Corte di Cassazione – Sentenza n. 5798 del 3 marzo 2020

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5964/2012 R.G. proposto da:

(OMISSIS);
– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi 12;
– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 132/28/11, depositata il 23 settembre 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20 dicembre 2019 dal Consigliere Dott. Michele Cataldi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Paola Mastroberardino, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del quarto, del quinto e del sesto motivo di ricorso, ed il rigetto degli altri;

uditi l’Avv. (OMISSIS) di Vimercate, delegato dall’Avv. Prof. (OMISSIS), per il ricorrente.

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate ha emesso, nei confronti di (OMISSIS), tennista professionista, avviso, relativo all’anno d’imposta 2003, in materia di Irpef, con il quale ha accertato un imponibile maggiore rispetto a quello dichiarato, in conseguenza dell’assunta percezione, da parte del contribuente, di premi per gare disputate in tornei nazionali ed esteri; di compensi erogati dalla (OMISSIS) (F.I.T.); e del disconoscimento di alcune spese dedotte, ritenute non documentate, anche in conseguenza dell’omessa risposta dal contribuente al questionario inviatogli dall’Ufficio.

2. Avverso l’avviso d’accertamento il contribuente ha proposto ricorso dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Milano, che lo ha respinto.

3. Il contribuente ha allora ha impugnato la sentenza di primo grado e l’adita Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza n. 132/28/11, depositata il 23 settembre 2011, ha rigettato l’appello.

4. Il contribuente ha quindi proposto ricorso, affidato ad 11 motivi, per la cassazione della predetta sentenza d’appello.

5. L’Ufficio si e’ costituito al solo scopo di partecipare all’udienza di discussione.

6. Il ricorrente ha prodotto memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il contribuente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita’ della sentenza d’appello sia per l’omessa indicazione delle richieste delle parti, in violazione del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, articolo 36, comma 2, n. 3; sia per l’omessa pronuncia, in violazione dell’articolo 112 c.p.c., sul motivo d’appello relativo alla nullita’ della sentenza di primo grado, per la violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 36, comma 2, n. 4, a causa della sua motivazione carente od insufficiente.

2. Con i successivi cinque motivi (dal secondo al sesto compreso), il contribuente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita’ della sentenza d’appello per l’omessa pronuncia, in violazione dell’articolo 112 c.p.c., su alcuni dei motivi d’appello, corrispondenti a quelli gia’ oggetto del ricorso di primo grado, rispettivamente relativi (la numerazione dell’elenco che segue e’ quella corrispondente ai motivi del ricorso per la cassazione).

II) alla carenza dei presupposti dell’accertamento emesso ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 38, comma 3; all’illegittima applicazione dell’articolo 109 t.u.i.r. in materia di disconoscimento dei costi dedotti dalla contribuente; al mancato rispetto dell’articolo 9 t.u.i.r. nella conversione di premi di fonte estera imputati al contribuente; alla violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 67 e dell’articolo 53 Cost., relativamente all’inclusione, nelle riprese a tassazione dell’Ufficio, anche di compensi gia’ dichiarati dal contribuente nel Modello Unico 2004 per i redditi percepiti nell’anno 2003, oltre che dei versamenti d’imposta effettuati dallo stesso contribuente in acconto per l’anno 2003, con violazione dell’articolo 19 (attuale 22) t.u.i.r.;

III) alla carenza dei presupposti dell’accertamento emesso ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 38, comma 3, perche’ i dati e le notizie che l’Ufficio ha dedotto a sostegno dell’atto impositivo non costituiscono una prova, neppure presuntiva, non essendo dotati dei necessari requisiti di gravita’, precisione e concordanza;

IV) all’illegittima applicazione dell’articolo 109, comma 5, t.u.i.r. in materia di disconoscimento dei costi dedotti dal contribuente, avendo l’Ufficio menzionato, nell’accertamento, il comma 5 di tale disposizione, che, nella versione applicabile ratione temporis, disciplinava il reddito degli enti non commerciali ed era estraneo pertanto alla fattispecie controversa;

