Corte di Cassazione – Ordinanza n. 12454 del 21 maggio 2018

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2104/2013 R.G. proposto da
(OMISSIS) S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Campobasso n. 248/12 depositata il 24 settembre 2012.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 ottobre 2017 dal Consigliere Guido Mercolino.

FATTI DI CAUSA

1. La (OMISSIS) S.p.a. in amministrazione straordinaria, appaltatrice del primo lotto dei lavori di irrigazione delle Piane Alte di (OMISSIS) con le acque del fiume (OMISSIS), convenne in giudizio il (OMISSIS) , per sentir dichiarare la nullità a) di uno schema di sottomissione sottoscritto il 18 novembre 1998, b) del contratto per notaio (OMISSIS) del (OMISSIS), avente ad oggetto l’esecuzione di opere complementari ed aggiuntive previste da una perizia di variante, e c) di ogni atto dipendente e conseguente agli stessi, con la condanna del convenuto al risarcimento dei danni cagionati dall’occultamento doloso o colposo della causa di nullità.
Premesso che l’esecuzione dei lavori, ad essa affidati con atto per notaio (OMISSIS) del (OMISSIS), aveva subito numerose sospensioni e proroghe, da ultimo ai fini della predisposizione di una perizia di variante, a seguito della quale il committente le aveva fatto sottoscrivere l’atto di sottomissione, l’attrice espose che l’affidamento di tali lavori si poneva in contrasto con gli artt. 24 e 25 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, come modificati dagli artt. 8-bis e 8-ter del d.l. 3 aprile 1995, n. 101 e dall’art. 9 della legge 18 novembre 1998, n. 415.
Si costituì il Consorzio, ed eccepì in via pregiudiziale il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, chiedendo nel merito il rigetto della domanda; sostenne infatti l’inapplicabilità dell’art. 25 della legge n. 109 del 1994, rilevando inoltre che l’attrice non aveva contestato le varianti ordinate; aggiunse di aver disposto la risoluzione del contratto per colpa dell’impresa, la quale aveva abbandonato il cantiere, e ne chiese pertanto l’accertamento, in via riconvenzionale, con la condanna al risarcimento dei danni.
1.1. Il Tribunale di Larino, dopo aver rigettato, con sentenza non definitiva del 31 marzo 2003, l’eccezione di difetto di giurisdizione, con sentenza definitiva del 27 settembre 2006 rigettò le domande proposte dall’attrice ed accolse quella riconvenzionale proposta dal (OMISSIS), dichiarando la risoluzione del contratto per inadempimento della (OMISSIS) e condannandola al risarcimento dei danni, che liquidò in Euro 497.384,00, oltre interessi sulla somma annualmente rivalutata.
2. L’impugnazione proposta dalla (OMISSIS) è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Campobasso con sentenza del 24 settembre 2012.
Premesso che, ai sensi dell’art. 232 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, recante il regolamento di attuazione della legge n. 109 del 1994, la disciplina introdotta da quest’ultima è applicabile ai rapporti in corso di esecuzione al momento di entrata in vigore del regolamento, limitatamente alle disposizioni che disciplinano l’organizzazione ed il funzionamento della stazione appaltante ed alle norme del regolamento diverse da quelle riguardanti il modo o il contenuto delle obbligazioni del contratto e le modalità di svolgimento delle procedure di gara per l’indicazione di lavori e servizi, la Corte ha rilevato che il contratto di appalto e l’atto di sottomissione, stipulati rispettivamente il 6 maggio 1992 ed il 18 novembre 1998, non erano soggetti alla disciplina dettata dall’art. 25. Ha ritenuto inoltre che la sottoscrizione dell’atto di sottomissione da parte dell’attrice comportasse l’irrilevanza delle eccezioni dalla stessa sollevate in relazione al valore della variante, alla difficile situazione economica in cui essa versava ed alle politiche protezionistiche perseguite attraverso l’affidamento dei lavori. Precisato quindi che la mancata esecuzione dei lavori aggiuntivi e complementari costituiva grave inadempimento dell’atto di sottomissione, ha confermato la liquidazione del danno risultante dalla sentenza di primo grado, rilevando che la stessa era stata compiuta sulla base di valutazioni contabili fondate sul riaffidamento dei lavori ad altra impresa, fatta eccezione per alcune voci di danno, derivanti da omessa manutenzione dell’opera da parte dell’attrice e dalla rinuncia a lavorazioni minori, non eseguite dall’attrice e non riaffidate.
3. Avverso la predetta sentenza la (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. (OMISSIS) ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, si rileva che la notificazione del controricorso, effettuata il 18 febbraio 2013 presso il domicilio eletto dalla (OMISSIS), è rimasta priva di effetto, essendo risultato inesistente l’indirizzo riportato nel ricorso, a causa dell’errata indicazione del numero civico da parte del difensore della ricorrente; a seguito di un’intesa successivamente intervenuta tra le parti, la predetta notifica è stata peraltro rinnovata in data 6 marzo 2013, a mezzo di posta elettronica certificata, all’indirizzo comunicato dal medesimo difensore della (OMISSIS).
