Corte di Cassazione – Ordinanza n. 26099 del 27 settembre 2021

RILEVATO

che la s.r.l. ” (OMISSIS)” propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza CTR Lombardia, di rigetto dell’appello proposto avverso una decisione CTP Milano, che aveva dichiarato inammissibile il suo ricorso per omessa produzione degli originali delle tre cartelle di pagamento impugnate; in particolare, la CTR ha ritenuto che la notifica delle tre cartelle di pagamento impugnate, avvenuta a mezzo PEC, era rituale, in quanto le firme digitali di tipo CAdES e di tipo PAdES, pur se con le differenti estensioni “p7m” e “pdf”, erano entrambe validi ed efficaci; ha ritenuto comunque tardivo il ricorso proposto dalla societa’ contribuente; ha ritenuto manifestamente infondata l’eccezione d’incostituzionalita’ della previsione di un compenso per la riscossione; ha infine ritenuto tardiva l’eccezione di non conformita’ all’originale delle copie cartacee degli atti prodotti, siccome sollevata solo in appello.

CONSIDERATO

che il ricorso e’ affidato ad un unico motivo, con il quale la societa’ ricorrente prospetta violazione e falsa applicazione Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 21, comma 1, Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 26, comma 2, Decreto Legislativo n. 82 del 2005, articolo 20, comma 1-bis, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto erroneamente la sentenza impugnata aveva affermato che la PEC, con la quale le tre cartelle le erano state notificate, aveva il crisma dell’autenticita’, sebbene i files contenenti le cartelle avessero un’estensione “pdf” e non “p7m”; al contrario, l’allegato al messaggio PEC, riproduttivo delle cartelle esattoriali notificate, doveva rappresentare un vero e proprio documento informatico, dotato di firma digitale, si da dover essere generato in formato “p7m”, estensione che rappresentava la c.d. busta crittografica, contenente al suo interno il documento originale, l’evidenza informatica della firma e la chiave per la sua verifica; pertanto la notifica delle tre cartelle, di cui era causa, era da qualificare come giuridicamente inesistente, con la conseguenza che il ricorso di essa societa’ non era tardivo; quanto rappresentato dalla CTR non era condivisibile, avendo essa fatto riferimento ad una sentenza della Cassazione non applicabile alla specie in esame, siccome riferita alla notifica con modalita’ telematiche degli atti del processo, mentre, nella specie, trattavasi della notifica di cartelle di pagamento, che erano atti amministrativi di natura impositiva, per i quali la riproduzione in formato pdf non era idonea a garantire le esigenze di sicurezza, integrita’ ed immodificabilita’ del documento, che potevano assicurare solo i files con estensione “p7m”;

che l’Agenzia delle entrate riscossione (ADER) si e’ costituita con controricorso;

che l’unico motivo di ricorso proposto dalla societa’ ricorrente e’ infondato;

che correttamente la CTR ha ritenuto che le tre cartelle di pagamento impugnate fossero state ritualmente notificate alla societa’ ricorrente a mezzo PEC, atteso che, per la validita’ di detta notifica, non era necessario che i documenti trasmessi avessero estensione “p7m”, essendo sufficiente che essi avessero estensione “pdf”;

che invero la giurisprudenza di legittimita’ (cfr. Cass. SS. UU. n. 10266 del 2018) ha escluso la sussistenza dell’obbligo esclusivo di usare la firma digitale in formato CADES, nel quale il file generato si presenta con l’estensione finale “p7m”, rispetto alla firma digitale in formato PADES, nel quale il file sottoscritto mantiene il comune aspetto “nomefile.pdf”, atteso che anche la busta crittografica generata con la firma PADES contiene pur sempre il documento, le evidenze informatiche ed i prescritti certificati, si che anche tale ultimo formato offre tutte le garanzie e consente di effettuare le verifiche del caso, anche secondo il diritto Euro unitario, non essendo ravvisabili elementi obiettivi, in dottrina e prassi, tali da far ritenere che solo la firma in formato CADES offra garanzie di autenticita’, laddove il diritto dell’UE e la normativa vigente nel nostro paese certificano l’equivalenza delle due firme digitali, egualmente ammesse dall’ordinamento, sia pure con le differenti estensioni “p7m” e “pdf”;

che, in ogni caso, l’eventuale irritualita’ della notificazione di un atto a mezzo PEC non ne comporta la nullita’, se la consegna dello stesso ha comunque prodotto, come nella specie in esame, il risultato della sua conoscenza, ben potendosi applicare alla specie l’istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo, di cui all’articolo 156 c.p.c. (cfr. Cass. n. 23620 del 2018); invero, la natura sostanziale e non processuale delle cartelle di pagamento non esclude l’applicabilita’ alla notifica delle stesse delle norme dettate in materia processuale, essendo tali ultime norme espressamente richiamate nella disciplina tributaria qualificabile come “amministrativa”; e il Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 26, comma 5, concernente la notifica delle cartelle di pagamento, rinvia al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 60, in materia di notifica degli avvisi di accertamento; e quest’ultimo articolo rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, ivi compresa la norma di cui sopra citata, articolo 156 c.p.c. (cfr. Cass. n. 6417 del 2019);

che e’ pertanto da ritenere che la CTR abbia fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziale vigenti in materia di notifiche di cartelle di pagamento a mezzo PEC;

che il ricorso in esame va pertanto respinto, con condanna della societa’ ricorrente al pagamento delle spese processuali, quantificate come in dispositivo;

che, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto dalla societa’ contribuente e la condanna al pagamento delle spese processuali, quantificate in complessivi Euro 5.200,00, oltre agli accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.