Agenzia delle Entrate – Circolare n. 17/E del 31 marzo 2010

Contenzioso tributario – Modifiche introdotte dalla L. 18 giugno 2009, n. 69 al codice di procedura civile – Estensione al processo tributario ex art. 1, comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – Principali novità – Istruzioni

 

1. Premessa

Nella Gazzetta Ufficiale n. 140 del 19 giugno 2009 è stata pubblicata la L. 18 giugno 2009, n. 69, recante “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, in vigore dal 4 luglio 2009.
La citata L. n. 69 del 2009 ha modificato alcune disposizioni del codice di procedura civile che trovano applicazione nel processo tributario stante il rinvio disposto dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo il quale “I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”.
La presente circolare illustra le principali novità normative introdotte dalla L. n. 69 del 2009.
Nel commentare le singole disposizioni modificative del codice di procedura civile si avrà modo di evidenziare quelle che non trovano applicazione nel processo tributario dinanzi alle Commissioni tributarie.
In assenza di tale evidenziazione, si intende che la disposizione commentata si applica anche al processo tributario.
Per facilitarne la consultazione, si allega un prospetto comparativo delle modifiche normative più rilevanti introdotte dalla L. n. 69 del 2009.

2. Modifiche alle “Disposizioni generali” del codice di procedura civile

L’art. 45 della L. n. 69 del 2009 ha modificato il libro primo del codice di procedura civile (“Disposizioni generali”) e, in particolare, i seguenti articoli:

– art. 38 (Incompetenza);
– art. 39 (Litispendenza e continenza di cause);
– art. 40 (Connessione);
– art. 50 (Riassunzione della causa);
– art. 54 (Ordinanza sulla ricusazione);
– art. 83 (Procura alle liti);
– art. 91 (Condanna alle spese);
– art. 92 (Condanna alle spese per singoli atti. Compensazione delle spese);
– art. 96 (Responsabilità aggravata);
– art. 101 (Principio del contraddittorio);
– art. 115 (Disponibilità delle prove);
– art. 120 (Pubblicità della sentenza);
– art. 132 (Contenuto della sentenza);
– art. 137 (Notificazioni);
– art. 153 (Improrogabilità dei termini perentori).

2.1. Incompetenza

L’art. 38 del codice di procedura civile, che disciplina le ipotesi di incompetenza per materia, per valore e per territorio nel processo civile, è stato modificato nella parte relativa alle modalità e ai tempi in cui l’incompetenza può essere eccepita in giudizio.
Si ritiene che tale disposizione non trovi applicazione nel processo tributario in quanto prevale, in materia, la norma speciale contenuta nell’art. 5 del D.Lgs. n. 546 del 1992, rubricato “Incompetenza”.

2.2. Litispendenza e continenza di cause

Al fine di accelerare i tempi del processo, la modifica dell’art. 39 del codice di procedura civile prevede che la litispendenza e la continenza di cause siano dichiarate dal giudice con ordinanza, anziché con sentenza.
La norma in questione trova applicazione nel processo tributario, come espressamente chiarito dalla Corte di Cassazione (Cass., 10 aprile 2000, n. 4509; cfr. anche Cass., SS.UU., 4 giugno 2008, n. 14815).
Intervenendo sul terzo comma del citato art. 39 del codice di procedura civile, il legislatore fornisce altresì il criterio per individuare, in caso di litispendenza, il giudice adito per primo, dinanzi al quale la causa deve proseguire.
Al riguardo, si afferma che la priorità temporale di una causa rispetto ad un’altra, determinata, in via generale, dalla notificazione della citazione o del ricorso, deve invece essere individuata, nei giudizi incardinati davanti al giudice con il deposito del ricorso (quelli, ad esempio, di cui all’art. 23 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in materia di opposizione a sanzioni amministrative) avendo riguardo alla data di deposito del ricorso stesso.
Resta confermato che il giudizio tributario si intende proposto alla data di notifica del ricorso, alla quale pertanto occorre fare riferimento, ai fini che qui interessano, per l’individuazione della causa instaurata per prima (cfr. circolare n. 41/E dell’11 settembre 2009, punto 2.2; circolare n. 12/E del 21 febbraio 2003, punto 11.2; in senso conforme, circolare n. 56/E del 24 ottobre 2007).

2.3. Connessione

La novità di cui all’art. 40, comma 1, del codice di procedura civile concerne l’utilizzo da parte del giudice dello strumento dell’ordinanza, anziché della sentenza, ogni qual volta, nell’ipotesi di connessione di cause, debba essere fissato un termine perentorio per la riassunzione della causa accessoria davanti al giudice della causa principale o davanti a quello preventivamente adito.

