione di garanzia ex articolo 1489 c.c., subordinando l’azione all’apparenza del vizio mentre il (OMISSIS) aveva agito unicamente per dichiarare legittimo il recesso dall’impegno preliminare di vendita per inadempimento del venditore, non potendo questi trasferire un terreno con le caratteristiche edificatoria promesse. Secondo il ricorrente dunque vi sarebbe un duplice errore sia circa la rilevanza dell’apparenza del vizio sia sulla sua rilevabilita’ d’ufficio.

3.1 Il terzo motivo e’ infondato.

La Corte d’Appello ha individuato l’oggetto del contratto per stabilire se vi fosse stato un inadempimento da parte dei promittenti venditori che potesse giustificare il recesso del (OMISSIS) e la restituzione del doppio della caparra o se l’inadempimento dovesse essere a lui attribuito con diritto di (OMISSIS) e (OMISSIS) a trattenere la caparra. Come si e’ detto con riferimento ai primi due motivi, la Corte d’Appello ha ritenuto che l’edificabilita’ del terreno fosse stata volutamente esclusa dall’oggetto del contratto.

Peraltro, la Corte d’Appello ha correttamente richiamato l’orientamento consolidato di questa Corte secondo il quale “i vincoli paesaggistici, inseriti nelle previsioni del piano regolatore generale, una volta approvati e pubblicati nelle forme previste hanno valore di prescrizione di ordine generale a contenuto normativo con efficacia “erga omnes”, come tale assistita da una presunzione legale di conoscenza assoluta da parte dei destinatari, sicche’ i vincoli in tal modo imposti, a differenza di quelli inseriti con specifici provvedimenti amministrativi a carattere particolare, non possono qualificarsi come oneri non apparenti gravanti sull’immobile, secondo l’articolo 1489 c.c. e non sono, conseguentemente, invoca bili dal compratore come fonte di responsabilita’ del venditore, che non li abbia eventualmente dichiarati nel contratto” (Sez. 2, Sent. n. 14289 del 2018; Sez. 2, Sent. n. 2737 del 2012).

Da un lato, quindi, il vincolo di inedificabilita’ costituiva un “onere apparente”, in quanto i limiti posti dall’amministrazione comunale non erano contenuti in singoli atti intercorsi fra il Comune e i proprietari dei terreni, ma erano ricavabili dai piani urbanistici e, pertanto, conoscibili a tutti e, dall’altro, alla luce dell’interpretazione dell’intero contratto condotta dalla Corte d’Appello secondo i criteri sopra indicati, doveva escludersi l’affidamento del promittente acquirente circa l’edificabilita’ del terreno dato che si era deciso di escludere la dicitura “non agricolo” dal contratto.

Deve ribadirsi pertanto che nella vendita di cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi, la conoscibilita’ del vincolo urbanistico gravante sulla cosa, idonea ad escludere la responsabilita’ del venditore ex articolo 1489 c.c., deve essere valutata in concreto, alla luce della natura del vincolo medesimo e della possibilita’ per l’acquirente di avvertire la necessita’ di compiere una verifica e che deve escludersi la possibilita’ per il promissario acquirente di richiedere la risoluzione del contratto quale conseguenza automatica della presenza di un vincolo sul bene dovendo verificarsi i presupposti della risoluzione ai sensi dell’articolo 1489 c.c..

4. Il ricorso e’ rigettato.

5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 5200 di cui 200 per esborsi;

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.