Corte di Cassazione – Sentenza n. 17048 del 11 luglio 2017

SENTENZA

sul ricorso 25476-2015 proposto da:

(OMISSIS) ;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 679/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/12/2016 dal Consigliere Dott. COSIMO D’ARRIGO;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per l’inammissibilita’ o rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La (OMISSIS) s.r.l. propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale il Tribunale di Lecco le aveva ingiunto il pagamento, in favore di (OMISSIS), della somma di Euro 11.666,69, oltre interessi e spese di procedimento a titolo di canoni insoluti relativi al contratto di locazione intercorso tra le parti, avente ad oggetto un capannone industriale sito in (OMISSIS).

L’opponente dedusse che in base alle pattuizioni contrattuali l’immobile doveva “essere adibito dalla conduttrice ad uso artigianale-commerciale per la produzione, assemblaggio, stoccaggio di impianti per il sollevamento a terra ed in acqua di natanti in genere, nonche’ commercializzazione e assistenza tecnica dei prodotti stessi”; che, avendo la necessita’ di effettuare all’interno dell’immobile alcuni interventi per renderlo confacente alle proprie esigenze commerciali, presento’ al Comune di Garlate apposita richiesta; che il Comune non assenti’ all’intervento, in quanto in contrasto con le previsioni del P.R.G., posto che l’immobile risultava essere inserito all’interno di una zona ad esclusiva destinazione residenziale; che tale circostanza, sconosciuta prima di allora alla societa’ conduttrice, integrava gli estremi dell’errore (o del dolo) idonei ad annullare il contratto di locazione; che, in via subordinata, era ravvisabile l’inadempimento di parte locatrice per l’inidoneita’ dell’immobile all’uso contrattuale; che aveva subito ingenti danni, riguardanti le spese sostenute per l’impianto dell’attivita’, rese vane dall’inutilizzabilita’ dell’immobile.

Nel giudizio si costitui’ il (OMISSIS), chiedendo la condanna dell’opponente all’adempimento del contratto con il pagamento dei canoni insoluti.

Il Tribunale di Lecco, con sentenza del 6 marzo 2013, revoco’ il decreto ingiuntivo oggetto di opposizione; condanno’ la parte opponente al pagamento in favore del (OMISSIS) dei canoni insoluti, da marzo ad agosto 2010, per complessivi 10.000,00, oltre interessi legali dalle singole scadenza al saldo; compenso’ tra le parti le spese di lite.

La decisione venne appellata dalla (OMISSIS) s.r.l. Il (OMISSIS) chiese il rigetto dell’impugnazione e, in via incidentale, la condanna di (OMISSIS) S.r.l. all’integrale esecuzione delle opere di manutenzione, miglioria e addizione descritte all’articolo 12 del contratto di locazione, ovvero, nel caso di rifiuto di eseguirle, all’integrale rifusione delle spese da sostenersi per farle realizzare da terzi, nonche’ al risarcimento dei danni conseguenti al mancato adempimento e al pagamento di tutti i canoni successivamente scaduti.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 19 marzo 2015, ha rigettato l’appello principale e, in parziale accoglimento di quello incidentale, ha condannato la (OMISSIS) s.r.l. all’integrale esecuzione delle opere descritte all’articolo 12 del contratto di locazione, salva rivalsa del (OMISSIS) per le spese eventualmente affrontate in surroga in caso di inottemperanza.

Contro tale decisione ricorre per la cassazione la (OMISSIS) s.r.l., articolando tre motivi di censura. Il (OMISSIS) resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive ex articolo 378 cod. proc. civ..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Occorre anzitutto esaminare l’eccezione di tardivita’ del ricorso formulata dal controricorrente.

L’eventuale fondatezza della stessa, infatti, comporterebbe l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza impugnata e la questione del giudicato va esaminata per prima, in quanto investe l’esistenza stessa del potere decisorio (cfr. Sez. U, Sentenza n. 15612 del 10/07/2006, Rv. 590180; Sez. 2, Ordinanza n. 15362 del 10/06/2008, Rv. 603865).

Il (OMISSIS) deduce che la sentenza d’appello e’ stata notificata alla (OMISSIS) s.r.l. presso la cancelleria della Corte d’appello di Milano in data 11 giugno 2015 e che, pertanto, il termine per proporre ricorso per cassazione sarebbe scaduto il successivo 10 settembre, laddove il ricorso e’ stato effettivamente notificato in data 22 ottobre 2015. La notificazione presso la cancelleria si giustificherebbe in considerazione dell’omessa elezione, da parte della (OMISSIS) s.r.l., di domicilio in (OMISSIS).