V) al mancato rispetto dell’articolo 9, comma 2, t.u.i.r. nella quantificazione dei premi di fonte estera imputati al contribuente, avendo l’Amministrazione convertito in Euro gli importi, espressi in dollari statunitensi, al tasso medio di conversione dell’anno di riferimento, mentre la predetta norma dispone che: “Per la determinazione dei redditi e delle perdite i corrispettivi, i proventi, le spese e gli oneri in valuta estera sono valutati secondo il cambio del giorno in cui sono stati percepiti o sostenuti o del giorno antecedente pi’u’ prossimo e, in mancanza, secondo il cambio del mese in cui sono stati percepiti o sostenuti; (…)”;

VI) alla violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 67 e dell’articolo 53 Cost., relativamente all’inclusione, nelle riprese dell’Ufficio, anche di compensi gia’ dichiarati dal contribuente nel Modello Unico 2004 per i redditi percepiti nell’anno 2003, oltre che dei versamenti d’imposta effettuati dallo stesso contribuente in acconto per l’anno 2003, con violazione dell’articolo 19 (attuale 22) t.u.i.r..

3. Per effetto della loro connessione, ed in parte coincidenza, i primi sei motivi di ricorso, tutti formulati ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, vanno trattati congiuntamente, sia pur con le differenziazioni, tra i vari motivi, che risultino via via opportune.

4.Deve, innanzitutto, escludersi che (a differenza di quanto pare dedurre il ricorrente nel primo motivo) sia configurabile una globale nullita’ della sentenza impugnata per violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 36, comma 1, n. 3, per l’asserita omessa menzione delle richieste delle parti, ovvero, in particolare, dei motivi d’appello e delle difese del contribuente nel giudizio di appello.

Infatti, in tema di contenuto della sentenza, la “concisa esposizione dello svolgimento del processo” (Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 36, comma 1, n. 2) e le “richieste delle parti” (Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 36, comma 1, n. 3), non costituiscono un elemento meramente formale, bensi’ un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione dell’intelligibilita’ della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui assenza configura motivo di nullita’ della sentenza quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (Cass., 20/01/2015, n. 920 del 20/01/2015).

Nel caso di specie, sebbene all’interno della parte motiva della sentenza, il giudice a quo, sia pur sinteticamente, ha riportato alcuni dei motivi d’appello del contribuente, in maniera quanto meno sufficiente ad individuare su quali di essi la CTR si sia pronunciata.

E’ vero, peraltro, che l’illustrazione dei motivi d’appello, e la loro conseguente decisione, contenute nella sentenza impugnata, sono oggettivamente parziali, nel senso che diversi dei motivi d’impugnazione proposti dall’appellante nel ricorso di secondo grado (e gia’ introdotti nel ricorso al giudice di prime cure) non sono stati considerati e decisi dalla CTR. Tali carenze, tuttavia, costituiscono, relativamente ad ogni motivo pretermesso nella sentenza, singole omissioni di pronuncia (infatti denunciate, anche separatamente, dal ricorrente nei primi sei motivi del ricorso per cassazione), ciascuna potenzialmente rilevante per la violazione dell’articolo 112 c.p.c., ma non determinanti necessariamente la radicale nullita’ dell’intera sentenza.

4.1. Quanto all’omessa pronuncia (pure denunciata nel primo

motivo) in ordine al motivo d’appello relativo alla nullita’ della sentenza di primo grado, per la violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 36, comma 2, n. 4, a causa della sua motivazione carente od insufficiente, deve rilevarsi che il ricorrente, anche attraverso la riproduzione della relativa parte del ricorso alla CTR, ha evidenziato l’incontestata proposizione della censura nel secondo grado di merito.

