Corte di Cassazione – Ordinanza n. 21178 del 19 luglio 2023

FATTI DI CAUSA

1.1. La corte d’appello, con la pronuncia in epigrafe, ha respinto il reclamo che (omissis) ha proposto, quale amministratore della (omissis) s.r.l., nei confronti della sentenza con la quale, in data 23/7/2019, il tribunale di Pescara ne aveva dichiarato il fallimento.
1.2. La corte, in particolare, per quanto ancora rileva, ha, innanzitutto, esaminato il motivo con il quale il reclamante aveva dedotto “la nullità della notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento” e del decreto di fissazione della relativa udienza sul rilievo che tutte le notifiche alla (omissis) s.r.l. erano state eseguite tramite pec all’indirizzo di (omissis), e cioè del commercialista della società, il quale, tuttavia, aveva rinunciato all’incarico sin dal 8/10/2013 dichiarando che sarebbe andato “in pensione” e che quindi “avrebbe chiuso la detta Pec” ma “ciò non è avvenuto”, senza, peraltro, aver mai “avvisato gli amministratori” della società che “era arrivata istanza di fallimento” e che “erano arrivate al detto indirizzo pec altre comunicazioni in merito alla procedura fallimentare”: e l’ha ritenuto infondato, sul rilievo che, al contrario di quanto sostenuto dal reclamante, il procedimento notificatorio era stato correttamente eseguito e risultava, quindi, privo dei vizi lamentati dal reclamante.
1.3. L’indirizzo pec dell’ex commercialista della società, infatti, ha osservato la corte, era “l’unico indirizzo comunicato dalla società al Registro delle imprese”, per cui “la notifica effettuata dal Tribunale alla società (omissis) all’indirizzo risultante dal Registro imprese si è ritualmente perfezionata, apparendo chiaramente irrilevanti le vicende riguardanti i rapporti personali tra la srl e il commercialista che gestiva detto indirizzo”.
1.4. Né rileva, ha aggiunto la corte, il fatto che quest’ultimo aveva dichiarato che avrebbe “chiuso” tale indirizzo, poiché era onere della società “controllare che ciò era avvenuto o, comunque, comunicare un diverso indirizzo pec al registro delle imprese”, posto che “è l’iscrizione nel Registro delle imprese l’adempimento alle cui risultanze lo speciale procedimento notificatorio qui applicabile limita le ricerche esigibili nei confronti del creditore ricorrente e dell’ufficiale giudiziario richiesto della notificazione”.
1.5. La corte, poi, ha esaminato la censura proposta dal reclamante in ordine alla sussistenza dello stato d’insolvenza sul rilievo che “dal ricavato di due procedure esecutive immobiliari la (omissis)” (che aveva proposto ricorso per la dichiarazione di fallimento (omissis) s.r.l. per il mancato pagamento della somma di €. 64.830,90 in ragione di “tributi rimasti inevasi”), “avrebbe potuto trovare soddisfazione” essendo stata pagata sia dall’una che dall’altra procedura esecutiva: e l’ha ritenuta parimenti infondata.
1.6. La corte, sul punto, ha ritenuto che: – “la sottoposizione a procedure esecutive, vantata dal reclamante come indizio di solidità patrimoniale e finanziaria, è al contrario uno dei massimo indici di insolvenza”; – la Soget aveva, in fatto, incontestatamente dedotto che, a fronte dell’entità dei creditori ipotecari procedenti e intervenuti, “il suo credito di € 64.830,90 non potrebbe rimanere soddisfatto dal ricavato delle vendite forzose”.
1.7. La corte, infine, ha ritenuto l’infondatezza dell’ultimo motivo di reclamo, relativo alla sussistenza del presupposto previsto dall’art. 15, ult.comma, l.fall., evidenziando che tale norma esclude che il fallimento possa essere dichiarato se i debiti scaduti e non pagati risultanti dall’istruttoria prefallimentare non superino la soglia di 30.000 euro, e che la condizione prevista da tale norma sussiste nel caso in esame già in ragione del solo credito dell’istante, “che superava ampiamente la suddetta soglia”, a nulla, per contro, rilevando le eccezioni sollevate al riguardo (“ma non dimostrate”) dal reclamante, come la prescrizione dei “crediti iscritti a ruolo” ovvero la “non debenza degli importi” dovuti al Comune di (omissis) quali “oneri di urbanizzazione”: si tratta, infatti, ha osservato la corte, di “doglianze non valutabili” non avendo il reclamante fornito la prova di aver proposto opposizione nei termini consentiti dinanzi all’autorità competente avverso gli atti di ingiunzione di pagamento regolarmente notificati, tanto più che, oltre alle singole ingiunzioni, la Soget ha documentato l’intervenuta notifica in data 6/2/2019 dell’intimazione di pagamento n. 75052/2019, “comprendente tutte le pratiche pregresse e mai opposta”.
