CTR Marche – Sentenza n. 534 del 26 agosto 2016

SENTENZA

– sull’appello n. 1406/2015

depositato il 23/10/2015

– avverso la sentenza n. 335/2015 Sez. 1 emessa dalla Commissione Tributaria Provincie di ASCOLI PICENO

contro

(…)

difeso da:

CU.DI.

VIA (…) 63821 PORTO SANTELPIDIO

proposto dall’appellante:

(…)

terzi chiamati in causa:

(…)

Atti impugnati:

CARTELLA DI PAGAMENTO IRES-ALTRO 2010

CARTELLA DI PAGAMENTO IVA-ALTRO 2010

CARTELLA DI PAGAMENTO IRAP 2010

Ricorso in appello posto dalla Agenzia delle Entrate di Fermo contro la decisione n. 335/01/15 emessa dalla C.T.P. di Ascoli Piceno, con comparsa di costituzione e risposta da parte di Equitalia nel procedimento RGA 1406/2015 nel giudizio di appello della sentenza n. 335/15.

I motivi di discussione riguardano:

1° appello dell’Ufficio delle Entrate e costituzione e risposta di Equitalia contro la sentenza n. 335/01/15.

2° Memoria dell’Ufficio delle entrate prot. n. (…), RGA 1406/15 a seguito controdeduzioni della (…) con le quali si chiede sia la conferma della decisione n. 335/01/15, sia la inammissibilità del ricorso per tardività da parte dell’Ufficio sull’atto di appello.

Nel 1° caso il contribuente chiede che venga dichiarata la nullità e/o inesistenza del ruolo poiché sottoscritto da un soggetto privo di potere e di attribuzione nella emissione/sottoscrizione del ruolo ai sensi dell’art. 21 septies L. 241/1990 e affetto da incompetenza ai sensi dell’art. 21 octies di legge n. 241/90 e comunque sottoscritto da un soggetto non dirigente in violazione del regolamento di Amministrazione dell’Agenzia delle Entrate di cui all’art. 5 comma 5 gazzetta ufficiale n. 36 del 13/02/2001.

Dichiarare quindi la nullità/inesistenza del ruolo poiché sottoscritto da un soggetto privo della qualifica di Capo dell’Ufficio e privo di delega che lo legittimasse alla sottoscrizione. (Corte di Cassazione 22803/2015, in violazione dell’art. 42 1° comma D.P.R. 600/73, ovvero non impiegato alla carriera direttiva).

Nel 2° caso il contribuente chiede la inammissibilità dell’atto di appello per tardività della notifica. In merito al 1° punto circa la inesistenza del ruolo perché sottoscritto da un soggetto privo della qualifica di Capo dell’Ufficio e privo di delega di legittimazione, Equitalia dichiara di non poter porre difese per conto dell’Ente impositore in quanto tale compito fuoriesce completamente dall’alveo delle competenze dell’Ente di riscossione, trattandosi di adempimenti che competono all’Ente impositore.

Equitalia dopo aver ben chiarita la propria incompetenza e la propria carenza di legittimazione passiva nell’entrare nel merito della decisione della C.T.P. di Ascoli Piceno, trova spazio di adire contro la sentenza appellata dall’Ufficio considerandola “talmente generica da non specificare se la domanda è stata accolta per la carenza di potere di tale esponente ovvero per la mancanza di necessari requisiti tecnici in capo allo stesso”.

Equitalia porta a difesa della propria tesi citando una decisione della C.T.P. N. 150/01/15 di Macerata nella quale si osserva che tra gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 37/15 non può includersi quello della caducazione degli accertamenti già emessi, sottoscritti da dirigenti delegittimati.

Secondo la interpretazione di Equitalia solo per il futuro non sarà più possibile attribuire incarichi dirigenziali a funzionari che bon abbiano espletato regolare concorso.

Si ritiene quindi che per il futuro non è assolutamente consentito attribuire incarichi dirigenziali a funzionari che non abbiano espletato regolare concorso.

Nel merito il contribuente ha ben chiarito che il (…) non solo risulta un funzionario privo di qualifica dirigenziale, ma cosa ancora più grave, non risulta alcuna delega che l’avrebbe dovuto proporre a tale compito dirigenziale.

La sentenza della Cassazione n. 22910/15 è quanto mai contraddittoria nel momento i cui afferma che l’atto impositivo può essere sottoscritto anche da un “altro” impiegato della carriera direttiva delegato dal capo dell’Ufficio, impiegato di area direttiva all’ex nono livello.

