Agenzia delle Entrate – Circolare n. 43/E del 10 ottobre 2009

Emersione di attività detenute all’estero. Articolo 13-bis del decreto legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e successive modificazioni

 

INDICE

PREMESSA
1.AMBITO SOGGETTIVO
2.AMBITO OGGETTIVO
3. INTERMEDIARI ABILITATI
4. TERMINI PER L’EFFETTUAZIONE DELLE OPERAZIONI DI EMERSIONE
5. RIMPATRIO
6. REGOLARIZZAZIONE
7. MODALITÁ DI DETERMINAZIONE DELL’IMPOSTA STRAORDINARIA DOVUTA
8. CONTENUTO DELLA DICHIARAZIONE RISERVATA
9. ADEMPIMENTI A CARICO DEGLI INTERMEDIARI
10. EFFETTI DEL RIMPATRIO E DELLA REGOLARIZZAZIONE
11. REDDITI DERIVANTI DALLE ATTIVITÀ FINANZIARIE RIMPATRIATE
12. REDDITI E PLUSVALENZE PRODOTTI SUCCESSIVAMENTE AL RIMPATRIO 13. MODIFICHE ALLA DISCIPLINA SANZIONATORIA IN MATERIA DI MONITORAGGIO
14. RINVIO A PRECEDENTE PRASSI AMMINISTRATIVA

PREMESSA

L’adozione di sempre più efficaci strumenti di cooperazione internazionale nel settore della fiscalità finanziaria rappresenta una priorità riconosciuta da tutti i governi dei maggiori paesi industrializzati anche per favorire, a fronte degli squilibri conseguenti alla crisi economica mondiale, una crescita più equa secondo i principi generali sottoscritti nei vertici del G8.
Tra gli accordi che gli Stati aderenti alla Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) si sono impegnati a far rispettare vi è, in primo luogo, quello volto ad assicurare una maggiore trasparenza bancaria su investimenti e depositi, anche per quelli detenuti nei paesi che assicurano particolari agevolazioni (i cosiddetti “paradisi fiscali”), oltre a rendere più efficiente lo scambio di informazioni ed incrementare la cooperazione amministrativa tra Stati.
In questo contesto, la recente ridefinizione della normativa volta a consentire l’emersione delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero da soggetti residenti in Italia (cosiddetto “scudo fiscale”), introdotta con l’articolo 13-bis del decreto legge 1° luglio 2009, n. 78, in sede di conversione dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal decreto legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141 (di seguito “decreto”), rappresenta, per tutti coloro che hanno esportato o detenuto all’estero capitali e altre attività in violazione dei vincoli valutari e degli obblighi tributari, una importante opportunità per regolarizzare la propria posizione fiscale.
Al riguardo, infatti, occorre tenere in debita considerazione la portata della nuova disposizione contenuta nell’articolo 12 del decreto in base alla quale, in attuazione delle intese raggiunte tra gli Stati aderenti all’OCSE in materia di emersione di attività economiche e finanziarie detenute in Paesi aventi regimi fiscali privilegiati e in deroga ad ogni vigente disposizione di legge, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute, in violazione dei predetti vincoli, in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato oggettivamente individuati nei decreti ministeriali del 4 maggio 1999 e del 21 novembre 2001 (anche se con riferimento soltanto a talune tipologie di enti e società), si considerano costituiti da redditi sottratti ad imposizione in Italia.