2.4. Riassunzione della causa

In caso di dichiarazione di incompetenza del giudice adito, l’art. 50 del codice di procedura civile dispone il dimezzamento del termine previsto per la riassunzione della causa che viene ridotto, pertanto, da sei a tre mesi.
Al riguardo si evidenzia che il novellato art. 50 del codice di procedura civile non trova applicazione nel processo tributario in quanto prevale la norma speciale contenuta nell’art. 5 del D.Lgs. n. 546 del 1992, il quale, al comma 4, esclude l’applicabilità del regolamento di competenza e al comma 5 prevede che “La riassunzione del processo davanti alla commissione tributaria dichiarata competente deve essere effettuata a istanza di parte nel termine fissato nella sentenza o in mancanza nel termine di sei mesi dalla comunicazione della sentenza stessa. Se la riassunzione avviene nei termini suindicati il processo continua davanti alla nuova commissione, altrimenti si estingue”.
Ne consegue che nel processo tributario le parti, in caso di dichiarazione di incompetenza della Commissione tributaria adita, mantengono la facoltà di riassumere il processo nel termine fissato nella sentenza o, in mancanza, nel termine di sei mesi dalla comunicazione della sentenza medesima.

2.5. Ordinanza sulla ricusazione

Con la modifica all’art. 54, comma 3, del codice di procedura civile, è stata innalzata a 250 euro la pena pecuniaria che il giudice può irrogare alla parte – e non più anche al difensore – che ha proposto la ricusazione del giudice, in caso di rigetto o di inammissibilità della ricusazione stessa.
L’attuale previsione, secondo la quale il giudice “può condannare” la parte ad una pena pecuniaria, recepisce le statuizioni della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della predetta disposizione nella parte in cui prevedeva che “l’ordinanza, che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione, ‘condanna’ la parte o il difensore che l’ha proposta ad una pena pecuniaria anziché prevedere che ‘può condannare’ la parte o il difensore medesimi ad una pena pecuniaria” (Corte Cost., 21 marzo 2002, n. 78).
Al riguardo si ritiene che l’art. 54 del codice di procedura civile trova applicazione nel processo tributario per effetto del rinvio disposto dall’art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, secondo cui “L’astensione e la ricusazione dei componenti delle commissioni tributarie sono disciplinate dalle disposizioni del codice di procedura civile in quanto applicabili”.

2.6. Procura alle liti

La novella dell’art. 83, comma 3, del codice di procedura civile prevede la possibilità di conferire procura speciale ad un nuovo difensore, che si aggiunga o si sostituisca al precedente, direttamente in calce o a margine della memoria di nomina.
Non si ravvisano impedimenti all’applicazione della nuova disposizione al giudizio tributario, per il quale – con norma analoga a quella in esame (art. 12, comma 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992) – si prevede in modo più generico che l’incarico al difensore possa essere conferito, oltre che con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, anche “in calce o a margine di un atto del processo”.
Con circolare n. 98/E del 23 aprile 1996 è stato già chiarito peraltro che il comma 3 dell’art. 12 del D.Lgs n. 546 del 1992 detta regole sulla procura alle liti mutuate in gran parte dall’art. 83 del codice di procedura civile.

2.7. Condanna alle spese

L’art. 91 del codice di procedura civile, come modificato dalla L. n. 69 del 2009, prevede che, in caso di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa rifiutata senza giustificato motivo, il giudice condanna alle spese del processo la parte che ha opposto rifiuto alla predetta proposta.
Considerato che la disciplina generale della condanna alle spese di lite di cui all’art. 91 del codice di procedura civile trova applicazione, come chiarito dalla circolare n. 98/E del 23 aprile 1996 (nella parte in commento all’art. 15 del D.Lgs. n. 546 del 1992), anche nel processo tributario, si ritiene che la citata disposizione possa trovare applicazione anche nel processo tributario, ancorché la “conciliazione giudiziale” di cui all’art. 48 del D. Lgs. n. 546 del 1992 preveda una disciplina diversa dalla “proposta conciliativa” cui si riferisce l’art. 91 del codice di procedura civile.
In attesa che si consolidi al riguardo l’indirizzo della giurisprudenza, gli uffici, nei casi in cui il contribuente abbia rifiutato la proposta di conciliazione giudiziale formulata, anche a seguito di tentativo di conciliazione esperito d’ufficio dal giudice, avanzeranno richiesta di condanna alle spese subordinandola alla circostanza che la Commissione tributaria decida in senso conforme alla proposta di conciliazione ovvero in termini ancora più favorevoli all’ufficio.