Pur risultando irrituale, in quanto effettuata prima dell’emanazione delle norme regolamentari attuative del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44 (contenenti le specifiche tecniche per le notificazioni da farsi per via telematica dagli avvocati), ovverosia del provvedimento del 16 aprile 2014 della Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 aprile 2014 ed entrato in vigore il 15 maggio 2014), con cui è stato consentito il ricorso alle predette modalità, la nuova notifica non può essere dichiarata nulla, conformemente alla regola generale sancita dall’art. 156, terzo comma, cod. proc. civ., essendo pacifico che attraverso la consegna in via telematica il destinatario è venuto a conoscenza del controricorso, con il conseguente raggiungimento dello scopo legale dell’atto. Quanto poi al rispetto del termine di cui all’art. 370, primo comma, cod. proc. civ., avuto riguardo alla brevità del periodo di tempo trascorso tra il primo e il secondo tentativo, nonché ai contatti intercorsi tra le parti, trova applicazione il principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento all’ipotesi in cui la notificazione di un atto processuale, da effettuare entro un termine perentorio, non si perfezioni per circostanze non imputabili al richiedente, secondo cui la ripresa del procedimento notificatorio entro un termine ragionevolmente contenuto (tenuti presenti i tempi necessari, secondo la comune diligenza, per conoscere l’esito negativo della notificazione ed assumere le informazioni del caso) consente di ricollegare gli effetti della notifica alla data iniziale di attivazione del procedimento, in tal modo evitando la dichiarazione di decadenza (cfr. Cass., Sez. Un., 24/07/2009, n. 17352; Cass., Sez. lav., 11/09/2013, n. 20380; 13/10/2010, n. 21154).
2. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 13 del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 e dell’art. 209 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, osservando che, nel confermare la condanna al risarcimento dei danni, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’improcedibilità della relativa domanda, derivante dall’assoggettamento di essa ricorrente ad amministrazione straordinaria, disposta con d.m. 26 marzo 1996, e dell’avvenuto deposito dello stato passivo, effettuato in data 21 ottobre 1998. L’apertura di detta procedura, imponendo la sottoposizione a concorso di ogni credito vantato nei suoi confronti, comportava infatti l’improponibilità o l’improseguibilità in sede ordinaria di azioni di condanna o di accertamento suscettibili d’incidere sul suo patrimonio, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, con la conseguente esclusione della competenza del Tribunale di Larino e la devoluzione della controversia a quella del Tribunale di Catania, che aveva dichiarato lo stato d’insolvenza.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Tale inammissibilità, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del controricorrente, non è peraltro ricollegabile alla mancata impugnazione della sentenza non definitiva emessa in primo grado, con cui fu rigettata esclusivamente l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal convenuto in ordine alla domanda proposta dall’attrice, bensì alla pronuncia sul merito della domanda riconvenzionale, il cui accoglimento, presupponendo logicamente e giuridicamente l’affermazione della proponibilità della stessa, non censurata in appello, ha comportato la formazione di un giudicato implicito, che preclude il riesame della medesima questione in sede di legittimità.
E’ pur vero, infatti, che, ai sensi degli artt. 18 e 53 del d.lgs. n. 270 del 1999, la sottoposizione dell’impresa all’amministrazione straordinaria determina l’applicabilità della disciplina dettata dagli artt. 93 e ss. della legge fall., nonché l’operatività del principio, sancito dall’art. 52, secondo comma, secondo cui tutti i crediti vantati nei confronti dell’imprenditore insolvente devono essere fatti valere ed accertati secondo le norme che ne disciplinano il concorso, con la conseguenza che il creditore non può agire giudizialmente prima della definizione del procedimento di formazione e verifica del passivo davanti agli organi della procedura, ma deve azionare in quella sede il suo credito, poi tutelabile davanti al giudice mediante l’opposizione allo stato passivo (cfr. Cass., Sez. lav., 19/06/2017, n. 15066; 11/10/2012, n. 17327; Cass., Sez. I, 15/05/2001, n. 6659). L’inosservanza delle predette disposizioni, aventi carattere inderogabile in quanto dettate a tutela della par condicio creditorum, pur traducendosi in un vizio procedimentale rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, va tuttavia coordinata con il sistema delle impugnazioni e la disciplina del giudicato, in virtù dei quali l’omessa dichiarazione d’improcedibilità o improponibilità della domanda, a seconda che sia stata avanzata prima dell’inizio della procedura con-corsuale o nel corso della stessa, ove non dedotta come motivo di gravame, resta superata dall’intervenuta formazione del giudicato, e non può quindi essere fatta ulteriormente valere nelle successive fasi del giudizio (cfr. Cass., Sez. Ili, 21/01/2014, n. 1115; Cass., Sez. I, 19/04/2002, n. 5725).
