Corte di Cassazione – Sentenza n. 487 del 10 gennaio 2019

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10235/2016 R.G. proposto da:

(OMISSIS);
– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI PERUGIA e PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimati –

avverso la sentenza del Consiglio Nazionale Forense n. 245/15 depositata il 30 dicembre 2015.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9 ottobre 2018 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

udito l’Avv. (OMISSIS);

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso chiedendo la dichiarazione d’inammissibilita’ del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 30 dicembre 2015, il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato il ricorso proposto dall’avv. (OMISSIS) avverso la Delib. adottata il 26 ottobre 2007, con cui il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Perugia aveva inflitto al ricorrente la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attivita’ professionale per la durata di mesi sette, per i seguenti illeciti, commessi il 17 aprile ed il 7 maggio 2003: a) indebita appropriazione della somma di Euro 15.000,00, ricevuta a titolo di anticipo sul maggiore importo di Euro 145.000,00, dovuto al cliente (OMISSIS) a titolo di risarcimento a seguito di transazione giudiziale, e conseguita tacendo al cliente il reale ammontare, indicato falsamente in Euro 130.000,00, b) indebita appropriazione della somma di Euro 20.000,00, versata dal cliente per essere corrisposta a tal (OMISSIS), a titolo di compenso per l’attivita’ d’informatore svolta in ordine alle iniziative dell’avv. (OMISSIS), difensore dell’avversario del (OMISSIS), con violazione dei doveri di dignita’ e decoro e del divieto del patto di quota lite, e con inadempimento degli obblighi fiscali e previdenziali.

Premesso di aver disposto, in accoglimento di una delle censure proposte dal ricorrente, la sospensione del procedimento in attesa delle definizione di quello penale avente ad oggetto i medesimi fatti, il Consiglio ha rilevato che con sentenza del 4 ottobre 2013 la Corte di cassazione aveva assolto il (OMISSIS) dal reato di appropriazione indebita aggravata, per intervenuta prescrizione, ma aveva confermato le statuizioni civili adottate dal Tribunale e dalla Corte d’appello di Perugia, i quali avevano condannato il ricorrente al risarcimento in favore del (OMISSIS) e del suo fallimento, avendo ritenuto infondate le censure da lui sollevate in ordine alla credibilita’ delle dichiarazioni accusatorie rese dalla parte civile.

Il Consiglio ha ritenuto irrilevante la buona fede dell’incolpato, osservando che ai fini dell’imputabilita’ dell’infrazione disciplinare non e’ necessaria la consapevolezza dell’illegittimita’ dell’azione, ma e’ sufficiente la volontarieta’ dell’atto compiuto, e quindi il dolo generico, in quanto il professionista e’ in possesso delle conoscenze giuridiche necessarie per prevenire o evitare le conseguenze del suo comportamento. Ha ritenuto altresi’ condivisibile la ricostruzione dei fatti compiuta dal Consiglio dell’Ordine, in quanto fondata sulle affermazioni dello stesso ricorrente e dell’esponente e sull’esame dei documenti, nonche’ immune da vizi logici, aggiungendo che la versione dei fatti proposta dal ricorrente risultava contraria a quella emergente dalla sentenza penale irrevocabile. Ha considerato poi ininfluente l’eventualita’ che il (OMISSIS) non avesse agito su richiesta del (OMISSIS), ma si fosse offerto spontaneamente di svolgere il compito affidatogli, ritenendo determinante la circostanza che il ricorrente ne aveva approfittato. Ha ritenuto infine irrilevante l’eventuale imputabilita’ al cliente della violazione degli obblighi fiscali e previdenziali, osservando che gli ostacoli da quest’ultimo frapposti potevano costituire al piu’ indicazioni alle quali il ricorrente avrebbe potuto non ottemperare.

Quanto infine alla misura della sanzione, premesso che gl’illeciti previsti dagli articoli 5, 6 e 15 del Codice Disciplinare Forense sono contemplati anche dagli articoli 9, 16 e 19 nuovo Codice Deontologico, il Consiglio ha rilevato che il contenuto dell’articolo 35 previgente e’ stato ripartito tra i nuovi articoli 11 e 23, il secondo dei quali prevede i requisiti essenziali dell’incarico professionale, la cui violazione comporta sanzioni che vanno dall’avvertimento alla sospensione dall’esercizio della professione, aggiungendo che l’articolo 30, corrispondente al previgente articolo 41, individua la sanzione edittale, con particolare riguardo alla sanzione prevista dal comma secondo, che si attagliava perfettamente alla fattispecie in esame.