1.8. La corte, quindi, ha rigettato il reclamo ed ha condannato il reclamante al rimborso, in favore delle parti resistenti, delle spese processuali nonché, in ragione della “non comune inconsistenza del gravame”, al pagamento in favore di ciascuna delle stesse, a norma dell’art. 96, ult.comma, c.p.c., della somma equitativamente determinata nella misura pari alla metà del compenso ad esse riconosciuto.
1.9. (omissis), con ricorso notificato il 25/5/2020, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione della sentenza.
2.1. Hanno resistito, con distinti controricorsi, il Fallimento della (omissis) s.r.l. e la (omissis) s.p.a..
2.2. Le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. In via preliminare, la Corte rileva che i documenti prodotti dalle parti unitamente alle memorie, in quanto (dichiaratamente) nuovi rispetto a quelli depositati nel giudizio di merito, sono inammissibili. Nel giudizio di cassazione, infatti, è ammissibile la produzione di documenti non prodotti in precedenza solo nel caso in cui, come è previsto dall’art. 372 c.p.c., attengano (ma non è questo il caso) alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità processuale del ricorso o del controricorso: non è, quindi, consentita la produzione di documenti nuovi relativi alla fondatezza nel merito della pretesa, per far valere i quali, se rinvenuti dopo la scadenza dei termini, la parte che ne assuma la decisività può esperire esclusivamente il rimedio della revocazione straordinaria ex art. 395 n. 3 c.p.c. (cfr. Cass. n. 18464 del 2018; Cass. n. 4415 del 2020; Cass. n. 17175 del 2020).
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui all’art. 15, comma 3°, l.fall., all’art. 107, comma 1°, del d.P.R. n. 1229/1959 e dell’art. 145 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la notifica del ricorso per la dichiarazione di fallimento risulta essere stata correttamente eseguita senza, tuttavia, considerare che tutte le notifiche alla (omissis) s.r.l. erano state eseguite tramite pec all’indirizzo del commercialista della società, il quale, tuttavia, aveva rinunciato all’incarico sin dal 8/10/2013, e che, nell’ipotesi in cui la notificazione a mezzo pec dell’istanza di fallimento non risulti possibile per qualsiasi ragione o non abbia esito positivo, la stessa dev’essere eseguita esclusivamente di persona presso la sede risultante dal registro delle imprese.
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all’art. 15, comma 3°, l.fall., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto la correttezza del procedimento seguito per la notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento senza, tuttavia, considerare, per un verso, che la norma dell’art. 15, comma 3°, l.fall. dev’essere intesa nel senso che la notifica, in caso d’impossibilità di seguire l’opzione preferenziale, dev’essere eseguita nelle forme ordinarie in quanto una differente interpretazione sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza e lesiva del diritto di difesa, e, per altro verso, che, in data 25/1/2020, la sentenza di fallimento è stata notificata al reclamante a mezzo di ufficiale giudiziario, e tale fatto è spiegabile unicamente perché la cancelleria si è resa conto che la notifica del ricorso di fallimento, operata a mezzo pec, non era stata correttamente eseguita.
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha considerato il fatto che il reclamante, come emerge dal verbale dell’assemblea ordinaria dei soci del 29/7/2014, aveva dato le dimissioni dalla carica di amministratore della (omissis) e che, per tale motivo, lo stesso non si era più interessato alla società.