3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 25 della legge n. 109 del 1994 e dell’art. 344 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, sostenendo che, nel dichiarare la risoluzione del contratto per inadempimento dell’atto di sottomissione, la sentenza impugnata ne ha erroneamente escluso la nullità, non avendo tenuto conto della natura e dell’entità dei lavori dallo stesso previsti. Trattandosi di variante in corso d’opera eccedente un quinto dell’importo originario dei lavori, essa ricorrente non era infatti tenuta a realizzarla, dovendo il committente procedere all’indizione di una nuova gara, ai sensi delle predette disposizioni. La decisione di non eseguire i lavori trovava peraltro giustificazione nell’assoggettamento di essa ricorrente ad amministrazione straordinaria e nell’importo delle opere, la cui realizzazione avrebbe inficiato il piano di risanamento dell’azienda.
3.1. Non merita consenso l’eccezione sollevata dalla difesa di (OMISSIS), secondo cui la predetta censura risulta preclusa dalla mancata impugnazione della pronuncia di risoluzione, la quale, postulando la validità del contratto, comporta la formazione di un giudicato implicito al riguardo: come precisato da questa Corte negli stessi precedenti invocati dal controricorrente, la predetta preclusione presuppone che, nell’impugnare la pronuncia di risoluzione adottata in primo grado, l’appellante non abbia proposto alcuna censura riguardante la validità del contratto (cfr. Cass., Sez. I, 14/ 10/2013, n. 23235; Cass., Sez. III, 20/08/2009, n. 18540; Cass., Sez. II, 27/04/2006, n. 9642), mentre nella specie quest’ultima ha costituito oggetto di uno specifico motivo di gravame, disatteso dalla sentenza impugnata e riproposto con il ricorso per cassazione, il cui eventuale accoglimento comporterebbe, ai sensi dell’art. 336 cod. proc. civ., l’automatica caducazione della pronuncia di risoluzione, ancorché non impugnata in sede di legittimità.
3.2. Il motivo è peraltro infondato.
Non merita infatti censura l’affermazione della Corte distrettuale, secondo cui la sottoscrizione dell’atto di sottomissione, avente ad oggetto lavori aggiuntivi e complementari, rende irrilevante qualsiasi considerazione riguardante l’incidenza della variante sull’importo originario del contratto, la situazione di difficoltà economica all’epoca attraversata dall’appaltatrice e l’eventuale violazione dei principi comunitari di tutela della concorrenza. In tema di appalto pubblico, questa Corte ha affermato che, ove l’Amministrazione committente richieda, in variante dell’opera commissionata, lavori diversi da quelli previsti dal contratto, per un importo superiore ad un quinto rispetto a quello originariamente stabilito, tale richiesta non costituisce espressione di un potere dell’Amministrazione cui corrisponda un obbligo dell’appaltatore, il quale pertanto, a fronte della richiesta della committente, può scegliere se recedere dal contratto oppure proseguire i lavori, dichiarando per iscritto, se del caso, anche a quali condizioni (cfr. Cass., Sez. I, 17/08/2016, n. 17146): la scelta di quest’ultima soluzione, seguita dal raggiungimento di un accordo in ordine alle condizioni per l’esecuzione della variante, comportando la rinuncia ad esercitare il diritto di recesso e l’assunzione dell’impegno di realizzare le ulteriori opere richieste, esclude che l’appaltatore possa rifiutarsi di proseguire i lavori, adducendo a pretesto il superamento del c.d. quinto d’obbligo. E’ pur vero che, come ripetutamente precisato dalla giurisprudenza di legittimità, l’accordo eventualmente raggiunto tra le parti in ordine all’esecuzione della variante, mediante la sottoscrizione di un atto di sottomissione o un atto aggiuntivo, è equiparabile a quello riguardante l’affidamento di lavori extracontrattuali in senso stretto, configurandosi quindi come un contratto nuovo ed autonomo, modificativo di quello precedente (cfr. Cass., Sez. I, 1/08/2013, n. 18438; 14/06/2000, n. 8094; 30/03/1983, n. 2289). A tal fine, però, non è necessaria l’effettuazione di una nuova procedura di aggiudicazione, essendo la stessa richiesta soltanto per l’ipotesi in cui, avendo l’appaltatore esercitato la facoltà di recedere dal contratto, si debba procedere alla scelta di un altro contraente, cui affidare l’esecuzione degli ulteriori lavori, e non anche per l’ipotesi in cui si raggiunga un accordo tra le parti, in riferimento alla quale l’art. 343 della legge n. 2248 del 1865, applicabile ratione temporìs alla fattispecie in esame, prescrive soltanto la sottoscrizione di un atto di sottomissione o di una appendice al contratto principale, ad iniziativa del direttore dei lavori. La validità di tale atto, così come quella del contratto principale, non può ritenersi in alcun modo inficiata dallo stato d’insolvenza o comunque di difficoltà economica in cui versi eventualmente l’impresa affidataria dei lavori, trovando applicazione anche in materia di appalti pubblici il principio, stabilito dall’art. 1655 cod. civ., secondo cui l’appaltatore assume il compimento dell’opera «con gestione a proprio rischio», e gravando pertanto a suo carico (anche ai fini dell’eventuale esercizio del diritto di recesso) ogni valutazione in ordine alla sufficienza dei mezzi a sua disposizione per l’esecuzione della prestazione.
4. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma il 4/10/2017