2.8. Condanna alle spese per singoli atti. Compensazione delle spese

Il nuovo art. 92 del codice di procedura civile impone l’esplicita indicazione nella motivazione della sentenza delle “altre gravi ed eccezionali ragioni” che inducono il giudice a compensare le spese giudiziali, non essendo più sufficienti “giusti motivi” per soprassedere alla condanna della parte soccombente.

2.9. Responsabilità aggravata

L’art. 96, comma 1, prevede che, se la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza.
Inserendo un nuovo comma al citato art. 96 del codice di procedura civile, la L. n. 69 del 2009 prevede che il giudice “in ogni caso”, quando pronuncia sulle spese, possa condannare, anche d’ufficio, il soccombente al pagamento non solo delle spese di lite, ma anche di una somma equitativamente determinata a favore di controparte. Rispetto alla previsione del primo comma non occorre, quindi, né l’istanza di parte né l’esatta quantificazione di un danno.

2.10. Principio del contraddittorio

Con la modifica dell’art. 101 del codice di procedura civile, il legislatore, sulla falsariga di quanto già previsto per il giudizio di legittimità all’art. 384, comma 3, del codice di procedura civile, ha previsto che, anche nei gradi di merito, le parti possono depositare memorie scritte, ogniqualvolta il giudice decida di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio.
Tale disposizione trova applicazione quando la Commissione tributaria intende porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio come, ad esempio, il difetto di giurisdizione ai sensi dell’art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992.

2.11. Disponibilità delle prove

La novella dell’art. 115 del codice di procedura civile recepisce l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale i fatti allegati da una delle parti vanno considerati “pacifici” se la controparte li abbia esplicitamente ammessi ovvero abbia assunto una posizione difensiva incompatibile con la loro negazione, ammettendone così implicitamente l’esistenza (Cass., Sez. III, 14 marzo 2006, n. 5488).
La norma impone agli uffici di contestare punto per punto, nei propri atti difensivi, i fatti enunciati nel ricorso del contribuente, evitando formule generiche (sulla costituzione in giudizio cfr. circolare n. 98/E del 1996).

2.12. Pubblicità della sentenza

L’art. 120, comma 1, del codice di procedura civile prevede che il giudice, su istanza di parte, ordini la pubblicazione della decisione di merito, qualora ritenga che ciò possa contribuire a riparare il danno. Detta pubblicità avviene a cura e spese del soccombente, mediante inserzione per estratto, ovvero mediante comunicazione, nelle forme specificamente indicate, in una o più testate giornalistiche.
Nella nuova formulazione, il citato articolo prevede che detta pubblicizzazione possa avvenire anche tramite radio, televisione o Internet e che possa essere ordinata dal giudice anche per riparare il danno nel caso di responsabilità aggravata ex art. 96 del codice di procedura civile.

2.13. Contenuto della sentenza

Il novellato art. 132, comma 2, n. 4), del codice di procedura civile, annovera, tra gli elementi costituenti il contenuto della sentenza, “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”. In parallelo anche all’art. 118, comma 1, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, si prevede che la motivazione della sentenza di cui all’art. 132, comma 2, n. 4), del codice di procedura civile implica la “succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”.
Si ritiene che i novellati articoli 132 del codice di procedura civile e 118 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile non trovino applicazione nel processo tributario in quanto prevale la norma speciale contenuta nell’art. 36, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, secondo cui la sentenza deve contenere “la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto”.

2.14. Notificazioni

Con l’introduzione di un nuovo comma all’art. 137 del codice di procedura civile si è inteso disciplinare la notificazione o la comunicazione di documenti informatici, qualora il destinatario non possieda un indirizzo di posta elettronica certificata nei seguenti termini: “Se l’atto da notificare o comunicare è costituito da un documento informatico e il destinatario non possiede indirizzo di posta elettronica certificata, l’ufficiale giudiziario esegue la notificazione mediante consegna di una copia dell’atto su supporto cartaceo, da lui dichiarata conforme all’originale, e conserva il documento informatico per i due anni successivi. Se richiesto, l’ufficiale giudiziario invia l’atto notificato anche attraverso strumenti telematici all’indirizzo di posta elettronica dichiarato dal destinatario della notifica o dal suo procuratore, ovvero consegna ai medesimi, previa esazione dei relativi diritti, copia dell’atto notificato, su supporto informatico non riscrivibile”.

2.15. Improrogabilità dei termini perentori

Ai sensi dell’art. 184-bis del codice di procedura civile, ora abrogato dall’art. 46, comma 3, della L. n. 69 del 2009, “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice istruttore di essere rimessa in termini”. Tale disposizione risultava di fatto applicabile soltanto alle attività difensive inerenti alla fase istruttoria (Cass., Sez. V, 30 luglio 2002, n. 11218).
Con l’introduzione del secondo comma all’art. 153 del codice di procedura civile viene generalizzata la possibilità, per la parte che dimostri di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile, di ottenere la rimessione in termini a proprio favore.