In particolare, le disposizioni sullo “scudo fiscale” si rivolgono alle persone fisiche e agli altri soggetti fiscalmente residenti nel territorio dello Stato che, anteriormente al 31 dicembre 2008, hanno esportato o detenuto all’estero capitali e attività in violazione dei vincoli valutari e degli obblighi tributari sanciti dalle disposizioni sul cosiddetto “monitoraggio fiscale” – vale a dire dalle norme contenute nel decreto legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, comprese quelle relative al trasporto al seguito ora contenute nell’articolo 3 del decreto legislativo 19 novembre 2008, n. 195 – nonché degli obblighi di dichiarazione dei redditi imponibili di fonte estera.
In sostanza, attraverso il cosiddetto “rimpatrio” o la cosiddetta “regolarizzazione” è consentito far emergere denaro e attività di natura finanziaria e patrimoniale.
La regolarizzazione è tuttavia consentita esclusivamente nel caso in cui le attività siano detenute in Paesi dell’Unione Europea, nonché in Paesi che consentono un effettivo scambio di informazioni in via amministrativa.
L’emersione delle predette attività – sia nel caso di rimpatrio che in quello della regolarizzazione – produce effetti estintivi delle violazioni di natura tributaria e previdenziale relativamente agli importi dichiarati, con riferimento ai periodi di imposta per i quali non sono ancora scaduti i termini per l’accertamento, ed estingue le relative sanzioni amministrative.
L’emersione inoltre preclude nei confronti del dichiarante e dei soggetti solidalmente obbligati ogni accertamento tributario e contributivo per i periodi d’imposta che hanno termine al 31 dicembre 2008, limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio o regolarizzazione.
Al soggetto che si avvale delle facoltà concesse dal provvedimento è assicurata un’ampia riservatezza, anche nel tempo, dei dati e delle notizie comunicati agli intermediari relativi alle attività oggetto di emersione. Tali informazioni sono, infatti, coperte per legge da un elevato grado di segretezza, essendo preclusa espressamente la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di venirne a conoscenza, ad eccezione dei casi in cui sia lo stesso contribuente a fornirle nel proprio interesse.
Ai fini degli effetti dell’emersione, nonché delle modalità di effettuazione della stessa, i commi 4 e 5 dell’articolo 13-bis del decreto fanno espresso rinvio agli articoli 11, 13, 14, 15, 16, 17, 19, commi 2 e 2-bis, 20, comma 3, del decreto legge 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 409, e successive modificazioni, e al decreto legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, demandando ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate le relative disposizioni di attuazione e gli adempimenti anche dichiarativi. Per regolarizzare la propria posizione il contribuente è tenuto al versamento di un’imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero a partire da una data non successiva al 31 dicembre 2008 e all’effettuazione degli adempimenti richiesti per il rimpatrio o la regolarizzazione nell’arco temporale che va dal 15 settembre al 15 dicembre 2009.
Per beneficiare delle disposizioni in esame, il contribuente è tenuto al versamento di una somma pari al 50 per cento – comprensiva di interessi e sanzioni e senza il diritto allo scomputo di eventuali ritenute o crediti – di un rendimento lordo presunto in ragione del 2 per cento annuo per i cinque anni precedenti il rimpatrio o la regolarizzazione, senza possibilità di scomputo di eventuali perdite. Relativamente alle attività oggetto di rimpatrio, i contribuenti che abbiano presentato la dichiarazione riservata sono esonerati dall’obbligo di indicare le medesime attività nella dichiarazione annuale dei redditi (modulo RW). L’esonero della compilazione del modulo RW è previsto anche per le attività oggetto di regolarizzazione ma solo con riferimento alla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta 2009 (Unico 2010).