4.4. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono palesemente infondati. Escluso, invero, ogni rilievo al fatto che il reclamante si era dimesso dalla carica di amministratore della società poi fallita in difetto di qualsivoglia illustrazione circa la rilevanza decisiva di tale circostanza, la Corte ritiene che il ricorrente non si sia realmente confrontato con la sentenza che ha impugnato: la quale, infatti, con statuizione rimasta del tutto incensurata, ha ritenuto che il ricorso per la dichiarazione di fallimento della (omissis) s.r.l. era stato correttamente notificato all’indirizzo pec dell’ex commercialista della stessa sul rilievo che questo era l’“unico indirizzo comunicato dalla società al Registro delle imprese” e che era, per contro, irrilevante che “il commercialista che gestiva detto indirizzo” avesse dichiarato che ne avrebbe curato la chiusura, essendo onere della società “controllare che ciò era avvenuto o, comunque, comunicare un diverso indirizzo pec al registro delle imprese”.
4.5. Così facendo, del resto, la corte d’appello si è attenuta alla giurisprudenza di questa Corte, la quale, invero, dopo aver rilevato che: – ogni imprenditore, individuale o collettivo, iscritto al registro delle imprese, è tenuto, a norma dell’art. 16 del d.l. n. 185/2008, conv. con modif. dalla l. n. 2/2009, come modificata dalla l. n. 35/2012, a dotarsi di indirizzo di posta elettronica certificata; – tale indirizzo costituisce l’indirizzo “pubblico informatico” che lo stesso, per il periodo successivo alla entrata in vigore delle disposizioni da ultimo citate, ha l’onere di attivare, tenere operativo e rinnovare nel tempo, sin dalla fase di iscrizione nel registro delle imprese (e finanche per i dodici mesi successivi alla eventuale cancellazione da esso), la cui responsabilità, sia nella fase di iscrizione che successivamente, grava sul legale rappresentante della società, non avendo l’ufficio camerale alcun compito di verifica al riguardo (Cass. n. 31 del 2017); – l’art. 15, comma 3°, l.fall. (come sostituito dall’art. 17, comma 1, lett. a], del d.l. n. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 221/2012, applicabile ratione temporis), stabilisce che il ricorso per la dichiarazione di fallimento ed il relativo decreto di convocazione devono essere notificati, a cura della cancelleria, all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore (risultante dal registro delle imprese o dall’indice nazionale degli indirizzi pec delle imprese e dei professionisti); – solo quando, per qualsiasi ragione, la notificazione via pec non risulti possibile o non abbia esito positivo (e, come visto, non è questo il caso), la notifica dev’essere eseguita dall’ufficiale giudiziario il quale, a tal fine, deve accedere di persona presso la sede legale del debitore risultante dal registro predetto, oppure, qualora neppure tale modalità sia attuabile a causa dell’irreperibilità del destinatario, deve depositare l’atto nella casa comunale della sede iscritta nel registro; ha ripetutamente e condivisibilmente rilevato che tale norma ha introdotto uno speciale procedimento per la notificazione del ricorso di fallimento il quale, da una parte, esclude che residuino ipotesi in cui il ricorso di fallimento ed il decreto di convocazione debbano essere notificati, ai sensi degli artt. 138 e ss o 145 c.p.c. (a seconda che l’impresa esercitata dal debitore sia individuale o collettiva), nei diretti confronti del titolare dell’impresa individuale o del legale rappresentante della società (cfr. Cass. n. 602 del 2017, in motiv.), e, dall’altra parte, fa gravare sull’imprenditore le conseguenze negative derivanti dal mancato rispetto dei descritti obblighi di dotarsi di indirizzo pec e di tenerlo operativo, così intendendo codificare e rafforzare il principio secondo cui il tribunale, pur essendo tenuto a disporre la previa comparizione in camera di consiglio del debitore fallendo e ad effettuare a tal fine ogni ricerca per provvedere alla notificazione dell’avviso di convocazione, è esonerato dal compimento di ulteriori formalità allorché la situazione di irreperibilità di quest’ultimo debba imputarsi alla sua stessa negligenza e/o ad una condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico (cfr. Cass. n. 602 del 2017; Cass. n. 23728 del 2017; Cass. n. 3443 del 2020; Cass. n. 18544 del 2020).
