Corte di Cassazione – sentenza n. 11051 del 9 maggio 2018

SENTENZA

sul ricorso 15197/2011 proposto da:

(OMISSIS);
– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –

e contro

(OMISSIS) SPA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 30/2010 della COMM. TRIB. REG. di TORINO, depositata il 26/04/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/03/2018 dal Consigliere Dott. LORENZO DELLI PRISCOLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto.

FATTI DI CAUSA

Il contribuente (OMISSIS) ricorreva davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Torino lamentando l’illegittimita’ di due cartelle di pagamento dell’importo l’una di Euro 389,42 e l’altra di Euro 132,93 notificate entrambe in data 4 giugno 2008 – e relative la prima a saldo dei canoni di abbonamento alla televisione per gli anni d’imposta 2003, 2004 e 2005 e la seconda per l’anno d’imposta 2006 – per una serie di vizi formali riguardanti le notifiche, tra cui il fatto che le cartelle di pagamento non fossero state precedute da un avviso bonario, e nel merito per violazione delle norme dell’Unione europea in tema di concorrenza.

La Commissione Tributaria Provinciale di Torino, con sentenza n. 50/17/2009, depositata il 6 aprile 2009, respingeva il ricorso.

Il contribuente proponeva appello e la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, con sentenza n. 30/12/10, lo respingeva.

Avverso tale sentenza il contribuente proponeva ricorso, affidato a tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, la quale si costituiva con controricorso con il quale chiedeva che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque infondato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente (OMISSIS) deduce violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, articoli 6 e 7 (Statuto del contribuente), in relazione all’articolo 24 Cost., nonche’ del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, articolo 25, Decreto Legge 26 gennaio 2005, n. 106, articolo 1, comma 5 ter, lettera a), n. 2, convertito in L. n. 156 del 2005, L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 417, lettera c, in quanto la notifica delle cartelle di pagamento non sarebbe stato preceduto da un avviso bonario.

Il motivo e’ infondato.

Secondo dell’articolo 6, comma 1 (Conoscenza degli atti e semplificazione) della L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contribuente) “L’amministrazione finanziaria deve assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati”; inoltre, secondo il comma 5 dello steso articolo, “Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta”; infine, secondo il seguente articolo 7 della stessa legge (chiarezza e motivazione degli atti), “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, articolo 3, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”.

Deve altresi’ considerarsi che il R.Decreto Legge 21 febbraio 1938, n. 246, prevede all’articolo 1, che “chiunque detenga uno o piu’ apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni e’ obbligato al pagamento del canone di abbonamento” e la Suprema Corte ha chiarito che l’obbligo di pagamento del canone di abbonamento al servizio radiotelevisivo pubblico discende dalla mera detenzione – ancorche’ in zona non coperta dal servizio stesso, per mancanza di idoneo ripetitore – di un apparecchio che si caratterizzi per attitudine o adattabilita’ alla ricezione di qualsiasi emittente radiofonica o televisiva, italiana o straniera, pubblica o privata (Cass. 20 aprile 2016, n. 7942; 13 settembre 1993, n. 9486).

Pertanto, gli articoli 6 e 7, non impongono l’obbligo di un avviso bonario o del contraddittorio prima dell’emissione di qualsiasi cartella di pagamento ma solo per quelle che derivino da una dichiarazione del contribuente e solo nel caso in cui sussistano rilevanti incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione (Cass. 21 novembre 2017, n. 27716), situazione, quest’ultima, che non ricorre nella specie, ove la somma e’ dovuta per il semplice fatto oggettivo del possesso di una televisione, e questa circostanza fattuale e’ necessaria e sufficiente a giustificare il pagamento del canone.

Con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, articolo 7, comma 6, perche’ le cartelle sarebbero state notificate ad un familiare del contribuente e non sarebbe stato esibito l’avviso della seconda raccomandata che va inviata nell’ipotesi di consegna dell’atto a mezzo del servizio postale non effettuata direttamente al destinatario.

Anche tale motivo e’ infondato in quanto la notifica ha comunque raggiunto il suo scopo ex articolo 156 c.p.c., comma 2, ossia quello di far conoscere al contribuente il contenuto delle cartelle oggetto di impugnazione (Cass. 17 ottobre 2017, n. 24450); del resto il contribuente non ha prospettato le ragioni per le quali tale vizio avrebbe comportato una lesione del diritto all’effettivita’ della tutela giurisdizionale ed al giusto processo. Infatti, la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarita’ dell’attivita’ giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione (Cass. 21 novembre 2016, n. 23638). Deve infine evidenziarsi che il principio della sanatoria della notifica per raggiungimento dello scopo vale anche in tema di atti impositivi (Cass. 9 agosto 2017, n. 19795).

Con il terzo motivo d’impugnazione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 7, comma 1, in relazione all’articolo 111 Cost., perche’ il canone (OMISSIS) costituirebbe un aiuto di Stato contrario ai principi dell’Unione europea in tema di concorrenza.

Anche quest’ultimo motivo e’ infondato.

Infatti, secondo questa Corte, l’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, secondo cui sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra gli Stati membri, gli “aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”, non implica l’assoluta incompatibilita’ degli aiuti di Stato con gli interessi ed i valori tutelati dall’ordinamento comunitario, essendo piuttosto inteso a riservare la competenza agli organi comunitari di ogni decisione in merito a tali misure. Dal suo canto, l’articolo 108 del suddetto Trattato prevede che gli aiuti esistenti siano sottoposti ad “esame permanente”, riservandone il giudizio di incompatibilita’ alla Commissione, onde l’aiuto esistente non puo’, prima di una valutazione di incompatibilita’, essere considerato illegittimo. Ne consegue che, nell’ipotesi di imposta destinata alla realizzazione di un aiuto di Stato esistente, qual e’ il canone (OMISSIS) – alla stregua della decisione della Commissione Europea del 20 aprile 2005 n. E 9/2005, conforme alla giurisprudenza comunitaria – non sussiste il diritto del contribuente di agire in giudizio per ottenere il rimborso del canone di abbonamento, o la declaratoria di illegittimita’ dell’aiuto, il quale deve ritenersi, finche’ non ne sia stata rilevata l’incompatibilita’ da parte della Commissione, del tutto legittimo (Cass. 26 marzo 2012, n. 4776).

Il ricorso va dunque rigettato; la disciplina delle spese segue la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 900, oltre a spese prenotate a debito.