3. Modifiche al processo di cognizione

L’art. 46 della L. n. 69 del 2009 ha modificato i seguenti articoli del secondo libro del codice di procedura civile (“Del processo di cognizione”):

– art. 182 (Difetto di rappresentanza o di autorizzazione);
– art. 191 (Nomina del consulente tecnico);
– art. 195 (Processo verbale e relazione);
– art. 285 (Modo di notificazione della sentenza);
– art. 305 (Mancata prosecuzione o riassunzione);
– art. 307 (Estinzione del processo per inattività delle parti);
– art. 327 (Decadenza dall’impugnazione);
– art. 330 (Luogo di notificazione della impugnazione);
– art. 345 (Domande ed eccezioni nuove);
– art. 353 (Rimessione al primo giudice per ragioni di giurisdizione);
– art. 385 (Provvedimenti sulle spese);
– art. 392 (Riassunzione della causa).

3.1. Difetto di rappresentanza o di autorizzazione

La novella dell’art. 182, comma 2, del codice di procedura civile disciplina più dettagliatamente la fattispecie in cui il giudice rilevi un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore. In tal caso, egli assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. Viene altresì chiarito che l’osservanza del termine sana i vizi e che gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione.

3.2. Nomina del consulente tecnico

La novità dell’art. 191, comma 1, del codice di procedura civile è rappresentata dalla previsione secondo la quale il giudice, nell’ordinanza di nomina del consulente tecnico, deve ora formulare allo stesso i quesiti di natura tecnica in ordine ai quali si chiede la consulenza.

3.3. Processo verbale e relazione

Il novellato art. 195, comma 3, del codice di procedura civile prevede che il consulente tecnico sia tenuto a trasmettere la propria relazione alle parti costituite nel termine stabilito dal giudice con ordinanza. Con la medesima ordinanza il giudice deve fissare il termine entro il quale le parti devono trasmettere al consulente le proprie osservazioni sulla relazione nonché il termine, anteriore alla successiva udienza, entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione sulle stesse.

3.4. Modo di notificazione della sentenza

L’art. 285 del codice di procedura civile, già prima della riforma, prevedeva che, al fine della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, la notificazione della sentenza dovesse essere effettuata, su istanza di parte, a norma dei commi 1 e 3 dell’art. 170 del codice di procedura civile, ossia al procuratore costituito oppure nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto della parte che si è costituita personalmente.
Per effetto della modifica dell’art. 285 del codice di procedura civile che rinvia all’intero art. 170 del codice di procedura civile, è ora prevista l’applicabilità anche del comma 2 del citato art. 170 del codice di procedura civile; pertanto, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, è sufficiente la consegna di una sola copia della sentenza al procuratore, anche se quest’ultimo si è costituito per più parti.
Si ritiene che l’art. 285 del codice di procedura civile non trovi applicazione nel processo tributario in quanto prevale la norma speciale contenuta nell’art. 38 del D.Lgs. n. 546 del 1992.
Tuttavia è opportuno che gli uffici, in via prudenziale, tengano conto anche di notifiche irrituali della sentenza ai fini del calcolo del termine breve di impugnazione.

3.5. Mancata prosecuzione o riassunzione

La modifica dell’art. 305 del codice di procedura civile comporta il dimezzamento del termine previsto per la prosecuzione o riassunzione del processo in caso di interruzione del giudizio, che non è più di sei mesi, bensì di tre mesi dall’interruzione stessa.
Si ritiene che il novellato art. 305 del codice di procedura civile non sia applicabile al processo tributario in quanto prevale la norma speciale contenuta nell’art. 43, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992; ne consegue che il termine previsto per la prosecuzione/riassunzione del processo tributario, in caso di interruzione del giudizio per i motivi di cui al precedente art. 40 del D.Lgs. n. 546 del 1992, è di sei mesi dalla data del provvedimento di dichiarazione dell’interruzione.