1. AMBITO SOGGETTIVO

I destinatari delle disposizioni concernenti l’emersione delle attività detenute all’estero sono quelli interessati dalla normativa sul “monitoraggio fiscale” ossia le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed associazioni equiparate, fiscalmente residenti nel territorio dello Stato.
In tale ambito soggettivo sono ricomprese le persone fisiche titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo. Restano, invece, esclusi gli enti commerciali, nonché le società, siano esse società di persone o società di capitali, ad eccezione delle società semplici.
I soggetti interessati devono essere fiscalmente residenti nel territorio dello Stato. A tal fine, con riguardo alle persone fisiche, si deve fare riferimento alla nozione contenuta nell’articolo 2, comma 2, del TUIR, in base alla quale si considerano residenti “le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”.
Inoltre, come stabilito dal successivo comma 2-bis del medesimo articolo 2 del TUIR, si considerano altresì residenti, salvo prova contraria del contribuente, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze. Al riguardo si ricorda che, fino all’emanazione del citato decreto, si considerano residenti i cittadini emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato individuati dal D.M. 4 maggio 1999 (cosiddetta “black list”). Ne consegue che, anche tali soggetti, ricorrendone i presupposti, rientrano nell’ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni in commento. In tal caso è necessario manifestare all’intermediario il proprio status di residente italiano, rinunciando pertanto alla possibilità di fornire la prova contraria di cui al citato comma 2-bis dell’articolo 2 del TUIR.
Si ritiene che i contribuenti la cui residenza fiscale in Italia sia determinata in base ad accordi internazionali ratificati in Italia e che prestano in via continuativa attività lavorative presso organismi comunitari, non siano soggetti all’obbligo di compilazione del modulo RW in relazione alle disponibilità costituite all’estero mediante l’accredito degli stipendi o altri emolumenti derivanti da tali attività lavorative.
Si ritengono altresì esclusi dal medesimo obbligo i residenti nel comune di Campione d’Italia in relazione alle disponibilità detenute presso istituti elvetici in base alle disposizioni valutarie specificamente riferite al predetto territorio. Tale esclusione è limitata alle disponibilità derivanti da redditi di lavoro, da trattamenti pensionistici, nonché da altre attività lavorative svolte direttamente in Svizzera da soggetti residenti nel suddetto Comune.
Per le società semplici, le associazioni e gli enti non commerciali, gli articoli 5, comma 3, lettera d), e 73, comma 3, del TUIR stabiliscono che si considerano residenti i soggetti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato. Il requisito della residenza nel territorio dello Stato deve sussistere per il periodo d’imposta in corso alla data di presentazione della cosiddetta “dichiarazione riservata” (2009).
Considerato che, ai sensi dell’articolo 2 del TUIR, il requisito della residenza si acquisisce ex tunc nel corso del periodo d’imposta nel quale si verifica il collegamento territoriale rilevante ai fini fiscali, si deve ritenere che possano essere inclusi nel novero dei soggetti interessati tutti coloro che, pur non risultando residenti nel territorio dello Stato alla data di presentazione della dichiarazione riservata, vengano ad acquisire successivamente a tale data detto requisito in quanto, ad esempio, abbiano inteso stabilire nel territorio dello Stato, per la maggior parte del periodo d’imposta, il proprio domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Tuttavia, per poter usufruire dell’emersione delle attività detenute all’estero, rimane fermo il presupposto del mancato adempimento delle disposizioni sul monitoraggio fiscale nei periodi d’imposta nei quali essi erano residenti in Italia. Si precisa, inoltre, che è preclusa la possibilità di usufruire delle disposizioni relative all’emersione delle attività detenute all’estero per i soggetti che abbiano osservato le disposizioni sul “monitoraggio fiscale”, ma abbiano violato unicamente gli obblighi di dichiarazione annuale dei redditi di fonte estera.

In considerazione della finalità del provvedimento, che è quella di consentire l’emersione di attività comunque riferibili al contribuente detenute al di fuori del territorio dello Stato, essa è ammessa non soltanto nel caso di possesso diretto delle attività da parte del contribuente, ma anche nel caso in cui le predette attività siano intestate a società fiduciarie o siano possedute dal contribuente per il tramite di interposta persona.
Come precisato nella circolare 4 dicembre 2001, n. 99/E, relativamente alla nozione di “interposta persona”, la questione non può essere risolta in modo generalizzato, essendo direttamente connessa alle caratteristiche e alle modalità organizzative del soggetto interposto. In tale sede, a titolo esemplificativo, è stato chiarito che si deve considerare soggetto fittiziamente interposto “una società localizzata in un Paese avente fiscalità privilegiata, non soggetta ad alcun obbligo di tenuta delle scritture contabili, in relazione alla quale lo schermo societario appare meramente formale e ben si può sostenere che la titolarità dei beni intestati alla società spetti in realtà al socio che effettua il rimpatrio”.
La stessa circolare n. 99/E del 2001, con riferimento alla possibilità di regolarizzare attività detenute all’estero tramite un trust, ha indicato, a titolo di esempio, quali casi di interposizione, il “trust revocabile (per cui il titolare va identificato nel disponente o settlor) ovvero un trust non discrezionale nei casi in cui il titolare può essere identificato nel beneficiario”.
Successivamente, con riferimento al trust revocabile, la circolare n. 48/E del 6 agosto 2007 ha precisato che in questa particolare tipologia di tale istituto “il disponente si riserva la facoltà di revocare l’attribuzione dei diritti ceduti al trustee o vincolati nel trust (nel caso in cui il disponente sia anche trustee), diritti, che, con l’esercizio della revoca rientrano nella sua sfera patrimoniale. E’ evidente come in tal caso non si abbia un trasferimento irreversibile dei diritti e, soprattutto, come il disponente non subisca una permanente diminuzione patrimoniale. Questo tipo di trust … ai fini delle imposte sui redditi non dà luogo ad un autonomo soggetto passivo d’imposta cosicché i suoi redditi sono tassati in capo al disponente”.
Peraltro, la risoluzione 17 gennaio 2003, n. 8/E, già prima dell’introduzione della normativa nazionale in materia di imposizione del reddito prodotto dai trust, ha precisato che la condizione necessaria affinché un trust possa essere qualificato soggetto passivo ai fini delle imposte sui redditi è che il potere del trustee nell’amministrare i beni in possesso del trust, e ad esso affidati dal disponente, sia effettivo. Al contrario, qualora il potere e il controllo sui beni siano riservati al disponente (settlor), il trust dovrà essere considerato come non operante dal punto di vista dell’imposizione diretta.
Allo stesso modo, in presenza di un trust irrevocabile nel quale il trustee è di fatto privato dei poteri dispositivi sui beni attribuiti al trust che risultano invece esercitati dai beneficiari, il trust deve essere considerato come non operante in quanto fittiziamente interposto nel possesso dei beni.
In buona sostanza si tratta di ipotesi in cui le attività facenti parte del patrimonio del trust continuano ad essere a disposizione del settlor oppure rientrano nella disponibilità dei beneficiari.
A titolo esemplificativo, sono da ritenere fittiziamente interposti:

