Consiglio di Stato – Sentenza n. 6573 del 05 luglio 2023

FATTO e DIRITTO

1.Il Comune di (Omissis) ha interposto appello per chiedere la riforma della sentenza del T.a.r. per il Lazio, n. 7321/2017, pubblicata in data 22 giugno 2017 oggetto del presente giudizio.

1.1. L’impugnata sentenza ha accolto il ricorso proposto dalla società Gl. Costruzioni s.r.l. (in prosieguo ditta Gl.) per ottenere l’annullamento del provvedimento del predetto Comune n. prot. 59683 del 23/12/2013, con il quale è stato annullato, in autotutela, il permesso di costruire n. 43 dell’11/08/2011.

1.2. Il permesso era stato rilasciato:

i) per la demolizione di un fabbricato esistente;
ii) per la successiva realizzazione di un edificio residenziale in un’area relativa a diversi lotti di terreno ed insistente nel Comune di (Omissis) con accesso da Via Dea Bona e da Via dei Gl., ricadente in sottozona B3/4-4-5 (saturazione) e parte in viabilità di P.R.G., nonché oggetto di piano particolareggiato delle zone B del P.R.G. del Comune di (Omissis), Centro urbano (approvato con deliberazione consiliare del 15 aprile 1977 n. 133).
Il T.a.r., sulla scorta delle risultanze di una C.T.U., disposta in un parallelo giudizio civile, ha ritenuto fondate le doglianze prospettate dalla società ricorrente circa la contraddittorietà e la carenza di istruttoria dell’attività poi sfociata nel provvedimento di annullamento in autotutela, atteso che le verifiche condotte, al netto di taluni scostamenti minimali ritenuti sanabili, avevano rilevato il sostanziale rispetto delle altezze e dei distacchi.
Nel costituirsi in giudizio la ditta Gl. ha chiesto la reiezione dell’appello in quanto infondato.
Con la memoria conclusiva depositata in data 16 gennaio 2023 la società ha eccepito l’irricevibilità dell’appello per tardività, in quanto notificato solo in data 25 gennaio 2018, oltre il termine breve di 60 giorni previsto dall’art. 92 c.p.a., essendo intervenuta la notifica della sentenza di primo grado sin dal 27 luglio 2017, presso la segreteria del T.a.r. adito, ove il Comune risultava domiciliato.
La società ha anche rilevato la improcedibilità del gravame per avere il Comune, nelle more, autorizzato una variante non essenziale, con permesso di costruire n. 10 del 17 maggio 2019 e per non avere interdetto il perfezionamento di due successive SCIA, integrando – a suo dire – una tale condotta acquiescenza alla sentenza del T.a.r. oggetto del presente giudizio.
Il Comune di (Omissis) ha depositato memoria di replica in data 25 gennaio 2023 con cui ha controdedotto alla predetta eccezione di tardività, ritenendo nulla la notificazione della sentenza di primo grado in quanto eseguita presso la segreteria del T.a.r. anziché presso il domicilio digitale, come prescritto dalla sopravvenuta disciplina in materia di processo amministrativo telematico.
6.1. Ha poi contestato che il rilascio della variante potesse integrare gli estremi della acquiescenza rispetto alla sentenza di annullamento del T.a.r. che aveva posto nel nulla il provvedimento di autotutela relativo al primo permesso di costruire.

6.2. Ha infine reiterato la richiesta di riunione del presente appello a quello recante il n.r.g. 10645/2021 proposto dalla società Gl. avverso la distinta sentenza del T.a.r. per il Lazio n. 4831 del 26 aprile 2021 (che ha accolto il ricorso proposto da terzi avverso il permesso di costruire in variante n. 10 del 17 maggio 2019 disponendone l’annullamento).

Alla udienza del 16 febbraio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
Preliminarmente dev’essere disattesa la richiesta di riunione del presente procedimento con quello allibrato al n.r.g.10645/2021 in quanto:
a) le due cause hanno ad oggetto distinte sentenze che, a loro volta, hanno pronunciato sulla validità di provvedimenti distinti, sebbene relativi alla medesima vicenda edilizia;
b) per le ragioni che saranno esposte nel prosieguo, il presente giudizio è di pronta soluzione, in relazione alle eccezioni preliminari sollevate dalla appellata ditta Gl..
Quanto all’ordine di esame di tali eccezioni, occorre prendere le mosse da quella relativa alla intempestività dell’appello, involgendo la disamina di un presupposto del processo (ovvero la rituale instaurazione del giudizio) che è questione che precede la verifica circa la sussistenza delle condizioni dell’azione, ivi compresa quella sull’interesse al ricorso (cfr. sul punto Cons. Stato, Ad. plen. n. 5 del 2015)..
9.1 Venendo al merito della predetta eccezione, il collegio è dell’avviso che l’appello sia effettivamente irricevibile.

9.2. La sentenza n. 7321/2017 è stata notificata in copia autentica al Comune di (Omissis) in data 27 luglio 2017 presso la segreteria del T.a.r. per il Lazio adito, ove il Comune risultava domiciliato, secondo quanto indicato nell’epigrafe della sentenza (cfr. doc. 1 depositato il 3 gennaio 2023), e non contestato dal Comune.