Tanto premesso, deve darsi atto che, pur mancando un’espressa motivazione sul punto, la sentenza impugnata ha implicitamente negato la carenza assoluta di motivazione della sentenza di primo grado, della quale ha confermato le statuizioni, all’esito, comunque, della valutazione, nel merito, di alcune delle critiche del contribuente all’atto impositivo, riproposte in appello. Valutazione che, peraltro, la CTR avrebbe comunque dovuto fare, anche in presenza della dedotta carenza assoluta di motivazione, ai sensi del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 59, comma 2. Altra questione, oggetto dei motivi di ricorso successivi al primo, e’ se tale valutazione sia stata solo parziale, ovvero abbia riguardato solo alcuni dei motivi d’appello, in violazione dell’articolo 112 c.p.c.; o viziata in diritto; o non adeguatamente motivata. E’ quindi infondato il primo motivo di ricorso.

5. Il secondo motivo di ricorso e’ a sua volta infondato, almeno nella parte laddove pare voler sostenere che dalle plurime denunciate omissioni di pronuncia, in ordine a diversi dei motivi d’appello del contribuente, possa derivare una globale e complessiva nullita’ della sentenza d’appello, atteso che la mancata decisione su alcuni dei rilievi critici alla sentenza di primo grado ed all’accertamento non determina necessariamente l’invalidita’ della sentenza anche relativamente ai capi sui quali la CTR ha invece provveduto.

Sotto altro aspetto, il contenuto sostanziale del secondo motivo di ricorso raccoglie la denuncia “collettiva” delle omissioni di pronuncia, tutte ciascuna oggetto specifico dei quattro motivi successivi, dalla cui seguente decisione esso risulta sostanzialmente assorbito.

Il secondo motivo e’ quindi infondato.

6. E’ altresi’ infondato il terzo motivo, in quanto non sussiste la pretesa omessa pronuncia in ordine al motivo d’appello relativo all’assunta carenza, gia’ oggetto del ricorso di primo grado, dei presupposti dell’accertamento emesso ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 38, comma 3, perche’ i dati e le notizie che l’Ufficio ha dedotto a sostegno dell’atto impositivo non costituiscono una prova, neppure presuntiva, non essendo dotati dei necessari requisiti di gravita’, precisione e concordanza. Infatti, per quanto sinteticamente, la sentenza ha tenuto conto della critica del contribuente, menzionandola nella parte motiva, e l’ha trattata (anche se in parallelo alle censure attinenti alla motivazione dell’accertamento) e respinta. Altra questione, non attinta dal terzo motivo, e’ se la decisione sia, in parte qua, viziata in diritto o adeguatamente motivata.

7. E’ invece fondato il quarto motivo, avente ad oggetto l’omessa pronuncia in ordine al motivo d’appello relativo al disconoscimento dei costi dedotti dal contribuente.

Infatti” pur essendo incontestato che, come evidenziato anche nel ricorso, il contribuente ha censurato (non solo relativamente alta normativa applicabile) tale rilievo sia nel ricorso introduttivo (generando la controdeduzione dell’Amministrazione anche sulla questione) che nell’appello, la sentenza della CTR ha omesso qualsiasi menzione del relativo motivo d’impugnazione, ne’ dalla motivazione si ricava in alcun modo che su di esso abbia deciso.

8.Infondato e’ il quinto motivo, relativo alla pretesa omessa pronuncia in ordine al motivo d’appello avente ad oggetto la violazione dell’articolo 9, comma 2, t.u.i.r., nella quantificazione dei premi di fonte estera imputati al contribuente, avendo l’Amministrazione convertito arbitrariamente in Euro gli importi, espressi in dollari statunitensi, al tasso medio di conversione dell’anno di riferimento.

La censura, infatti, e’ stata presa in considerazione dalla sentenza impugnata, che menziona espressamente il relativo motivo d’appello nella parte motiva, sia pur interpretandolo come la denuncia di un mero errore di calcolo dell’Ufficio nella conversione. La specifica menzione del motivo d’impugnazione nella motivazione, unita al rigetto dell’appello di cui al dispositivo, conducono quindi a ritenere che il giudice a quo si sia pronunciato sul punto. Altra questione, non attinta dal quinto motivo, e’ se la decisione sia, in parte qua, viziata in diritto o adeguatamente motivata.