– trust che il disponente (o il beneficiario) può far cessare liberamente in ogni momento, generalmente a proprio vantaggio o anche a vantaggio di terzi;
– trust in cui il disponente è titolare del potere di designare in qualsiasi momento se stesso come beneficiario;
-trust in cui il disponente (o il beneficiario) è titolare di significativi poteri in forza dell’atto istitutivo, in conseguenza dei quali il trustee, pur dotato di poteri discrezionali nella gestione ed amministrazione del trust, non può esercitarli senza il suo consenso;
– trust in cui il disponente è titolare del potere di porre termine anticipatamente al trust, designando se stesso e/o altri come beneficiari (cosiddetto “trust a termine”);
– trust in cui il beneficiario ha diritto di ricevere anticipazioni di capitale dal trustee.

In tali casi la dichiarazione di emersione deve essere presentata dal soggetto (disponente o beneficiario) che è l’effettivo possessore dei beni. Diversamente, i trust non fittiziamente interposti, ricompresi tra i soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera c), del TUIR, essendo tenuti agli adempimenti previsti per tali soggetti dal decreto legge n. 167 del 1990, qualora non abbiano osservato le disposizioni in questo contenute, possono utilizzare le modalità indicate nell’articolo 13-bis in commento per l’emersione delle attività da essi irregolarmente detenute all’estero.
In tal caso, la dichiarazione di emersione deve essere presentata dal trustee in qualità di soggetto tenuto ad assolvere tutti gli adempimenti fiscali del trust.
E’, inoltre, opportuno precisare che per trust residenti si devono intendere anche quelli la cui residenza nel territorio dello Stato viene determinata ai sensi dell’articolo 73, comma 3, del TUIR (cosiddetti “trust esterovestiti”), vale a dire i trust istituiti in Paesi che non consentono un adeguato scambio di informazioni, con almeno un beneficiario e uno dei disponenti fiscalmente residenti in Italia, e i trust istituiti nei predetti Stati quando, successivamente alla costituzione, un soggetto residente trasferisca a favore del trust la proprietà di un bene immobile o di diritti reali immobiliari ovvero costituisca a favore del trust dei vincoli di destinazione degli stessi beni e diritti.
Nel caso di trust trasparente non fittiziamente interposto, tenuto conto delle modalità di attribuzione del reddito da esso prodotto, si ritiene che gli effetti della dichiarazione di emersione presentata dal trustee si producano in capo ai beneficiari nei limiti e con esclusivo riferimento ai redditi attribuiti per trasparenza dal trust medesimo.
Fra i soggetti che possono presentare la dichiarazione di emersione sono da comprendere gli eredi. Ovviamente, il de cuius doveva essere residente in Italia nel momento in cui ha compiuto la violazione delle norme di cui al decreto legge n. 167 del 1990. Nel compilare la dichiarazione riservata nella sezione “Dati del dichiarante” devono essere indicati i dati del defunto mentre i dati dell’erede che presenta la dichiarazione riservata vanno indicati nella sezione “Dati del rappresentate del soggetto dichiarante”. Il soggetto che presenta la dichiarazione in luogo del de cuius, nel sottoscrivere la dichiarazione, deve altresì specificare la propria qualifica (ad esempio erede, coerede, curatore dell’eredità giacente). L’emersione può riguardare anche attività detenute in comunione da più soggetti. In tal caso, la dichiarazione riservata deve essere presentata da ciascuno dei soggetti interessati per la quota parte di propria competenza.