La societa’ ricorrente sostiene, invece, che la controparte non avrebbe potuto notificare la sentenza presso la cancelleria della corte d’appello, avendo l’onere di procedere alla notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata risultante in atti.

Il (OMISSIS) replica che, nell’atto di appello della (OMISSIS) s.r.l., l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore era indicato solamente quale recapito per le comunicazioni di cancelleria (“…quali recapiti cui la Cancelleria potra’ effettuare tutte le comunicazioni previste dalla Legge”) e che questa espressa puntualizzazione escludeva la possibilita’ di utilizzare il recapito elettronico anche per le notificazioni a cura di parte.

1.2. L’eccezione e’ infondata.

Infatti, la notificazione della sentenza impugnata alla (OMISSIS) s.r.l. presso la cancelleria della corte d’appello e’ nulla e, di conseguenza, e’ inidonea a determinare la decorrenza del termine per l’impugnazione previsto dall’articolo 325 cod. proc. civ..

Il ricorso, notificato nei termini di cui all’articolo 327 cod. proc. civ., e’ pertanto tempestivo.

1.3. La (OMISSIS) s.r.l. ha eletto domicilio, ai fini del giudizio di appello, in Lecco.

Ricorrerebbero, dunque, le condizioni alle quali – ai sensi del Regio Decreto 22 gennaio 1934, n. 37, articolo 82, comma 2, (Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore) – la (OMISSIS) s.r.l. avrebbe dovuto considerarsi domiciliata ex lege presso la cancelleria della Corte d’appello di Milano.

Sennonche’ la portata di tale disposizione in commento deve essere oggi raccordata con la disciplina del c.d. “domicilio telematico” e delle notificazioni a mezzo di posta elettronica certificata (PEC).

Le Sezioni unite hanno infatti osservato che, a partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli articoli 125 e 366 cod. proc. civ., apportate dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, articolo 25, esigenze di coerenza sistematica e d’interpretazione costituzionalmente orientata inducono a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorita’ giudiziaria innanzi alla quale e’ in corso il giudizio, ai sensi del Regio Decreto n. 37 del 1934, articolo 82, consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’articolo 125 cod. proc. civ. per gli atti di parte e dall’articolo 366 cod. proc. civ. specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine (Sez. U, Sentenza n. 10143 del 20/06/2012, Rv. 622883).

1.4. Successive pronunce di questa Corte hanno tuttavia ridimensionato il rilievo della “elezione” (in senso improprio) del domicilio telematico. E’ stato affermato, infatti, che, mentre l’indicazione della PEC senza ulteriori specificazioni e’ idonea a far scattare l’obbligo del notificante di utilizzare la notificazione telematica, non altrettanto puo’ affermarsi nell’ipotesi in cui l’indirizzo di posta elettronica sia stato indicato in ricorso per le sole comunicazioni di cancelleria (Sez. 6 – 3, Sentenza n. 25215 del 27/11/2014, Rv. 633275; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 2133 del 03/02/2016, Rv. 638920, in motivazione).

Alla stregua del citato orientamento, il (OMISSIS) non avrebbe avuto alcun onere di notificare la sentenza a mezzo di PEC, giacche’ il difensore della (OMISSIS) s.r.l. aveva indicato il proprio indirizzo PEC solamente ai fini delle comunicazioni di cancelleria. Conseguentemente, la notificazione della sentenza presso la cancelleria della Corte d’appello di Milano sarebbe stata idonea a determinare il decorso del termine “breve” per l’impugnazione (articolo 325 cod. proc. civ.).

Il citato orientamento traeva spunto dal tenore dell’articolo 125 cod. proc. civ., comma 1, come modificato dal Decreto Legge 13 agosto 2011, n. 138, articolo 2, comma 35-ter, convertito con modificazioni dalla L. 14 settembre 2011, n. 148 (c.d. Decreto sviluppo) secondo cui, negli atti di parte, “il difensore deve, altresi’, indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio numero di fax”.

In epoca pressoche’ coeva, la L. 12 novembre 2011, n. 183 (Legge di stabilita’ 2012), ha modificato anche l’articolo 366 cod. proc. civ., in tema di giudizio di cassazione, prevedendo che il ricorrente debba eleggere domicilio in Roma ovvero indicare in ricorso l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine; in mancanza, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione.