Nel merito la Cassazione azzarda, in modo marcatamente sillogistico che per proprietà transitiva è logico desumere che la medesima qualifica di semplice impiegato della carriera direttiva vale a identificare la posizione dei capo dell’Ufficio delegante.

Né può aver senso giuridico una semplice deduzione della Cassazione, senza alcuna certezza legale che se il legislatore tributario del 1973 avesse inteso riferirsi nella determinazione del soggetto avente titolo rappresentativo dell’amministrazione quanto agli avvisi di accertamento e addirittura a pena di nullità degli avvisi diversamente sottoscritti, lo avrebbe fatto redigendo il precetto in termini specifici e coerenti con tale volontà.

Invero la legge va rispettata nel sue essere e non nel suo poter essere.

Resta indiscutibile che il (…) è un funzionario privo di qualifica dirigenziale e, fatto incostestabile, privo di delega a cui, forse, fa riferimento la sentenza di Cassazione n. 22810/15.

Secondo l’ufficio delle Entrate, la iscrizione a ruolo è legittima ed è diretta conseguenza di una grave violazione commessa dal contribuente che ha presentato le dichiarazioni annuali ed effettuato le liquidazioni periodiche, sottraendosi all’obbligo di versamento di imposte, risultate dovute in esito alla liquidazione formale automizzata con i relativi interessi e sanzioni.

L’Ufficio ritiene inoltre che la sentenza in appello sia gravemente viziata, frutto di una mera acritica e superficiale ricezione delle “lamentele” della società contribuente, senza alcun dovuto svolgimento del compito proprio del giudice tributario, che è quello di accertare la conformità o meno dell’atto impugnato alle disposizioni normative applicate e giustificanti la sua emanazione, nonché di accertare concretamente i fatti e riscontrare il contenuto degli atti di causa.

Le conclusioni raggiunte dai giudici di primo grado sono assolutamente illegittime e infondate.

Il contribuente nel merito ribadisce quanto segue:

E’ incontestabile che il firmatario dell’atto impositivo, (…) è un funzionario privo di qualifica dirigenziale.

Fatto ancor più incontestabile è che il (…) ha sottoscritto l’atto impositivo, privo di delega dirigenziale.

E nel merito la sentenza di Cassazione n. 22810/15 esplicita anche in raccordo alla decisione della Corte Costituzionale n. 37 del 2015, che “in ordine agli avvisi di accertamento in rettifica e agli accertamenti di Ufficio il dpr n. 600 del 1973, art. 42 impone sotto pena di nullità che l’atto sia sottoscritto dal capo dell’Ufficio o da altro impiegato della camera direttiva da lui delegato”.

E’ sancito che quando l’avviso di accertamento è sottoscritto da un funzionario diverso dal capo dell’Ufficio, tale funzionario deve essere investito da delega ufficiale, ossia un precisa delega di conferimento alla carica rivestita dal funzionario, altrimenti la sottoscrizione determina una illegittimità dell’avviso di accertamento.

Per violazione dell’art. 42 dpr 600/73.

Questo principio è stato dalla C.T.P. di Caserta con sentenza 7443/14/2015.

Tale sentenza reccepisce in pieno quanto stabilito dalla Cassazione sentenza n. 22803/2015.

Andando oltre la C.T.R. di Napoli con sentenza n. 8321/2815 limita la delega ad un funzionario alla nona qualifica.

Il contribuente pone con certezza la motivazione della necessità della delega dal capo dell’Ufficio ad un funzionario per la sottoscrizione di un avviso di accertamento.

Tale delega può essere conferita o con atto proprio o con ordine di servizio purché venga indicato il termine di validità, il nominativo (non valida UNA DELEGA IN BIANCO) del soggetto indicato, presupponendo anche la qualifica del delegato al 9° livello.

Sono quindi illegittime le deleghe impersonali prive di indicazione nominativa del soggetto delegato. Tale illegittimità si riflette sulla nullità dell’atto.

Così anche la C.T.P. Di Enna con sentenza n. 1318/01/2015 ribadisce che la sottoscrizione del ruolo, così come ogni atto impositivo, deve essere documentalmente dimostrata e non può rientrare nella fattispecie del fatto notorio.

Su tale linea si è espresso la C.T.R. di Palermo con sentenza n. 965/21/16 nella quale sentenzia che spetta alla Agenzia delle Entrate dimostrare che il ruolo sia stato sottoscritto dal Direttore dell’Ufficio o da un suo delegato a norma di legge.