4.6. L’indirizzo pec che le società e gli imprenditori individuali devono dichiarare alla Camera di Commercio equivale, in effetti, ad un recapito sostanzialmente assimilabile alla sede legale di questi ultimi, sicchè può affermarsi che, di regola, e salvo che venga fornita prova contraria, il mancato funzionamento, per qualunque causa, dell’indirizzo pec dichiarato dalla società ovvero dall’imprenditore individuale alla Camera di Commercio si ascrive tra le cosiddette irreperibilità “colpevoli” del destinatario sul quale incombe l’onere di comunicare un recapito informatico che lo renda effettivamente raggiungibile (Cass. n. 16365 del 2018, la quale ha ritenuto che la notifica telematica del ricorso per la dichiarazione di fallimento eseguita all’indirizzo pec dichiarato da una società si perfeziona in virtù dell’attestazione di avvenuta consegna alla formale intestataria, non potendo tale notifica essere ritenuta invalida qualora, pur essendo riconducibile alla destinataria in base alle risultanze del registro delle imprese, l’indirizzo di posta elettronica non sia, di fatto, abilitato all’uso da parte sua).
4.7. La nuova disciplina, applicabile a tutti procedimenti introdotti successivamente al 31/12/2013, è stata, del resto, esaminata dalla Corte costituzionale la quale, con la pronuncia n. 146/2016, in relazione ai parametri di cui agli artt. 3 e 24 Cost., ha puntualizzato che (a differenza della disposizione di cui all’art. 145 c.p.c., esclusivamente finalizzata all’esigenza di assicurare alla persona giuridica l’effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti ad essa indirizzati e alle connesse procedure), il nuovo art. 15 l.fall. si propone di “coniugare” quella stessa finalità di tutela del diritto di difesa dell’imprenditore “con le esigenze di celerità e speditezza cui deve essere improntato il procedimento concorsuale”, prevedendo, appunto, a tal fine, che “il tribunale è esonerato dall’adempimento di ulteriori formalità quando la situazione di irreperibilità deve imputarsi all’imprenditore medesimo”. La specialità e la complessità degli interessi (comuni ad una pluralità di operatori economici, ed anche di natura pubblica in ragione delle connotazioni soggettive del debitore e della dimensione oggettiva del debito), che il legislatore del 2012 ha inteso tutelare con l’introdotta semplificazione del procedimento notificatorio nell’ambito della procedura fallimentare, segnano, dunque, l’innegabile diversità tra il suddetto procedimento e quello ordinario di notifica ex art. 145 c.p.c. (così, sempre Corte cost. n. 146 cit.). Il diritto di difesa, nella sua declinazione di conoscibilità, da parte del debitore, dell’attivazione del procedimento fallimentare a suo carico, è, del resto, adeguatamente garantito dalla norma in esame proprio in ragione del predisposto duplice meccanismo di ricerca della società: la quale, infatti, ai fini della sua partecipazione al giudizio, viene notiziata prima presso il suo indirizzo di pec, del quale è obbligata a dotarsi, ex art. 16 del d.l. n. 185 cit. ed è tenuta a mantenere attivo durante la vita dell’impresa, in forza, dunque, di un sistema che presuppone il corretto operare della disciplina complessiva che regola le comunicazioni telematiche da parte dell’ufficio giudiziario e che, come tale, consente di giungere ad una conoscibilità effettiva dell’atto da notificare, in modo sostanzialmente equipollente a quella conseguibile con i meccanismi ordinari (ufficiale giudiziario e agente postale) (così, sempre Corte cost. n. 146 cit.): e solo a fronte della non utile attivazione di tale primo meccanismo, segue la notificazione presso la sede legale dell’impresa collettiva, e cioè presso quell’indirizzo da comunicare obbligatoriamente, ai sensi dell’art. 2196 c.c., al momento dell’iscrizione nel registro delle imprese, la cui funzione è proprio quella di assicurare un sistema organico di pubblicità legale, che rende conoscibili (e perciò opponibili ai terzi, nell’interesse dello stesso imprenditore) i dati concernenti l’impresa e le principali vicende che la riguardano (cfr. Cass. n. 11356 del 2020, in motiv.).