9. E’ fondato il sesto motivo, relativo all’omessa pronuncia in ordine al motivo d’appello avente ad oggetto la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 67 e dell’articolo 53 Cost., relativamente all’inclusione, nelle riprese dell’Ufficio, anche di compensi gia’ dichiarati dal contribuente nel Modello Unico 2004 per i redditi percepiti nell’anno 2003, oltre che dei versamenti d’imposta effettuati dallo stesso contribuente in acconto per l’anno 2003, con violazione dell’articolo 19 (attuale 22) t.u.i.r.

Pur essendo incontestato che, come evidenziato anche nel ricorso, il contribuente ha censurato l’atto impositivo in parte qua sia nel ricorso introcluttivo (generando la controdeduzione dell’Amministrazione anche sulla questione) che nell’appello, la sentenza della CTR ha omesso qualsiasi menzione del relativo motivo d’impugnazione, ne’ dalla motivazione si ricava in alcun modo che su di esso abbia deciso.

10. Con il settimo motivo il contribuente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 42; della L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 7; e della L. 7 agosto 1990, n. 241, articolo 3, norme tutte relative all’obbligo di chiarezza e motivazione dell’avviso d’accertamento, per avere il giudice a quo ritenuto che l’atto impositivo non fosse nullo, nonostante la mancata allegazione ad esso dei documenti che richiamava, costituiti dalla segnalazione della Direzione regionale della Lombardia, del questionario inviato dall’Ufficio al contribuente prima dell’emissione dell’atto impositivo, e delle informazioni fornite dall’Association of Tennis Professionals (A.T.P.) e dalla F.I.T.

Giova preliminarmente rilevare che, come risulta dallo stesso ricorso qui in decisione (alle pagg. 11, 20, 42-43), il motivo di ricorso per cassazione e’ conforme a quello introdotto dal contribuente nel ricorso di primo grado nei limiti della descritta censura della motivazione per relationem, e riproposto in appello. Esulano, invece, dall’oggetto ammissibile del motivo in decisione le ulteriori censure alla motivazione dell’atto impositivo, che dallo stesso ricorso risultano proposte ex novo in appello.

Tanto premesso, il contribuente lamenta che il giudice a quo abbia ritenuto sufficiente, al fine di assolvere all’obbligo di motivazione dell’avviso, che “tutte le informazioni allegate alla segnalazione (idest alla segnalazione della Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate che ha costituito l’incipit della verifica sfociata poi nell’accertamento) e poi riportate nell’avviso d’accertamento, erano comunque costituite da dati perfettamente conosciuti dal contribuente o quanto meno conoscibili dallo stesso, dal momento che riguardano la posizione assunta dal (OMISSIS) nella graduatoria della classifica mondiale, con i relativi risultati ottenuti nei tornei ai quali ha partecipato.”.

La mera conoscibilita’ di dati esterni all’accertamento non sarebbe, secondo i contribuenti, equivalente alla conoscenza degli atti (nel caso di specie, documenti) esterni all’accertamento, che, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 42, comma 3, puo’ legittimamente esonerare l’amministrazione dall’allegazione di questi ultimi.

Il motivo e’ infondato.

Va innanzitutto premesso che e’ pacifico (come risulta dalle stesse difese del ricorrente e dalla sentenza impugnata) che l’accertamento contenga il riferimento ad atti esterni, le predette “informazioni”, ad esso non allegati.

Dispone la L. n. 212 del 2000, articolo 7, comma 1, ultimo periodo, a proposito degli atti dell’Amministrazione finanziaria, che: ” Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama.”.