Il Comune di (Omissis) ha proposto appello con ricorso notificato solo in data 19 gennaio 2018, oltre il termine di 60 giorni previsto dall’art. 92 c.p.a., sicchè la sentenza è passata in giudicato.

9.3. Il Comune replica che la notifica eseguita presso la segreteria del T.a.r. sarebbe, in realtà, nulla e come tale inidonea a fare decorrere il termine breve di impugnazione in quanto eseguita successivamente all’introduzione del c.d. “domicilio digitale”.

9.3.1. Con la modifica apportata all’art. 125 c.p.c. ad opera dell’art. 45-bis, comma 1, del decreto legge n. 90/2014, convertito dalla legge n. 114/2014, infatti, non sussisterebbe più alcun obbligo, per il difensore di indicare nell’atto introduttivo l’indirizzo PEC “comunicato al proprio ordine”, trattandosi di dato già risultante dal “ReGindE”, in virtù della trasmissione effettuata dall’Ordine di appartenenza, in base alla comunicazione eseguita dall’interessato ex art. 16-sexies del decreto legge n. 179/2012, convertito dalla legge n. 114/2014.

Ciò significa che le notificazioni e le comunicazioni andrebbero, quindi, eseguite al “domicilio digitale” di cui ciascun avvocato è dotato, corrispondente all’indirizzo P.E.C. – risultante dal ReGindE – e conoscibile dai terzi attraverso la consultazione dell’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata, sicchè la notifica effettuata – ai sensi dell’art. 82 del r.d. n. 37/1934 – presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, come nel caso di specie, sarebbe da ritenersi nulla anche laddove il destinatario abbia omesso di eleggere il domicilio nel Comune in cui ha sede quest’ultimo, a meno che, oltre a tale omissione, l’indirizzo di posta elettronica certificata non risulti accessibile per cause imputabili al destinatario.

9.4. Tali assunti sono inaccoglibili in quanto la previsione normativa sul domicilio digitale non trova applicazione al caso di specie.

9.4.1. Ai sensi dell’articolo 25, comma 1, lett. a) c.p.a. “nei giudizi davanti ai tribunali amministrativi regionali, la parte, se non elegge domicilio nel comune sede del tribunale amministrativo regionale o della sezione staccata dove pende il ricorso, si intende domiciliata, ad ogni effetto, presso la segreteria del tribunale amministrativo regionale o della sezione staccata”.

Ai sensi dell’art. 25, comma 1 bis, c.p.a. – aggiunto dall’art. 7, comma 1, lettera a) del decreto legge 31 agosto 2016, n. 168 convertito dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197 – “Al processo amministrativo telematico si applica, in quanto compatibile, l’articolo 16-sexies del decreto-legge 18 ottobre2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221” secondo cui “Quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonchè dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia.”.

Il comma 3 del medesimo articolo – aggiunto dall’art. 7, comma 1, lettera a) del decreto legge 31 agosto 2016, n. 168 convertito dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197 – recita che “A decorrere dal 1° gennaio 2018 il comma 1 non si applica per i ricorsi soggetti alla disciplina del processo amministrativo telematico”.

Infine, l’art. 7, comma 3, del più volte menzionato decreto legge 31 agosto 2016, n. 168 ha precisato che “Le modifiche introdotte dal presente articolo, nonchè quelle disposte dall’articolo 20, comma 1-bis, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, come modificato dal presente articolo, hanno efficacia con riguardo ai giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, a far data dal 1° gennaio 2017; ai ricorsi depositati anteriormente a tale data, continuano ad applicarsi, fino all’esaurimento del grado di giudizio nel quale sono pendenti alla data stessa e comunque non oltre il 1° gennaio 2018, le norme vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

9.4.2. Il ricorso della ditta Glicine è stato depositato dinanzi al T.a.r. per il Lazio il 18 marzo 2014 e alla data del 1 gennaio 2017 era ancora pendente in primo grado sicchè dovevano applicarsi, non oltre il 1 gennaio 2018, le norme vigenti alla data di entrata in vigore della novella e quindi l’art. 25, comma 1 lett a) c.p.a. che, in caso di mancanza di elezione del domicilio, prevede la domiciliazione ex lege presso la segreteria del T.a.r. dove pende il ricorso.

Poiché la sentenza è stata pubblicata il 22 giugno 2017 e notificata in data 27 luglio 2017, a quella data era ancora in vigore il disposto di cui all’art. 25, comma 1 lett. a) c.p.a. per cui la notifica è stata ritualmente eseguita presso la segreteria del T.a.r. per il Lazio e da quella data è iniziato a decorrere il termine breve di impugnazione.

Ne discende che la notificazione della sentenza del T.a.r. eseguita in data 27 luglio 2017 presso la segreteria del T.a.r. per il Lazio non può ritenersi affetta da nullità bensì si era perfezionata correttamente ai fini del decorso del termine breve di impugnazione di 60 giorni che sarebbe venuto a scadere il giorno 25 settembre 2017, ben prima di quello (il 19 gennaio 2018) in cui l’appello è poi stato notificato.

L’appello deve pertanto essere dichiarato irricevibile, mentre le spese possono essere compensate stante la definizione del gravame con sentenza in rito, su problematica di diritto transitorio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile e compensa integralmente tra le parti le spese del grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.