Dev’essere, quindi, ribadito che, in tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 15, comma 3°, l.fall. (come sostituito dal d.l. n. 179/2012, conv., con modif., dalla l. n. 221/2012), nella parte in cui prevede la notificazione del ricorso alla persona giuridica tramite posta elettronica certificata e non nelle forme ordinarie di cui all’art. 145 c.p.c.: invero, come già affermato dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 146/2016, la diversità delle fattispecie a confronto giustifica, in termini di ragionevolezza, la differente disciplina, essendo l’art. 145 c.p.c. esclusivamente finalizzato ad assicurare alla persona giuridica l’effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti ad essa indirizzati, mentre la contestata disposizione si propone di coniugare la stessa finalità di tutela del medesimo diritto dell’imprenditore collettivo con le esigenze di celerità e speditezza proprie del procedimento concorsuale, caratterizzato da speciali e complessi interessi, anche di natura pubblica, idonei a rendere ragionevole ed adeguato un diverso meccanismo di garanzia di quel diritto, che tenga conto della violazione, da parte dell’imprenditore collettivo, degli obblighi, previsti per legge, di munirsi di un indirizzo di pec e di tenerlo attivo durante la vita dell’impresa (Cass. n. 7083 del 2022).
Con il quarto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 5 l.fall., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto l’infondatezza della censura con la quale il reclamante aveva dedotto l’insussistenza dello stato d’insolvenza senza, tuttavia, considerare che: – i debiti della società erano ampiamente “coperti” dai beni immobili della stessa; – la non aveva alcun debito nei confronti del Comune di (omissis) trattandosi, in parte, di oneri di urbanizzazione non dovuti e quindi, da restituire e, in altra parte, di oneri di urbanizzazione maturati su costruzioni regolarmente effettuate per i quali, tuttavia, era stata consegnata una polizza fideiussoria che il Comune per sua incuria non ha attivato nei confronti della compagnia di assicurazione; – i debiti iscritti a ruolo si sono prescritti per decorso del termine di cinque anni. Il motivo è infondato in tutte le censure in cui risulta articolato: – la prima, perché lo stato di insolvenza delle società che non siano in liquidazione va desunto non già dal rapporto tra attività e passività (come sembra affermare il ricorrente), bensì dall’impossibilità (che il reclamante non risulta aver contestato) dell’impresa di continuare ad operare proficuamente sul mercato, che si traduca in una situazione d’impotenza strutturale (e non soltanto transitoria) a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, per il venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie allo svolgimento dell’attività (Cass. n. 7087 del 2022; Cass. n. 32280 del 2022); – le altre due, perché il reclamante non risulta (come incontestatamente accertato dalla corte d’appello) aver censurato, nei termini a tal fine previsti ed innanzi alle autorità (giudiziarie) sul punto competenti, i crediti azionati nei suoi confronti dalla Soget, vale a dire i tributi iscritti a ruolo e gli oneri di urbanizzazione maturati a suo carico, con la conseguenza che, a fronte dell’intervenuta definitività degli stessi, il giudice dell’istruttoria prefallimentare non può svolgere alcun sindacato circa l’an e/o il quantum delle relative pretese.
Del resto, com’è noto, in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, l’art. 6 l.fall., laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante (Cass. SU n. 1521 del 2013; Cass. n. 30827 del 2018).
4.12. Con il quinto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 96, comma 3°, c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello l’ha condannato al pagamento in favore dei resistenti di una somma equitativamente determinata senza considera che lo stesso aveva agito né in mala fede né con colpa grave.
4.13. Il motivo è inammissibile. L’accertamento della responsabilità aggravata, che ricorre (tra l’altro) nel caso di palese e strumentale infondatezza dei motivi dell’appello proposto dalla parte soccombente (cfr. Cass. n. 7620 del 2013; Cass. n. 1115 del 2016; Cass. n. 29812 del 2019; Cass. n. 34693 del 2022), rientra nei compiti del giudice del merito e non è censurabile in sede di legittimità, se, com’è accaduto nel caso in esame, risulta, con l’espresso riferimento alla “non comune inconsistenza del gravame”, adeguatamente motivato (cfr. Cass. n. 7222 del 2022).
5. Il ricorso, per l’infondatezza o l’inammissibilità di tutti i suoi motivi, dev’essere, quindi, rigettato.
6. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo in favore, rispettivamente, della Soget s.p.a. e (a fronte dell’ammissione del Fallimento controricorrente al patrocinio a spese dell’Erario: art. 133 del d.P.R. n. 115/2002) dello Stato.
7. La Corte dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore della (omissis) s.p.a. e dello Stato delle spese di lite, che liquida, per ciascuno dei due, in €. 5.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.