In materia di accertamenti in rettifica ed accertamenti d’ufficio, prevede, a sua volta, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, comma 2, ultimo periodo, come modificato dal Decreto Legislativo 26 gennaio 2001, n. 32, articolo 1, comma 1, lettera c), nella versione vigente ratione temporis, che,: ” Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto ne’ ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.”.

Il successivo comma dispone infine che:” L’accertamento e’ nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non e’ allegata la documentazione di cui al comma 2, ultimo periodo.”.

Nella giurisprudenza di questa Corte, molteplici sono le pronunce che, al fine di soddisfare il requisito della motivazione dell’accertamento, hanno ritenuto sufficiente che l’atto esterno, richiamato da quello impositivo, fosse, se non effettivamente conosciuto, quanto meno conoscibile dal contribuente destinatario dell’avviso.

Non si intende, in questo senso, far riferimento alle affermazioni giurisprudenziali relative alla conoscibilita’ di atti richiamati, gia’ oggetto di precedente notificazione al contribuente (Cass. 25/07/2012, n. 13110), o sottoposti a pubblicita’ legale (Cass. 19/12/2014, n. 27055, in motivazione), trattandosi di ipotesi accomunabili dall’operativita’ di presunzioni legali (per quanto diversificate) di conoscenza, e quindi di equiparazione ex lege della conoscibilita’ alla conoscenza.

Piuttosto, ci si riferisce a quelle pronunce che hanno ritenuto legittima anche la motivazione per relationem che richiami, senza allegarli, atti che si possano presumere, solo iuris tantum, conosciuti dal destinatario dell’accertamento (Cass. 17/12/2014, n. 26527; Cass. 27/11/2015, n. 24254; Cass. 30/10/2018, n. 27628). E, soprattutto, ci si richiama a quell’orientamento che, finanche nel caso di doppia motivazione per relationem, ovvero quando il documento menzionato nella motivazione dell’atto tributario faccia a sua volta riferimento ad ulteriori documenti, ritiene sufficiente che questi ultimi siano, se non in possesso o comunque conosciuti dal contribuente, quanto meno agevolmente conoscibili da quest’ultimo (Cass. 12/12/2018, n. 32127; Cass. 24/11/2017, n. 28060; Cass. 04/06/2018, n. 14275, ex plurimis, in tema di avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii a quello riguardante i redditi della societa’, ancorche’ solo a quest’ultima notificato; Cass. 17/05/2017, n. 12312, ex plurimis, relativa all’accertamento del maggior valore dell’immobile sulla base dei prezzi medi evincibili dal listino della Borsa immobiliare dell’Umbria, pubblicato dalla locale camera di Commercio ed agevolmente reperibile dalla contribuente).

Infatti, deve ritenersi che l’interpretazione giurisprudenziale della L. n. 212 del 2000, articolo 7, comma 1, ultimo periodo e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, comma 2, ultimo periodo e comma 3, nel senso che non sia nullo l’accertamento la cui motivazione fa riferimento ad un altro atto ad esso non allegato, ma conoscibile agevolmente dal contribuente, realizzi un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell’azione amministrativa (e quindi di buon andamento dell’amministrazione, ex articolo 97 Cost.) – che giustificano l’ammissibilita’, anche normativa, della motivazione per relationem (sul punto cfr. Cass. 29/01/2008, n. 1906, in motivazione) – ed il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente (rilevante ex articoli 24 e 111 Cost.) nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo, che sarebbe illegittimamente compresso se la conoscibilita’ dell’atto esterno richiamato dalla motivazione non fosse agevole, ma richiedesse un’attivita’ di ricerca complessa.

Deve, pertanto, ritenersi infondato il settimo motivo di ricorso, che imputa al giudice a quo il preteso errore, in diritto, di avere ritenuto sufficiente, al fine di integrare la motivazione per relationem dell’atto emesso nei confronti della societa’, “quanto meno” la conoscibilita’ dei dati oggetto delle informazioni raccolte dall’Ufficio. Ne’, peraltro, in questa sede e’ sindacabile il giudizio relativo all’effettiva “conoscibilita’” dei dati in questione, trattandosi di valutazione in fatto.