Il comma 7-bis dell’articolo 13-bis del decreto stabilisce che possono effettuare il rimpatrio o la regolarizzazione anche le imprese estere controllate o 12
collegate di cui agli articoli 167 e 168 del TUIR (“controlled foreign company – CFC”).
Al riguardo, si ricorda in via preliminare che le disposizioni contenute nell’articolo 167 del TUIR riguardano il caso “di una impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori” di cui al decreto ministeriale 21 novembre 2001 (cosiddetta “black list”) controllata, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, da soggetti residenti in Italia. Il controllo va valutato ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, del codice civile.
Al ricorrere di tali presupposti, i redditi della partecipata estera sono tassati per trasparenza in capo al socio residente, in proporzione alla partecipazione da esso detenuta. Più precisamente, anziché essere tassati in Italia nel momento in cui confluiscono nel reddito del soggetto controllante in qualità di dividendi effettivamente distribuiti, i redditi della CFC vengono imputati al socio residente nel momento in cui sono conseguiti.
Analoghe disposizioni sono previste dall’articolo 168 del TUIR con riferimento alle ipotesi in cui il soggetto residente in Italia detenga una partecipazione di collegamento nella CFC. A tal fine, il collegamento sussiste quando il socio italiano detiene una partecipazione agli utili dell’impresa estera non inferiore al 20 per cento ovvero al 10 per cento se quest’ultima è quotata. Ciò posto, il comma 7-bis dell’articolo 13-bis del decreto prevede che le operazioni di emersione effettuate dalla CFC producono effetti direttamente in capo ai partecipanti residenti in Italia nei limiti degli importi delle attività rimpatriate o regolarizzate.
Tale disposizione va interpretata nel quadro della disciplina generale in esame e, in particolare, nell’ottica del rispetto dei presupposti soggettivi che consentono l’accesso allo scudo fiscale.

In tal senso, tenuto conto che l’accesso alle operazioni di emersione presuppone la violazione degli obblighi inerenti al “monitoraggio fiscale”, si deve ritenere che la norma faccia esclusivo riferimento alle imprese estere in cui il soggetto che detiene il controllo o il collegamento rientri tra quelli interessati dalla normativa contenuta nel decreto legge n. 167 del 1990, precedentemente individuati. Come espressamente previsto dallo stesso comma 7-bis, è su tale soggetto che si producono gli effetti dell’emersione effettuata dalla CFC.
Sulla base delle considerazioni sopra esposte, la fattispecie considerata dalla norma in esame va pertanto configurata come un’ipotesi di interposizione nella quale – a differenza delle analoghe fattispecie ordinariamente considerate, in cui l’emersione è consentita all’interponente quale effettivo possessore delle attività – l’accesso allo scudo fiscale è previsto in capo al soggetto interposto (CFC), fermo restando la produzione dei relativi effetti in capo all’interponente che ha il reale “dominio” delle attività oggetto di emersione da parte della CFC.