3.6. Estinzione del processo per inattività delle parti

Intervenendo sull’art. 307, comma 1, del codice di procedura civile, il legislatore ha inteso ridurre da un anno a tre mesi il termine entro il quale il processo, a pena di estinzione, deve essere riassunto nel caso in cui nessuna parte si sia costituita ovvero il giudice, nei casi previsti dalla legge, abbia ordinato la cancellazione della causa dal ruolo.
È da ritenere che il primo ed il secondo comma del citato art. 307 del codice di procedura civile non trovino applicazione nel processo tributario, considerato che il D.Lgs. n. 546 del 1992, detta una disciplina speciale per la mancata costituzione delle parti. In caso di mancata costituzione del ricorrente, l’art. 22 del D.Lgs. n. 546 del 1992 prevede, infatti, l’inammissibilità del ricorso, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e non sanabile dalla costituzione del resistente.
Si applica invece anche al processo tributario il nuovo comma 3 dell’art. 307 del codice di procedura civile, nella parte in cui prevede il dimezzamento del termine massimo – da sei a tre mesi – entro il quale il giudice può ordinare alle parti di proseguire, riassumere o integrare il giudizio. Tale disposizione è infatti compatibile con il disposto di cui all’art. 45, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, il quale prevede che “Il processo si estingue nei casi in cui le parti alle quali spetta di proseguire, riassumere o integrare il giudizio non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo”.
Nel processo tributario non trova applicazione, infine, il comma 4 dell’art. 307 del codice di procedura civile, secondo cui l’estinzione del processo può essere dichiarata anche d’ufficio senza che sia necessaria l’eccezione di parte; ciò in quanto prevale la norma speciale di cui all’art. 45, comma 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, la quale già prevede che “L’estinzione del processo per inattività delle parti è rilevata anche d’ufficio solo nel grado di giudizio in cui si verifica e rende inefficaci gli atti compiuti”.

3.7. Decadenza dall’impugnazione

Intervenendo sul primo comma dell’art. 327 del codice di procedura civile, la L. n. 69 del 2009 dispone la riduzione da un anno a sei mesi del termine – decorrente dalla pubblicazione della sentenza – entro cui, in assenza di notifica della sentenza stessa, è possibile proporre l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione per i motivi indicati nei nn. 4) e 5) dell’art. 395 del codice di procedura civile (revocazione ordinaria).
La norma si applica anche al processo tributario per effetto del richiamo di cui agli artt. 38 e 49 del D.Lgs. n. 546 del 1992.
La novità in esame non incide sul termine lungo previsto per la revocazione della sentenza della Corte di Cassazione ex art. 391-bis del codice di procedura civile, che non ha subito modifiche.

3.8. Luogo di notificazione dell’impugnazione

La modifica di cui all’art. 330, comma 1, del codice di procedura civile vale a precisare che, qualora la parte nell’atto di notificazione della sentenza abbia dichiarato la sua residenza o eletto domicilio nella circoscrizione del giudice che l’ha pronunciata, l’impugnazione deve essere notificata nel luogo così indicato; altrimenti, l’impugnazione si notifica “ai sensi dell’art. 170”, ossia presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio
L’art. 330 del codice di procedura civile è applicabile al processo tributario (cfr. Cass., SS.UU., 15 dicembre 2008, n. 29290; Cass., Sez. trib., 18 novembre 2009, n. 24302); nei casi dubbi, gli uffici valutano l’opportunità di notificare l’impugnazione anche ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 546 del 1992, ossia anche presso il domicilio eletto dalla parte.

3.9. Domande ed eccezioni nuove

La novità introdotta dalla modifica di cui all’art. 345, comma 3, del codice di procedura civile è rappresentata dal divieto esplicito della produzione di nuovi documenti in appello.
La disposizione non si applica al processo tributario in quanto prevale la norma speciale contenuta nell’art. 58, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, secondo cui “È fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti”; ne consegue che nel processo tributario le parti mantengono la facoltà di produrre nuovi documenti nel grado di appello.

3.10. Rimessione al primo giudice per ragioni di giurisdizione

All’art. 353, comma 2, del codice di procedura civile il termine entro cui le parti devono riassumere il processo nel caso di rinvio da parte del giudice dell’appello al giudice di primo grado che abbia denegato la propria giurisdizione, è stato ridotto da sei a tre mesi decorrenti dalla notificazione della sentenza d’appello.
Tale disposizione non trova applicazione nel processo tributario in quanto l’art. 59, comma 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, rubricato “Rimessione alla commissione provinciale”, prevede espressamente che “Dopo che la sentenza di rimessione della causa al primo grado è formalmente passata in giudicato, la segreteria della commissione tributaria regionale, nei successivi trenta giorni, trasmette d’ufficio il fascicolo del processo alla segreteria della commissione tributaria provinciale, senza necessità di riassunzione ad istanza di parte”.

3.11. Provvedimenti sulle spese

La L. n. 69 del 2009 ha abrogato il comma 4 dell’art. 385 del codice di procedura civile, che consentiva alla Corte di Cassazione di condannare, anche d’ufficio, la parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata qualora abbia proposto il ricorso o vi abbia resistito anche solo con colpa grave.
L’abrogazione si spiega in ragione della modifica, apportata dall’art. 45 della L. n. 69 del 2009, all’art. 96 del codice di procedura civile (vd. commento al punto 2.9), per effetto della quale si è inteso generalizzare il principio secondo cui il giudice, in sede di pronuncia sulle spese, può condannare, anche d’ufficio – e quindi non più soltanto a seguito di istanza di parte – il soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore di controparte.