L’Ufficio insiste nella tesi che nessuna previsione di nullità è contenuta nella stessa, essendo semplicemente prevista la sottoscrizione del titolare dell’Ufficio, identificabile con colui a cui è stata attribuita, secondo le regole disciplinanti l’organizzazione interna degli Uffici, la titolarità della funzione.

L’Ufficio, però, nulla dice in merito ai fatto se il (…) ai sensi dell’art. 12 comma IV D.P.R. 602/73 avesse titolo per la sottoscrizione del procedimento riferito all’avviso di accertamento quale funzionario dirigenziale, né si esprime su di una eventuale delega nei suoi confronti sottoscritta nei termini legge dal dirigente a capo dell’Ufficio e autorizzato a sottoscrivere il procedimento.

Il punto n. 2 in premessa indicato riguarda il ricorso proposto in appello dall’Ufficio avverso la decisione della C.T.P. n. 335/01/15.

Il contribuente nelle proprie controdeduzioni in appello ex art. 54 comma I D.L.vo 546/1992 in ordine al Proc. RGA 1406/2015 pone il problema della inammissibilità del ricorso in appello riferito alla sentenza n. 335/0115 emessa dalla C.T.P. di Ascoli Piceno.

Nelle proprie controdeduzioni il contribuente dichiara che in data 7/luglio/2015 inoltra la notifica, via PEC (valida agli effetti di legge art. 4 D.P.R. 68/2005) della sentenza di 1° grado per cui il termine ultimo per la notifica dell’appello da parte dell’Ufficio era il 07/0ttobre/2015.

Il contribuente ravvisa la tardività dell’atto di appello in quanto consegnato alle poste italiane in data 09/ottobre/2015.

Ora l’art. 51 comma I D.L.vo 546/1992 chiarisce che “se la legge non dispone diversamente il termine per impugnare la sentenza della commissione tributaria è di 60 giorni, decorrente dalla sua notificazione ad istanza di parte”.

Come risulta dall’esito della spedizione della raccomandata A/R n. (…) apposta sul plico dell’atto di appello, pervenuta presso il domicilio dello scrivente difensore in data 12/10/2015, quest’ultima risulterebbe essere stata inviata in Ancona in data 09/10/2015, ovvero 2 giorni di ritardo rispetto al termine di legge.

Anche l’atto di appello inviato direttamente alla odierna appellata presso la sede legale in (…) risulterebbe anch’esso notificato tardivamente come si evince dall’esito della spedizione avvenuta in data 9/ottobre/2015 in Ancona, anziché in data in data 7/ottobre/2015.

Nel merito alla data della spedizione l’ufficio produce un documento della Agenzia delle Entrate nel quale si attesta che la spedizione è avvenuta in data 08/0ttobre/2015.

L’attestazione della data (8/10/2015) è documentata da un timbro postale con a fianco una firma siglata non certificata quindi da intendersi non come data certa.

Diversamente il contribuente ha prodotto l’esito della spedizione certificata dalle poste italiane.

In tale esito si evincono sia il giorno sia la data sia l’ora in cui le due raccomandate sono state spedite dalla Agenzia delle Entrate e cioè in data 09/10/2015.

L’Ufficio pone il problema della nullità della notifica tramite PEC perché la notifica delle sentenze emesse dal giudice tributario deve avvenire secondo le previsioni dell’art. 38 del D.Lgs. 546/92, per cui, secondo l’Ufficio la notifica della sentenza in oggetto non è mai avvenuta, in quanto il contribuente ha violato tutte le prescrizioni e modalità previste dalle norme speciali del processo tributario.

Ma quanto asserito dall’Ufficio è in aperto contrasto con l’art. 4 D.P.R. 68/2005.

Alla luce di quanto esposto questa C.T.R. è del parere che i motivi apportati dal contribuente sia in merito al punto 1° “dichiarazione di nullità del ruolo”, sia in merito al punto 2° “inammissibilità del ricorso per tardività” debbano trovare ambedue accoglimento in quanto consoni con la legislazione vigente.

P.Q.M.

Respinge l’appello dell’Ufficio e conferma la sentenza impugnata.

Determina in Euro 2.500,00, le spese di giudizio a carico del soccombente.

Così deciso in Ancona, il 25 maggio 2016.

Depositata in Segreteria il 26 agosto 2016.