Corte di Cassazione – Ordinanza n. 2232 del 30 gennaio 2018

ORDINANZA

sul ricorso 23693/2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 297/2011 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE, depositata il 18/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/06/2017 dal Consigliere Dott. PIETRO CAMPANILE.

FATTI DI CAUSA

Con la decisione indicata in epigrafe la CTR della Toscana ha confermato la sentenza della CTP di Arezzo n. 23/03/2009, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla S.r.l. (OMISSIS), ora S.r.l. Societa’ (OMISSIS), avverso l’avviso di liquidazione, con irrogazione di sanzioni, relativo all’accertamento del credito vantato dal debitore esecutato (OMISSIS) nei confronti della Societa’ pignorata Europa, nell’ambito di una procedura esecutiva presso terzi intrapresa della predetta S.r.l. (OMISSIS) davanti al Tribunale di Arezzo. In particolare, si e’ condivisa la tesi secondo cui, essendo il credito vantato dalla societa’ ricorrente soggetto ad IVA, in applicazione dell’articolo 8, comma 1, della tariffa del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, l’atto avrebbe dovuto essere sottoposto a tassa fissa.

Per la cassazione di tale decisione l’Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidato a due motivi.

La parte intimata non svolge attivita’ difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha disposto, in conformita’ al Decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Con il primo motivo l’Amministrazione deduce violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 8, comma 1, lettera b), articoli 40 e 37 e della relativa Tariffa, nonche’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articoli 51 e 52, sostenendo che – come affermato costantemente dalla giurisprudenza di legittimita’ – nelle ipotesi di accertamento dell’esistenza o dell’ammontare di un credito pignorato, la sentenza che definisca il relativo giudizio e’ assoggettata all’imposta di registro in misura proporzionale, e che quindi la decisione impugnata sarebbe sotto tale profilo erronea.

Con il secondo mezzo si denuncia motivazione insufficiente e contraddittoria, per essersi giustificata in maniera incongrua la tassabilita’ dell’atto a tassa fissa.

Il ricorso e’ inammissibile.

Deve invero rilevarsi che, a fronte di una sentenza depositata in data 18 luglio 2011, il ricorso risulta notificato, presso lo studio del procuratore costituito, in data 22 novembre 2012, ben oltre il termine previsto dall’articolo 327 c.p.c.. Per il vero e’ stato prodotto un documento attestante un tentativo di notifica effettuato il 18 ottobre 2012, non andato a buon fine per “irreperibilita’ del destinatario”, evidentemente a causa del trasferimento dello studio di detto procuratore. Deve in proposito trovare applicazione il principio secondo cui la notifica presso il domicilio dichiarato nel giudizio “a quo”, che abbia avuto esito negativo perche’ il procuratore si sia successivamente trasferito altrove, non ha alcun effetto giuridico, dovendo essere effettuata al domicilio reale del procuratore (quale risulta dall’albo, ovvero dagli atti processuali) anche se non vi sia stata rituale comunicazione del trasferimento alla controparte, poiche’ il dato di riferimento personale prevale su quello topografico, e non sussiste alcun onere del procuratore di provvedere alla comunicazione del cambio di indirizzo, tale onere essendo previsto, infatti, per il domicilio eletto autonomamente, mentre l’elezione operata dalla parte presso lo studio del procuratore ha solo la funzione di indicare la sede dello studio del procuratore, sicche’ costituisce onere del notificante l’effettuazione di apposite ricerche atte ad individuare il luogo di notificazione.

Siffatto onere non si pone affatto in contrasto con gli articoli 3 e 24 Cost., potendo essere svolta agevolmente l’attivita’ di ricerca posta a carico della parte, sicche’ non e’ configurabile alcuna lesione del canone della ragionevolezza ne’ alcuna limitazione del diritto di difesa (Cass., 7 giugno 2017, n. 14083; Cass., 25 luglio 2007, n. 12215; Cass., 15 febbraio 2006, n. 3308; Cass., 23 gennaio 2003, n. 1010).

Non si provvede in merito alle spese, non avendo la parte intimata svolto attivita’ difensiva.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.