3.12. Riassunzione della causa

Per effetto della modifica apportata all’art. 392, comma 1, del codice di procedura civile, nell’ipotesi in cui la Corte di Cassazione abbia accolto il ricorso rinviando la causa ad altro giudice di grado pari a quello che ha pronunciato la sentenza cassata, il termine previsto per la riassunzione del giudizio non è più di un anno, bensì di tre mesi, decorrenti dalla data di deposito della sentenza della Corte di cassazione.
Al riguardo si evidenzia che il novellato art. 392, comma 1, del codice di procedura civile non si applica al processo tributario in quanto prevale la norma speciale contenuta nell’art. 63 del D.Lgs. n. 546 del 1992.
Ne consegue che nel processo tributario il termine previsto per la riassunzione del giudizio è di un anno dal deposito della sentenza.

4. Modifiche alla disciplina del giudizio in Cassazione

L’art. 47 della L. n. 69 del 2009 ha modificato ulteriormente il libro secondo del codice di procedura civile; in particolare:

– ha introdotto l’art. 360-bis (Inammissibilità del ricorso);
– ha abrogato l’art. 366-bis (Formulazione dei motivi).

4.1. Inammissibilità del ricorso

Il nuovo art. 360-bis del codice di procedura civile introduce un filtro per l’accesso al giudizio di legittimità, assicurato dalla previsione di due nuove ipotesi di inammissibilità del ricorso per cassazione, che sostituiscono quelle previste dall’ormai abrogato art. 366-bis del codice di procedura civile.
Più precisamente, le nuove ipotesi di inammissibilità del ricorso per cassazione ricorrono quando:

1) il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;
2) è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo.

4.2. Formulazione dei motivi

Con l’abrogazione dell’art. 366-bis del codice di procedura civile, a suo tempo introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, non è più contemplata l’inammissibilità del ricorso per cassazione conseguente alla omessa o non chiara formulazione del quesito di diritto o indicazione del fatto controverso.

5. Notificazione degli atti civili, amministrativi e stragiudiziali da parte dell’Avvocatura dello Stato

L’art. 55 della L. n. 69 del 2009 ha modificato la disciplina della notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali da parte dell’Avvocatura dello Stato, alla quale viene riconosciuta la possibilità di avvalersi delle modalità semplificate di notifica previste per gli avvocati del libero foro.
In particolare, il citato art. 55 ha previsto che le notificazioni possano essere eseguite dall’Avvocatura dello Stato ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53.
Allo scopo è prevista l’istituzione di un registro cronologico, numerato e vidimato ai sensi di legge, per ciascuna Avvocatura distrettuale e per l’Avvocatura generale dello Stato.

6. Modifiche ai giudizi di opposizione alle sanzioni amministrative

A norma dell’art. 23 della L. n. 689 del 1981, in materia di opposizione a sanzioni amministrative, il ricorso in opposizione all’ordinanza­ingiunzione ed il decreto di fissazione dell’udienza devono essere notificati, a cura della Cancelleria, sia all’opponente sia all’autorità che ha emesso l’ordinanza.
L’art. 56 della L. n. 69 del 2009 ha aggiunto un periodo al comma 2 del citato art. 23 della L. n. 689 del 1981 statuendo l’equivalenza tra la prova scritta della conoscenza del ricorso e del decreto e la notifica degli stessi.
Prima della modifica in commento risultava, invece, irrilevante che l’amministrazione opposta avesse avuto notizia del ricorso stesso, attraverso l’ordine del giudice di depositare la documentazione di cui al comma 2 dell’art. 23, posto che tale ordine non equivaleva alla notifica prescritta dal medesimo comma 2 (Cass., Sez. I, 6 agosto 2004, n. 15243).
Per quanto di competenza dell’Agenzia delle Entrate, la modifica rileva soprattutto nei giudizi di opposizione in materia di sanzioni per lavoro irregolare o per utilizzo di dipendenti pubblici senza la prescritta autorizzazione (cfr. circolari n. 56/E del 24 settembre 2008 e n. 25/E del 21 marzo 2002; Corte Cost., 14 maggio 2008, n. 130).