Questi interventi legislativi, evidentemente volti ad incentivare l’uso degli strumenti informatici nel processo civile, risultavano pero’ scarsamente coordinati fra di loro e con le regole preesistenti in materia di notificazioni telematiche.

E’ in tale quadro normativo che si collocano le vicende processuali costituenti oggetto delle pronunce di questa Corte precedentemente citate.

1.5. Tali conclusioni, pero’, non sono piu’ attuali.

Dopo tali pronunce, infatti, la disciplina delle notificazioni telematiche e’ stata ulteriormente modificata.

Anzitutto, l’articolo 125 cod. proc. civ. e’ stato nuovamente rimaneggiato, ad opera del Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90, articolo 45-bis, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari). La modifica e’ consistita, per l’appunto, nella soppressione dell’obbligo di indicare negli atti di parte l’indirizzo PEC del difensore.

Inoltre, il Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, ha aggiunto al Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221; c.d. Agenda digitale), l’articolo 16-sexies, intitolato “Domicilio digitale”. La disposizione prevede che, “salvo quanto previsto dall’articolo 366 cod. proc. civ., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalita’ puo’ procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82, articolo 6-bis, nonche’ dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia”.

Il menzionato Decreto Legislativo n. 82 del 2005, articolo 6-bis (Codice dell’amministrazione digitale) prevede l’istituzione, presso il Ministero per lo sviluppo economico, di un pubblico elenco denominato Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti. L’indirizzo di posta elettronica certificata e’ “agganciato” in maniera univoca al codice fiscale del titolare.

In conclusione, oggi l’unico indirizzo di posta elettronica certificata rilevante ai fini processuali e’ quello che il difensore ha indicato, una volta per tutte, al Consiglio dell’ordine di appartenenza.

In tal modo, l’articolo 125 cod. proc. civ. e’ stato allineato alla normativa generale in materia di domicilio digitale. Il difensore non ha piu’ l’obbligo di indicare negli atti di parte l’indirizzo di posta elettronica certificata, ne’ la facolta’ di indicare uno diverso da quello comunicato al Consiglio dell’ordine o di restringerne l’operativita’ alle sole comunicazioni di cancelleria. Il difensore deve indicare, piuttosto, il proprio codice fiscale; cio’ vale come criterio di univoca individuazione dell’utente SICID e consente, tramite il registro pubblico UNI-PEC, di risalire all’indirizzo di posta elettronica certificata.

1.6. Resta invece fermo il contenuto dell’articolo 366 cod. proc. civ., comma 2, che, limitatamente al giudizio di cassazione, che prevede la domiciliazione ex lege del difensore presso la cancelleria della Corte nel caso in cui non abbia eletto domicilio nel comune di Roma, ne’ abbia indicato il proprio indirizzo di posta elettronica.

1.7. In conclusione, oggi ciascun avvocato e’ munito di un proprio “domicilio digitale”, conoscibile da parte dei terzi attraverso la consultazione dell’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) e corrispondente all’indirizzo PEC che l’avvocato ha indicato al Consiglio dell’ordine di appartenenza e da questi e’ stato comunicato al Ministero della giustizia per l’inserimento nel registro generale degli indirizzi elettronici.

Tale disciplina implica un considerevole ridimensionamento dell’ambito applicativo del Regio Decreto n. 37 del 1934, articolo 82.

Infatti, come si e’ visto, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria e’ oggi prevista solamente nelle ipotesi in cui le comunicazioni o le notificazioni della cancelleria o delle parti private non possano farsi presso il domicilio telematico per causa imputabile al destinatario. Nelle restanti ipotesi, ovverosia quando l’indirizzo PEC e’ disponibile, e’ fatto espresso divieto di procedere a notificazioni o comunicazioni presso la cancelleria, a prescindere dall’elezione o meno di un domicilio “fisico” nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la causa.

Residua, tuttavia, un ristretto margine di applicazione del Regio Decreto n. 37 del 1934, articolo 82. Si tratta del caso in cui l’uso della PEC e’ impossibile per causa non imputabile al destinatario. In tale ipotesi, le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni degli atti vanno effettuate nelle forme ordinarie, ai sensi degli articoli 136 ss. cod. proc. civ.: solamente in tale eventualita’ assume rilievo – ai fini del Regio Decreto n. 37 del 1934, articolo 82 cit., comma 2, – l’omessa elezione del domicilio “fisico” nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario.