2. AMBITO OGGETTIVO

Le disposizioni relative al rimpatrio hanno per oggetto le somme di denaro e le altre attività finanziarie, tra le quali: azioni e strumenti finanziari assimilati, quotati e non quotati, quote di società ancorché non rappresentate da titoli, titoli obbligazionari, certificati di massa, quote di partecipazione ad organismi di investimento collettivo del risparmio, polizze assicurative produttive di redditi di natura finanziaria, finanziamenti a soggetti esteri – indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente – metalli preziosi allo stato grezzo o monetato, detenute all’estero, in qualsiasi Paese europeo ed extraeuropeo, a partire da una data non successiva al 31 dicembre 2008, per le quali viene disposto dal contribuente il trasferimento in Italia.
Pertanto, possono essere oggetto di rimpatrio anche i titoli e le altre attività finanziarie emesse da soggetti residenti in Italia, purché siano detenuti all’estero in violazione delle disposizioni in materia di monitoraggio fiscale, nonché le attività finanziarie e il denaro detenuti presso le filiali estere di banche o di altri intermediari residenti in Italia.
Il rimpatrio può avere ad oggetto anche talune attività patrimoniali con le modalità successivamente indicate.
L’operazione di regolarizzazione, invece, ha per oggetto le somme di denaro, le altre attività finanziarie sopra elencate, nonché gli investimenti esteri di natura non finanziaria, quali, ad esempio, gli immobili e i fabbricati situati all’estero, gli oggetti preziosi, le opere d’arte e gli yacht, detenuti a partire da una data non successiva al 31 dicembre 2008 in un Paese europeo o in altro Paese che garantisce un effettivo scambio di informazioni fiscali in via amministrativa. Anche con riferimento alle attività diverse da quelle finanziarie il presupposto per la regolarizzazione è la violazione delle disposizioni relative al “monitoraggio fiscale”.
Al riguardo si ricorda che, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legge n. 167 del 1990, l’obbligo di compilazione del modulo RW della dichiarazione dei redditi riguarda le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed associazioni equiparate ai sensi dell’articolo 5 del TUIR, fiscalmente residenti nel territorio dello Stato, che al termine del periodo d’imposta detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria di ammontare complessivo superiore a euro 10.000, attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera imponibili in Italia.
In particolare, sulla base delle interpretazioni finora fornite sull’argomento, si ricorda che le attività di natura finanziaria devono essere sempre indicate nel modulo RW in quanto produttive in ogni caso di redditi di fonte estera imponibili in Italia.
A titolo esemplificativo, sono oggetto di segnalazione le seguenti attività finanziarie:

– attività i cui redditi sono corrisposti da soggetti non residenti, tra cui, ad esempio, le partecipazioni al capitale o al patrimonio di soggetti non residenti, le obbligazioni estere e i titoli similari, i titoli non rappresentativi di merce e i certificati di massa emessi da non residenti (comprese le quote di OICR esteri), le valute estere rivenienti da depositi e conti correnti, i titoli pubblici italiani emessi all’estero, depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero indipendentemente dalle modalità di costituzione (ad esempio, accrediti di stipendi, di pensione o di compensi);
– contratti di natura finanziaria stipulati con controparti non residenti, tra cui, ad esempio, finanziamenti, riporti, pronti contro termine e prestito titoli, nonché polizze di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione sempreché il contratto non sia concluso per il tramite di un intermediario finanziario italiano o le prestazioni non siano pagate attraverso un intermediario italiano;
– contratti derivati e altri rapporti finanziari se i relativi contratti sono conclusi al di fuori del territorio dello Stato, anche attraverso l’intervento di intermediari, in mercati regolamentati;
– metalli preziosi allo stato grezzo o monetato detenuti all’estero.

