Corte di Cassazione – Ordinanza n. 635 del 08 gennaio 2024

RITENUTO CHE

1.-La società (omissis) ha ottenuto decreto ingiuntivo nei confronti della società (omissis) Sas, per il pagamento del corrispettivo della fornitura di merci.
1.1.- Va premesso che della società (omissis) era socio accomandatario e legale rappresentante (omissis) e socio accomandante (omissis), che era altresì il legale rappresentante della (omissis), di cui (omissis) era a sua volta agente.
1.2.- Durante il corso dei rapporti societari, sono incorse vicende che hanno portato allo scioglimento della (omissis), con una prima scrittura, e con una seconda scrittura, al regolamento dei rapporti di agenzia tra (omissis) e (omissis).
2.-Dopo queste vicende, (omissis), come si è detto, ha ottenuto decreto ingiuntivo nei confronti della (omissis), a cui ha fatto seguito l’opposizione del legale rappresentante di quest’ultima, (omissis), che ha agito anche in proprio, ed ha eccepito che il credito portato dal decreto ingiuntivo doveva ritenersi estinto, per via di una clausola, sottoscritta da entrambe le parti, e contenuta nel secondo accordo, quello che regolava i rapporti di agenzia, del seguente contenuto: << a saldo quanto dovuto ad (omissis) >>.
3.-Il Tribunale di Perugia ha rigettato l’opposizione, sostenendo che quella clausola non era da intendersi come di rinuncia al credito, o meglio, di sua mutua estinzione per via del fatto di essere contenuta in un atto, quello che regolava il rapporto di agenzia, diverso da quello a cui il credito era da riferirsi, ossia il rapporto di fornitura tra le due società.
Questa tesi è stata smentita dalla Corte di Appello di Perugia che ha osservato come il rappresentante legale di (omissis), che era pure socio accomandante della (omissis), aveva dichiarato, nell’atto di scioglimento di quest’ultima società, che non esistevano più debiti, con la conseguenza che la clausola in questione, seppure contenuta in un atto diverso, doveva essere letta insieme alla scrittura precedente, dove si dichiarava, per l’appunto, l’inesistenza di altre passività.
Inoltre, secondo la Corte di Appello, quella clausola doveva ritenersi valida ed efficace in mancanza di un suo espresso disconoscimento, o meglio, di una querela di falso.
4.-Contro questa decisione ricorre (omissis) con tre motivi.
(omissis) ha notificato controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria, ma quella del controricorrente (omissis) non può considerarsi tale, contenendo solamente la mera richiesta di rigetto del ricorso, senza alcuna illustrazione delle ragioni indicate nel controricorso.