1.8. In conclusione, a seguito dell’introduzione dell’istituto del “domicilio digitale” previsto dal Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179, articolo 16-sexies (cosi’ come modificato dal Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114), non e’ piu’ possibile procedere – ai sensi del Regio Decreto 22 gennaio 1934, n. 37, articolo 82 – alle comunicazioni o alle notificazioni presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi a cui pende la lite, anche se il destinatario ha omesso di eleggere il domicilio nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la causa, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra altresi’ la circostanza che l’indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario.

1.9. Nel caso di specie, la notificazione della sentenza di appello presso la cancelleria della Corte d’appello di Milano e’ avvenuta in data 11 giugno 2015 e quindi successivamente all’introduzione nel nostro ordinamento processuale del “domicilio digitale”.

Consegue che la notificazione deve considerarsi nulla (non inesistente; v. Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016, Rv. 640603; conf. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 2174 del 27/01/2017, Rv. 642740), in quanto eseguita presso la cancelleria della corte d’appello nonostante il divieto posto dal Decreto Legge n. 179 del 2012, articolo 16-sexies cit..

Alla nullita’ della notificazione consegue l’inidoneita’ della stessa a far decorrere il termine di impugnazione di cui all’articolo 325 cod. proc. civ., con la conseguenza che il ricorso proposto dalla (OMISSIS) s.r.l. prima della scadenza del termine “lungo” previsto dall’articolo 327 cod. proc. civ. e’ tempestivo.

2. Verificata l’ammissibilita’ e la tempestivita’ del ricorso, deve passarsi all’esame delle censure che esso muove alla sentenza impugnata.

Il ricorso e’ infondato.

3. Con il primo motivo si deduce che la destinazione d’uso menzionata nel contratto non poteva non essere intesa come esplicativa di un impegno del locatore a garantire l’idoneita’ dell’immobile allo svolgimento della programmata attivita’ industriale. L’immobile ricadeva ab origine in zona residenziale, sicche’ era ivi vietata ogni attivita’ artigianale o commerciale, per la quale invece l’immobile era stato concesso in locazione. Non si tratterebbe dunque di verificare le caratteristiche del bene e la loro adeguatezza a quanto richiesto per lo svolgimento dell’attivita’ che il conduttore intendeva esercitarvi, bensi’ una sostanziale impossibilita’ assoluta di svolgere l’attivita’ espressamente dedotta nel contratto di locazione. Conseguentemente il contratto andrebbe in via principale annullato (per errore o dolo) e subordinatamente risolto.

La censura e’ inammissibile nella parte in cui deduce un vizio di motivazione, poiche’ com’e’ noto l’insufficienza o la contraddittorieta’ della motivazione non sono piu’ previsti dall’articolo 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5), come motivi di ricorso per cassazione, con riferimento alle sentenze pubblicate dall’11 settembre 2012. L’ammissibilita’ della censura non e’ recuperata dal riferimento, contenuto nel titolo del motivo in esame, ad un “fatto controverso e decisivo per il giudizio”, in quanto la societa’ ricorrente non si duole del mancato esame dello stesso, bensi’ – come si e’ detto – dell’insufficiente e della contraddittorieta’ della motivazione sul punto.

Il motivo e’ infondato anche con riferimento alle dedotte violazioni di legge.

Le parti avevano espressamente previsto l’ipotesi dell’inidoneita’ dell’immobile allo scopo, qualificando come motivo di recesso l’eventuale diniego delle autorizzazioni e concessioni richieste dalla legge ai fini dello svolgimento dell’attivita’ programmata dal conduttore (v. pag. 5 della sentenza impugnata). Deve pertanto escludersi che il contratto sia viziato da errore o dolo consistito nell’omessa rappresentazione dell’inidoneita’ dell’immobile allo scopo previsto. Peraltro, mentre l’eventualita’ era stata espressamente considerata dalle parti nel regolamento negoziale, la certezza dell’inidoneita’ dell’immobile allo scopo e’ stata acquisita – secondo la valutazione di merito della corte d’appello – nel corso del giudizio.

Per le medesime ragioni non sussiste la violazione dell’articolo 1453 cod. civ. per inadempimento.