7. Disposizioni transitorie

L’art. 58, comma 1, della L. n. 69 del 2009 stabilisce che le modifiche al codice di procedura civile e alle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data della sua entrata in vigore (per la definizione di giudizio tributario pendente si rinvia ai documenti di prassi citati al punto 2.2 della presente circolare).
In proposito si evidenzia che “… per ‘giudizio’ si intende … non il grado, bensì l’intero processo – come ritenuto dalla prevalente giurisprudenza, anche successiva, di questa Corte (ex multis, Cass. n. 3999/1998, n. 1358/1999, n. 13147/2003, n. 16347/2004) – in mancanza di specificazioni, da parte del legislatore, che possano collegare l’espressione usata ad una singola fase del procedimento (Cass. n. 1358/1999, citata)” (Cass., Sez. I, 12 maggio 2006, n. 11006).
Al riguardo si ricorda che il giudizio tributario si considera instaurato alla data di notifica del ricorso e non a quella di deposito.
Tuttavia, gli uffici, in via prudenziale, considereranno dimezzato il termine lungo di impugnazione di cui al modificato art. 327 del codice di procedura civile anche in riferimento ai ricorsi notificati in primo grado anteriormente al 4 luglio 2009 e depositati successivamente alla predetta data.
Vi sono varie eccezioni al predetto principio generale che vengono indicate, per quanto interessa in questa sede, nei punti successivi.

7.1. Giudizi pendenti al 1° marzo 2006

L’art. 58, comma 3, della L. n. 69 del 2009 prevede che le disposizioni in materia di computo dei termini, di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 155 del codice di procedura civile, si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data del 1° marzo 2006.
Con circolare n. 56/E del 24 ottobre 2007 è stato chiarito che le modifiche apportate ai commi quinto e sesto dell’art. 155 del codice di procedura civile dall’art. 2, comma 1, lettera f), della L. 28 dicembre 2005, n. 263, si applicavano ai processi instaurati in primo grado dopo il 1° marzo 2006.
L’art. 58, comma 3, della L. n. 69 del 2009 ha esteso l’ambito di applicazione dell’art. 155 del codice di procedura civile anche ai procedimenti già pendenti il 1° marzo 2006.
Conseguentemente, anche ai processi incardinati fino al 1° marzo 2006 deve ritenersi applicabile la regola secondo cui i termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono nella giornata del sabato sono prorogati di diritto al primo giorno seguente non festivo.
In proposito si precisa che “l’effetto dell’art. 59 (recte: 58, n.d.r.), comma 3 è soltanto quello di far cessare l’ultrattività del regime del vecchio art. 155 del codice di procedura civile (senza il quinto comma, che ora vi figura), già sancita indefinitamente per i processi iniziati prima del 1 marzo 2006 dalla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 4, con riferimento ai termini che verranno a scadenza per detti processi dopo la data di entrata in vigore dello stesso art. 59 (recte: 58, n.d.r.). La detta ultrattività resterà immutata, invece, per i termini che risulteranno già consumati, cioè già scaduti prima di essa” (Cass., Sez. III, 3 luglio 2009, n. 15636).

7.2. Giudizi nei quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione, depositato successivamente alla data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009

A norma dell’art. 58, comma 5, della L. n. 69 del 2009, le disposizioni relative all’introduzione dell’art. 360-bis del codice di procedura civile ed all’abrogazione dell’art. 366-bis del codice di procedura civile si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione, depositato successivamente alla data di entrata in vigore L. n. 69 del 2009.

7.3. Ricorsi riuniti

Per il caso di riunione di ricorsi, di cui solo alcuni sottoposti alla disciplina dettata dalla L. n. 69 del 2009, mancano disposizioni speciali.
Né è maturata una univoca posizione giurisprudenziale sulla natura dei ricorsi riuniti e sulla relativa disciplina applicabile.
Da un lato, parte della giurisprudenza di legittimità afferma che i ricorsi riuniti dal giudice, benché istruiti e decisi congiuntamente, mantengono la propria autonomia, così che la pronuncia del giudice, pur essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise e ciascuna pronuncia è impugnabile con il mezzo che le è proprio. In tal senso: Cass., Sez. III, 14 marzo 1988, n. 2425; Cass., Sez. I, 7 settembre 1991, n. 9430; Cass., Sez. V, 10 settembre 2004, n. 18271. In particolare, la richiamata sentenza n. 9430 del 1991 ha chiarito che: “… l’opportunità e l’esigenza processuale della riunione delle cause non possono influire sulla loro individualità e distinzione anche con riferimento alle regole processuali applicabili a ciascuna di esse”.
Secondo un diverso orientamento giurisprudenziale, invece, una volta disposta la riunione, i ricorsi perdono la loro autonomia, stante l’impossibilità di configurare una duplicità di termini di impugnazione per una stessa parte (cfr. Cass., Sez. lav., 7 marzo 1990, n. 1783).
Ciò premesso, nei casi di riunione dei ricorsi, al fine di evitare possibili declaratorie di inammissibilità da parte della Commissione tributaria adita in relazione alla disciplina applicabile, gli uffici faranno applicazione, in via prudenziale, della disciplina più restrittiva (ad esempio, con riferimento alle impugnazioni di cui all’art. 327, comma 1, del codice di procedura civile, applicheranno la disciplina prevista dalla L. n. 69 del 2009, la quale ha disposto la riduzione del termine lungo di impugnazione da un anno a sei mesi).