Aggiunto che non e’ specificamente contestata la ratio decidendi ulteriormente esposta nella sentenza, relativamente alla mancata allegazione della predetta segnalazione (“essendo un documento interno non va notificato al contribuente”), e considerato che la questione attinente alla mancata allegazione del questionario e’ correlata ed assorbita da quella relativa alla notifica di quest’ultimo al contribuente ed alle conseguenze della mancata produzione della documentazione con esso richiesta dall’Amministrazione, il settimo motivo va respinto.

11. Con l’ottavo motivo il contribuente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., assumendo che, dal “complessivo iter motivazionale” adottato dalla CTR, si ricaverebbe che quest’ultima ha attribuito al contribuente l’onere di fornire la prova negativa circa l’inesistenza della percezione dei redditi, correlati alle prestazioni sportive professionali, di cui all’accertamento.

12. Con il nono motivo il contribuente, in subordine all’eventuale rigetto del motivo precedente, denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 2727 c.c., assumendo che tali disposizioni sarebbero state violate, ove la motivazione della sentenza impugnata dovesse interpretarsi nel senso che l’Amministrazione, tramite il ricorso a presunzioni semplici, abbia fornito la prova che il contribuente ha percepito i maggiori redditi, derivanti dalle prestazioni sportive professionali, di cui all’accertamento.

Secondo la ricorrente, infatti, il relativo ragionamento inferenziale sarebbe contrario all’articolo 2727 c.c., poiche’ muoverebbe da un fatto (l’effettiva partecipazione del contribuente a tornei di tennis in misura maggiore di quella corrispondente ai compensi dichiarati nell’anno d’imposta in questione) non noto, ma a sua volta presunto dalle informazioni ottenute da F.I.T. ed A.T.P., per presumere altresi’ la percezione dei premi, o comunque dei compensi, che contribuiscono a costituire il maggior imponibile accertato.

12.1. I due motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati.

Infatti, le informazioni provenienti da terzi (e quindi anche da organismi sportivi) costituiscono elementi indiziari che possono costituire i dati e le notizie dai quali desumere, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 38, comma 3, anche sulla base di presunzioni semplici, l’incompletezza, la falsita’ e l’inesattezza dei dati indicati nella dichiarazione (cfr., sulle dichiarazioni a carico del contribuente rilasciate da terzi all’Amministrazione, nella fase di accertamento, Cass. 07/04/2017, n. 9080 e Cass. 16/03/2018, n. 6616, ex plurimis). Ne’, a differenza di quanto pare implicitamente assumere il ricorrente, una volta ricostruita in via indiziaria la piu’ intensa attivita’ sportiva professionale del contribuente, la conseguente determinazione indiziaria dei maggiori redditi contrasta con il divieto del ricorso alla c.d. doppia presunzione. Infatti, questa Corte ha gia’ avuto modo di chiarire che nel sistema processuale non esiste il divieto delle c.d. presunzioni di secondo grado, in quanto lo stesso non e’ riconducibile ne’ agli articoli 2729 e 2697 c.c., ne’ a qualsiasi altra norma e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea – in quanto a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass. 01/08/2019, n. 20748). Infatti, la sussistenza nell’ordinamento del cosiddetto “divieto di presunzioni di secondo grado o a catena”, e’ stata esclusa in quanto: ” a) il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (o “divieto di doppie presunzioni” o “divieto di presunzioni di secondo grado o a catena”), spesso tralaticiamente menzionato in varie sentenze, e’ inesistente, perche’ non e’ riconducibile ne’ agli evocati articoli 2729 e 2697 c.c. ne’ a qualsiasi altra norma dell’ordinamento: come e’ stato piu’ volte e da tempo sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto accertato in base ad una o piu’ presunzioni (anche non legali), purche’ “gravi, precise e concordanti”, ai sensi dell’articolo 2729 c.c., puo’ legittimamente costituire la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva idonea – in quanto, a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass. n. 18915, n. 17166, n. 17165, n. 17164, n. 1289, n. 983 del 2015);” (Cass. 16/06/2017, n. 15003, in motivazione, al § 3).