Infatti, nella locazione di immobili per uso diverso da quello abitativo, convenzionalmente destinati ad una attivita’ il cui esercizio richieda specifici titoli autorizzativi dipendenti anche dalla situazione edilizia del bene (abitabilita’ dello stesso e sua idoneita’ all’esercizio di un’attivita’ commerciale), l’inadempimento del locatore puo’ configurarsi quando la mancanza di tali titoli dipenda da carenze intrinseche o da caratteristiche proprie del bene locato, si’ da impedire in radice il rilascio degli atti amministrativi necessari e, quindi, l’esercizio lecito dell’attivita’ del conduttore conformemente all’uso pattuito, ovvero quando il locatore abbia assunto l’obbligo specifico di ottenere i necessari titoli abilitativi, restando invece escluso allorche’ il conduttore abbia conosciuta e consapevolmente accettata l’impossibilita’ di ottenerli (Sez. 3, Sentenza n. 15377 del 26/07/2016, Rv. 641148; v. pure Sez. 3, Sentenza n. 666 del 18/01/2016, Rv. 638364; Sez. 3, Sentenza n. 13651 del 16/06/2014, Rv. 631823).

4. Con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione e la violazione di legge in ordine all’omessa rilevazione, anche d’ufficio, della nullita’ del contratto per il combinato disposto di cui agli articoli 1418, 1343, 1344, 1345 e 1346 cod. civ.. Conseguentemente il locatore non avrebbe alcun diritto ne’ all’adempimento delle attivita’ manutentive previste dall’articolo 12 del contratto di locazione, ne’ alla corresponsione dei canoni.

Anche tale motivo e’ infondato. Infatti, a prescindere dalla questione della rilevabilita’ ex officio delle pretese nullita’ del contratto, queste ultime non emergono ex actis.

Deve infatti escludersi che il contratto di locazione presenti profili di illiceita’ della causa, invero neppure effettivamente specificati dal ricorrente, e tantomeno che allo stesso le parti si siano determinate in forza di un (non meglio precisato) motivo illecito e comune ad entrambe.

Quanto alla pretesa impossibilita’ dell’oggetto, e’ agevole rilevare che non ricorre tale vizio in caso di semplice inidoneita’ dell’immobile allo scopo pattuito. La pretesa inidoneita’ dell’immobile, infatti, e’ concetto che – sul piano logico e giuridico – presuppone che l’oggetto del contratto, ancorche’ in ipotesi inadatto all’attivita’ programmata dal conduttore, sia determinato o determinabile, possibile e lecito. Solo il difetto di tali requisiti, nella specie certamente ricorrenti, darebbe luogo alla dedotta nullita’, che quindi non sussiste.

Quanto al vizio motivazionale, si rinvia a quanto osservato in ordine al primo motivo.

5. Con il terzo motivo si censura, ancora una volta, la motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo, nonche’ la falsa applicazione della L. n. 72 del 1978, articolo 27 e degli articoli 1218 e ss., 1467 e 1468 cod. civ. Il Tribunale di Lecco avrebbe attribuito valore di recesso alla missiva con la quale la societa’ conduttrice comunicava al locatore l’impossibilita’ di proseguire il contratto stante il diniego del Comune alla concessione delle autorizzazioni necessarie per l’esecuzione degli interventi richiesti per espletare l’attivita’ industriale prevista. Conseguentemente, a tutto voler concedere, la condanna al pagamento del canone avrebbe dovuto essere limitata alle sole mensilita’ di marzo e aprile e ai primi otto giorni del mese di maggio dell’anno 2013. Dovrebbe essere altresi’ annullata la condanna all’esecuzione dei lavori, giacche’ questi non avevano natura commutativa ma, se mai, venivano considerati, come usualmente accade, nella determinazione del canone, appositamente calmierato stante l’obbligazione assunta da parte conduttrice.

Il motivo e’ inammissibile per genericita’ e difetto di autosufficienza.

Sotto quest’ultimo profilo basta osservare che la societa’ ricorrente non ha fornito alcuna indicazione circa il contenuto della missiva del 9 marzo 2010, cosi’ impedendo alla Corte di cassazione di delibare la censura.

Quanto al resto, la censura e’ generica, con particolare riferimento all’inespressa differenza che intercorrerebbe fra “prestazione commutativa” e “prestazione di cui si e’ tenuto conto nel calmierare il canone”. Si tratta, invero, di una distinzione introdotta dal ricorrente e formulata in termini talmente approssimativi da non potersene comprendere la portata, ne’ le conseguenze giuridiche.

6. In conclusione, il ricorso e’ rigettato.

Le spese del giudizio di legittimita’ vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’articolo 385 cod. proc. civ., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, sicche’ va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 7.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.