CONSIDERATO CHE

5.- In via preliminare, (omissis) eccepisce la nullità della notifica del ricorso per Cassazione, in quanto notificato non già al difensore presso cui egli aveva eletto domicilio, ma, per posta elettronica, all’altro difensore costituito.
L’eccezione è infondata.
E’ principio di diritto che << la notificazione presso il domiciliatario ex art. 141 c.p.c. – al di fuori dei casi eccezionali in cui, nell’interesse del destinatario, è per legge esclusiva – ha carattere alternativo rispetto agli altri modi di notificazione, con la conseguenza che, ove la parte sia rappresentata da due difensori, l’elezione di domicilio presso uno di costoro non priva la controparte delle facoltà di effettuare notificazioni all’altro difensore, stante la disposizione di cui all’art. 170, comma 1, c.p.c., secondo la quale, dopo la costituzione in giudizio, tutte le notificazioni e le comunicazioni si fanno al procuratore costituito, cioè all’uno o all’atro dei procuratori costituiti, in caso di pluralità>> (Cass. 27995 / 2022; Cass. 26025/ 2017).
E ciò a prescindere dal raggiungimento dello scopo.
6.- Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione dell’articolo 2697 c.c.
Lamenta che l’avvenuta estinzione del debito, dovuta alla già citata clausola, è oggetto di eccezione, prospettata dall’opponente, con la conseguenza che l’onere di dimostrare che l’eccezione è fondata spettava proprio a costui. Invece, la Corte di Appello, avendo ritenuto provato il fatto (credito estinto), per via della semplice allegazione della clausola, avrebbe invertito l’onere della prova.
Il motivo è infondato.
E’ vero che l’estinzione del credito è stata allegata per via di eccezione, così come è vero che l’onere di provare l’eccezione grava su chi la fa, ma è proprio ciò che è accaduto: il (omissis) ha dimostrato che il credito è estinto per l’appunto allegando la scrittura che conteneva la clausola estintiva, la quale, dunque, non è, come suppone la ricorrente, l’oggetto della prova, ma piuttosto il mezzo di prova. Andava dimostrato un accordo estintivo, che è stato provato producendo la scrittura in cui è contenuto.
7.- Con il secondo motivo la ricorrente denunzia violazione dell’articolo 2702 c.c.
Si duole che la Corte di Appello abbia ritenuto vincolante la clausola (che (omissis) aveva sostenuto che la clausola era stata materialmente aggiunta dal (omissis) alla scrittura privata in questione) in mancanza di una querela di falso.
Lamenta che, facendo la scrittura privata piena prova solo della provenienza di essa da chi l’ha redatta (oltre che dell’essere i fatti avvenuti in presenza del redattore), la querela di falso non sarebbe servita a togliere veridicità al contenuto della clausola, che è ciò che si contesta precipuamente.
Il motivo è infondato.
Proprio perché la ricorrente aveva contestato la veridicità materiale della clausola, ossia la circostanza che essa non era concordata, bensì materialmente apposta, e dunque falsamente inserita nel contratto dal (omissis), la querela di falso era necessaria a privare l’atto della prova della sua provenienza, cioè a dimostrare che non proveniva da entrambe le parti e che era invece aggiunta abusiva di una di esse.
8.- Con il terzo motivo la ricorrente denunzia violazione degli articoli 1362 e ss. c.c.
Si duole che la Corte di Appello abbia erroneamente inteso il significato di quella clausola: essa infatti è contenuta in un accordo che regola le provvigioni tra (omissis) e (omissis), e non può pertanto essere intesa come riferita ai debiti della società (omissis) verso la società (omissis), quindi ad un diverso rapporto.
Lamenta che tale giudice ha quindi errato nell’intendere la volontà delle parti come riferita al rapporto societario a fronte di una clausola contenuta in un accordo avente oggetto diverso.
Il motivo è inammissibile.
La stessa ricorrente ammette che la ricostruzione della volontà delle parti –a differenza che la qualificazione di essa in termini giuridici- è accertamento in fatto che sfugge alla censura in Cassazione se non per difetto assoluto di motivazione.
Senza sottacersi che la ratio della decisione impugnata emerge dalla lettura congiunta dei due atti (p.3), nel primo (scioglimento della (omissis)) il (omissis) ha riconosciuto l’inesistenza di debiti verso (omissis), o meglio, secondo i giudici di merito, ha rinunciato ai crediti, con la conseguenza che la clausola contenuta nel successivo accordo (rapporto di agenzia) può leggersi come riferito all’intera vicenda, ossia a chiusura definitiva dei rapporti.
A fronte di tale interpretazione sistematica (con messa in relazione cioè di due distinte regole negoziali) la ricorrente non spiega invero perché questo criterio ermeneutico sia stato nella specie se del caso male utilizzato, né quale diverso altro canone interpretativo i giudici di merito avrebbero dovuto viceversa privilegiare e perché avrebbe condotto ad un diverso esito interpretativo.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che nella misura di 3.400,00 euro, oltre a 200,00 euro per esborsi, nonché oltre a spese generali al 15% ed accessori di legge, in favore dei controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso e, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.