Non ha dunque errato, in diritto, la sentenza impugnata, laddove, senza alcuna inversione dell’onere probatorio, ha premesso che l’Ufficio ha ottemperato all’onere della prova di sua competenza, attraverso il meccanismo inferenziale fondato sui dati ricavati dall’anagrafe tributaria e dalle predette informazioni, escludendo poi che il contribuente avesse fornito prove contrarie.

13. Con il decimo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 60, comma 1, lettera c); articolo 58, comma 2 e articolo 60, comma 3, per avere il giudice a quo ritenuto validamente notificato dall’Ufficio, l’8 febbraio 2008, il questionario preliminare all’accertamento controverso, presso il domicilio fiscale di Lissone, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi del contribuente, e non presso la residenza anagrafica di quest’ultimo, trasferita in Rimini dal 19 luglio 2007.

Assume infatti il ricorrente che, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 60, comma 3, vigente ratione temporis, “Le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo non risultanti dalla dichiarazione annuale hanno effetto, ai fini delle notificazioni, dal trentesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta variazione anagrafica o, per le persone giuridiche e le societa’ ed enti privi di personalita’ giuridica, dal trentesimo giorno successivo a quello della ricezione da parte dell’ufficio della comunicazione prescritta nell’articolo 36, comma 2. Se la comunicazione e’ stata omessa la notificazione e’ eseguita validamente nel comune di domicilio fiscale risultante dall’ultima dichiarazione annuale.”.

Deduce quindi il ricorrente che, nel caso di specie, in forza della disposizione appena citata, per il contribuente persona fisica, il trasferimento della residenza anagrafica, avvenuto il 19 luglio 2007, sarebbe stato efficace, nei confronti dell’Amministrazione, gia’ dal trentesimo giorno successivo, e quindi sarebbe stato operante alla data, 8 febbraio 2008, della notifica de qua, benche’ non ancora comunicato all’Ufficio, che avrebbe quindi dovuto eseguire la notifica presso la nuova residenza anagrafica del contribuente, che costituiva anche il nuovo domicilio fiscale di quest’ultimo.

Il motivo e’ fondato.

Infatti, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 60, comma 1, lettera c), vigente ratione temporis, la notifica non eseguita in mani proprie del contribuente deve essere fatta nel domicilio fiscale di quest’ultimo, che, in forza del precedente articolo 58, comma 2, per le persone fisiche residenti nel territorio Stato coincide con il Comune nella cui anagrafe sono iscritte.

Nel caso di specie, e’ pacifico (per averlo affermato la stessa Amministrazione, come risulta dalla sentenza) che il ricorrente, gia’ residente anagraficamente e domiciliato ai fini fiscali nel Comune di Lissone, alla data del 24 settembre 2008 aveva trasferito la sua residenza anagrafica nel Comune di Rimini. Tale variazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 58, comma 3, vigente ratione temporis, (e non, come erroneamente sostenuto dal ricorrente, ex articolo 60, comma 3, che riguarda invece il mutamento d’indirizzo all’interno dello stesso Comune di domicilio fiscale: Cass. 06/10/2017, n. 23334, in motivazione), a prescindere dalla sua comunicazione all’Ufficio, era opponibile a quest’ultimo dal sessantesimo (quindi non dal trentesimo) giorno successivo a quello in cui si e’ verificata.

Ed e’ incontestato (per averlo affermato la stessa Amministrazione, come risulta dalla sentenza) che la notifica del questionario, presso la residenza anagrafica precedente alla variazione, e’ avvenuta l’8 febbraio 2008, quindi dopo oltre 60 giorni dalla variazione della residenza anagrafica, opponibile quindi all’Amministrazione.