Come accennato, le attività sopra elencate devono essere sempre indicate nel modulo RW, Sezione II, per effetto della loro fruttuosità ope legis, qualunque sia la loro origine (ad esempio, acquisizione per effetto di donazione o successione). Vanno, inoltre, indicate nella medesima Sezione le attività finanziarie italiane detenute all’estero – ossia, ad esempio, i titoli pubblici ed equiparati emessi in Italia, le partecipazioni in soggetti residenti ed altri strumenti finanziari emessi da soggetti residenti – soltanto nel periodo di imposta in cui la cessione o il rimborso delle stesse ha realizzato plusvalenze imponibili.
Si ricorda che gli obblighi di dichiarazione non sussistono, invece, per le attività finanziarie affidate in gestione o in amministrazione alle banche, alle SIM, alle società fiduciarie, alla società Poste italiane e agli altri intermediari professionali per i contratti conclusi attraverso il loro intervento, anche in qualità di controparti, nonché per i depositi e i conti correnti, a condizione che i redditi derivanti da tali attività estere di natura finanziaria siano riscossi attraverso l’intervento degli intermediari stessi. Detto esonero sussiste anche nel caso di mancato esercizio delle opzioni di cui agli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461. Con riferimento, invece, agli investimenti all’estero di natura non finanziaria, essi devono essere indicati nel modulo RW soltanto nel periodo d’imposta in cui hanno prodotto redditi imponibili in Italia.
Pertanto, nel caso ad esempio degli immobili situati all’estero, gli stessi devono essere indicati nel modulo RW relativo al periodo d’imposta in cui sono dati in locazione ovvero formano oggetto di cessione imponibile in Italia. Inoltre, vanno indicati gli immobili che sono assoggettati ad imposte sui redditi nello Stato estero anche se tenuti a disposizione, come accade, ad esempio, in Spagna.
Di contro, non deve essere indicato nel modulo RW l’immobile tenuto a disposizione in un Paese che non ne prevede la tassazione ai fini delle imposte sui redditi (come ad esempio in Francia). Infatti, in tal caso l’immobile non è produttivo di redditi imponibili neanche in Italia ai sensi dell’articolo 70, comma 2, del TUIR e, pertanto, il contribuente, non avendo violato le norme sul “monitoraggio fiscale”, non può accedere alla procedura di emersione. Tuttavia, in questa fattispecie le violazioni degli obblighi inerenti il “monitoraggio fiscale” potrebbero essersi verificate precedentemente, per esempio, all’atto del trasferimento all’estero delle somme utilizzate per l’acquisto dell’immobile ovvero in precedenti periodi di imposta nei quali il contribuente abbia locato l’immobile. In tali casi, anche se il presupposto (omessa compilazione del modulo RW) non è attuale, il contribuente può comunque accedere allo scudo fiscale.

Tra gli investimenti all’estero da indicare nel modulo RW vi rientrano anche gli oggetti preziosi, le opere d’arte e gli yacht nel periodo d’imposta in cui sono impiegati in attività produttive di redditi imponibili in Italia. E’ il caso, ad esempio, della locazione di imbarcazioni, opere d’arte, oggetti preziosi.
L’obbligo di compilazione del modulo RW riguarda, oltre che le consistenze dei predetti investimenti ed attività detenuti all’estero al termine del periodo d’imposta, anche i trasferimenti da, verso e sull’estero che nel corso del periodo d’imposta hanno interessato i suddetti investimenti ed attività, se l’ammontare complessivo dei movimenti effettuati nel corso del medesimo periodo, computato tenendo conto anche dei disinvestimenti, sia stato superiore a euro 10.000. Quest’obbligo sussiste anche se al termine del periodo d’imposta i soggetti interessati non detengono investimenti all’estero né attività estere di natura finanziaria, in quanto a tale data è intervenuto il disinvestimento o l’estinzione dei rapporti finanziari, e qualunque sia la modalità con cui sono stati effettuati i trasferimenti (attraverso intermediari residenti, attraverso intermediari non residenti o in forma diretta tramite trasporto al seguito).
Fermo restando quanto finora precisato, si fa presente che l’esigenza di rendere più incisivi i presidi posti in ambito internazionale a tutela del corretto assolvimento degli obblighi tributari impone una revisione dell’interpretazione della disposizione recata nell’articolo 4 del decreto legge n. 167 del 1990 nella parte in cui connota gli investimenti all’estero da indicare nel modulo RW come quelli “… attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera imponibili in Italia …”. In particolare, per tener conto della suddetta esigenza, si ritiene che la riportata previsione normativa vada da ora in poi intesa come riferita non solo a fattispecie di effettiva produzione di redditi imponibili in Italia ma anche ad ipotesi in cui la produzione dei predetti redditi sia soltanto astratta o potenziale. Pertanto, a partire dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in corso, i contribuenti saranno tenuti ad indicare nel modulo RW non soltanto le attività estere di natura finanziaria ma anche gli investimenti all’estero di altra natura, indipendentemente dalla effettiva produzione di redditi imponibili in Italia. Esemplificando, quindi, dovranno essere sempre indicati anche gli immobili tenuti a disposizione, gli yacht, gli oggetti preziosi e le opere d’arte anche se non produttivi di redditi.
In ogni caso non è consentito rimpatriare o regolarizzare le attività che alla data del 31 dicembre 2008