8. Translatio iudicii

L’art. 59 della L. n. 69 del 2009 detta disposizioni in materia di risoluzione delle questioni di giurisdizione, volte a conservare gli effetti sostanziali e processuali della domanda rivolta ad un giudice privo di giurisdizione, quando il processo sia poi proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione.
Detto art. tiene conto degli orientamenti espressi dalla Corte costituzionale (Corte Cost., 12 marzo 2007, n. 77) e dalla Corte di Cassazione (Cass., SS.UU., 22 febbraio 2007, n. 4109; Cass., SS.UU., 28 febbraio 2007, n. 4636) in materia di translatio iudicii.
In merito alla translatio iudicii si rinvia ai chiarimenti forniti con circolare n. 56/E del 24 settembre 2008, che ha recepito l’orientamento della Corte Costituzionale sulle controversie in materia di sanzioni irrogate per violazioni di norme non tributarie dagli uffici finanziari (Corte cost., 14 maggio 2008, n. 130).
L’articolo in argomento non modifica il codice di procedura civile e fa espressamente salva la disciplina dell’istituto del regolamento preventivo di giurisdizione di cui all’art. 41 del codice di procedura civile.
Ai sensi del citato art. 59, comma 1, il giudice che, in sede civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudizi speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. La pronuncia sulla giurisdizione resa dalle sezioni unite della Corte di Cassazione è vincolante per ogni giudice e per le parti, anche in altro processo.
I commi successivi riguardano gli aspetti procedurali e gli effetti conseguenti alla declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice adito; in particolare:

– se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia con cui viene dichiarato il difetto di giurisdizione, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. La domanda si ripropone con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile;
– se le sezioni unite della Corte di Cassazione non si sono già pronunciate in ordine alla specifica questione di giurisdizione, il giudice davanti al quale la causa è riassunta può sollevare d’ufficio, con ordinanza, tale questione davanti alle medesime sezioni unite, fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito, ferme restando in ogni caso le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione.

I termini fissati per la riassunzione o prosecuzione del giudizio sono perentori e la loro inosservanza comporta l’estinzione del processo, che è dichiarata anche d’ufficio. In ogni caso, l’estinzione impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda.
Le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate nel giudizio “traslato” come argomenti di prova che, in quanto tali, possono influire sulla decisione del giudice.

9. Modifiche al ricorso straordinario al Capo dello Stato

In materia di rimedi giustiziali del privato contro la pubblica amministrazione, l’art. 69 della L. n. 69 del 2009 ha modificato gli artt. 13, comma 1, e 14 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199.
Il nuovo art. 13, comma 1, prevede la sospensione del procedimento per l’emanazione del parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ogniqualvolta risulti pregiudiziale la risoluzione di una questione di legittimità costituzionale non manifestamente infondata.
Secondo la nuova versione dell’art. 14, la decisione sul ricorso straordinario deve obbligatoriamente conformarsi al parere del Consiglio di Stato, essendo stata soppressa la facoltà del Ministro competente di sottoporre al Consiglio dei Ministri una decisione difforme.
Al riguardo si evidenzia che in materia tributaria non è ammesso il ricorso straordinario al Capo dello Stato, in quanto la giurisdizione delle commissioni tributarie è esclusiva ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992. Il Consiglio di Stato in sede consultiva, invero, ha precisato che il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica non è esperibile nei casi in cui la competenza assegnata ad un plesso giurisdizionale sia di carattere funzionale ed
inderogabile, in quanto “La devoluzione della materia ad un determinato giudice con carattere di esclusività preclude la proponibilità del ricorso straordinario” (cfr. Consiglio di Stato, adunanza generale del 10 giugno 1999).
Inoltre, con il parere n. 633 del 24 giugno 1986, lo stesso Consiglio di Stato si è espresso nel senso di ritenere la giurisdizione della Commissioni tributarie “esclusiva”, con la conseguenza che la proposizione dell’azione innanzi ad altro organo giurisdizionale o amministrativo comporta l’inammissibilità dell’istanza. Tale orientamento è stato confermato in più occasioni (vd., fra i tanti pareri del Consiglio di Stato, Sez. III, 14 giugno 1994, n. 1495; 14 maggio 2002, n. 199; 5 luglio 2005, n. 9443).