Pertanto, e’ nulla la notifica del questionario, avvenuta presso la precedente residenza anagrafica, nonche’ domicilio fiscale, del contribuente, che non erano piu’ tali a seguito della predetta variazione e del decorso del termine legale di opponibilita’.

Ne’, comunque, potrebbe ritenersi sanata la notifica per effetto del suo perfezionamento tramite la consegna, presso la residenza anagrafica e domicilio fiscale non piu’ attuali del contribuente, ad un familiare di quest’ultimo, il padre. Infatti, “La notifica a mani di un familiare del destinatario, eseguita presso la residenza del primo, che sia diversa da quella del secondo, non determina l’operativita’ della presunzione di convivenza non meramente occasionale tra i due, con conseguente nullita’ della notificazione medesima, non sanata dalla conoscenza “aliuncle” che ne abbia il destinatario, ove non accompagnata dalla sua costituzione.” (Cass. 25/10/2017, n. 25391 del 25/10/2017; nello stesso senso Cass. 05/04/2011, n. 7750).

Tanto meno, poi, emergono dalla sentenza impugnata, e dalle difese delle parti, elementi dai quali desumere che – anche a prescindere dalle forme della notifica, non indispensabili ai fini di integrare l'”invio” di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, comma 1, – il questionario de quo sia stato comunque comunicato dall’Amministrazione al contribuente in modo che quest’ultimo ne sia venuto effettivamente a conoscenza.

Ha quindi errato il giudice a quo nel ritenere, implicitamente ma inequivocabilmente, valida la notifica del questionario, tanto da ritenere che la mancata risposta allo stesso avrebbe determinato le conseguenze dell’inutilizzabilita’ dei documenti e dei dati non forniti dal contribuente, nella fase preventiva all’emissione dell’accertamento, ai sensi della L. 18 febbraio 1999, n. 25, articolo 25.

La mancata valida notifica del questionario de quo, e comunque la mancata conoscenza, da parte del contribuente, dello stesso atto, non allegato all’accertamento, non determina, di per se’ sola, la nullita’ di quest’ultimo, atteso che: “in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (L. n. 212 del 2000, articolo 7) va inteso in necessaria correlazione con la finalita’ “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone la L. n. 241 del 1990, articolo 3, comma 3. Ne consegue che all’avviso di accertamento vanno allegati i soli atti aventi contenuto integrativo della motivazione dell’avviso medesimo e che non siano stati gia’ trascritti nella loro parte essenziale, ma non anche gli altri atti cui l’Amministrazione finanziaria faccia comunque riferimento, i quali, pur non facendo parte della motivazione, sono utilizzabili ai fini della prova della pretesa impositiva”.

Resta quindi ferma, per quanto gia’ rilevato, la validita’ della motivazione per relationem dell’atto impositivo, fondata su dati e notizie acquisiti comunque aliunde dall’Ufficio. Tuttavia, ai fini della prova dei presupposti dell’imposizione erariale, ha errato il giudice a quo, laddove ha tratto dalla mancata risposta del contribuente al questionario, in realta’ non notificatogli, valutazioni istruttorie e l’inutilizzabilita’ della documentazione e dei dati solo successivamente, in sede contenziosa, prodotti dal contribuente.

14. Va quindi accolto, nei termini di cui alla motivazione che precede, anche l’undicesimo motivo, con il quale il ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, commi 4 e 5, applicabili ratione temporis, modificati dalla L. n. 28 del 1999, articolo 25, per avere il giudice a quo ritenuto inutilizzabili i documenti ed i dati forniti dal contribuente in giudizio.

15. Deve quindi essere cassata, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata, con rinvio al giudice a quo.

P.Q.M.

Rigetta il primo, il secondo, il terzo, il quinto, il settimo, l’ottavo, il nono motivo di ricorso;

accoglie il quarto, il sesto, il decimo e, nei termini di cui in motivazione, l’undicesimo motivo;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.