2. Avverso la predetta sentenza l’avv. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Il Consiglio dell’Ordine non ha svolto attivita’ difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, si rileva che l’impugnazione risulta proposta in data successiva alla scadenza del termine breve previsto dalla L. 31 dicembre 2012, n. 247, articolo 36, comma 6 (applicabile ratione temporis al ricorso in esame, successivo all’entrata in vigore della predetta legge, ma avente durata identica a quella del termine previsto dal R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 56, comma 3, menzionato dal ricorrente, ma abrogato ai sensi dell’articolo 65 della medesima Legge): il termine in questione decorre infatti dalla notificazione della sentenza impugnata, effettuata il 17 febbraio 2016, mentre il ricorso risulta consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica in data 20 aprile 2016, e quindi oltre il trentesimo giorno successivo.

1.1. Il ricorrente non contesta la scadenza del termine, ma sollecita, ai sensi dell’articolo 153 c.p.c., comma 2, la rimessione in termini ai fini della proposizione del ricorso per cassazione, sostenendo di essere incorso nella decadenza per causa a lui non imputabile: assume infatti di non aver potuto proporre tempestivamente l’impugnazione, in quanto la sentenza impugnata, notificata al suo difensore avv. (OMISSIS) presso il domicilio eletto per il precedente grado del giudizio, e’ stata consegnata a persona non avente titolo a riceverla per conto dello stesso. Precisa al riguardo che la notificazione e’ stata effettuata presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), figlio del difensore ed avente il proprio ufficio al medesimo indirizzo di quello del padre, aggiungendo che l’atto e’ stato erroneamente consegnato alla segretaria dello stesso, qualificatasi come addetta alla ricezione, dal momento che il suo difensore, colpito da una grave patologia, era stato costretto ad abbandonare la professione ed a chiudere il proprio studio dopo la celebrazione dell’udienza dinanzi al Consiglio Nazionale Forense.

1.2. L’istanza non merita accoglimento.

A sostegno del proprio assunto, il ricorrente si e’ infatti limitato a fornire la prova della grave malattia che ha colpito il difensore costituito nel giudizio dinanzi al Consiglio Nazionale Forense ed il conseguente abbandono dell’attivita’ professionale da parte dello stesso, mediante una dichiarazione rilasciata dallo stesso avv. (OMISSIS) con allegata documentazione medica, senza tuttavia dimostrare che alla predetta situazione abbia fatto riscontro la cancellazione del difensore dall’albo, in data anteriore a quella in cui ha avuto luogo la notificazione della sentenza impugnata: in mancanza del predetto adempimento, la notificazione deve considerarsi correttamente eseguita presso il domicilio eletto dal difensore costituito nella precedente fase processuale, ed a mani di persona qualificatasi come addetta alla ricezione degli atti, con la conseguente esclusione della possibilita’ di dichiararne la nullita’. E’ solo la cancellazione dall’albo, infatti, a determinare la decadenza del professionista dall’ufficio di procuratore ed avvocato e a far quindi cessare lo jus postulandi, il cui venir meno comporta altresi’ la perdita da parte del difensore della legittimazione a compiere e ricevere atti processuali per conto del cliente (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 13/02/2017, n. 3702; Cass., Sez. lav., 21/09/2011, n. 19225; Cass., Sez. 1, 20/01/2006, n. 1180). In mancanza della stessa, non puo’ assumere alcun rilievo la cessazione di fatto dell’attivita’ professionale, la quale, anche quando si traduce nella rinunzia al mandato, non dispensa il difensore dal compito di ricevere la notificazione degli atti e darne notizia al cliente, in adempimento del dovere di diligenza professionale a lui incombente, a meno che non si sia provveduto alla sua sostituzione con un altro avvocato e la stessa sia stata ritualmente portata a conoscenza delle controparti e dell’ufficio. La circostanza che nella specie l’attivita’ dello studio professionale sia proseguita sotto la guida dello avv. (OMISSIS), figlio dell’avv. (OMISSIS), che ha verosimilmente ereditato l’organizzazione di mezzi e persone predisposta dal padre ai fini dell’esercizio della professione, consente a sua volta di escludere il difetto di legittimazione della dipendente che ha ricevuto la notifica della sentenza impugnata: e’ noto d’altronde che, in caso di consegna dell’atto presso lo studio del legale domiciliatario a mani di un soggetto ivi rinvenuto, la qualita’ di addetto alla ricezione si presume in virtu’ della mera presenza di quest’ultimo nel luogo in questione, restando pertanto a carico del destinatario della notifica l’onere di dimostrare il difetto di legittimazione della persona, allegando e provando che la sua presenza aveva carattere occasionale o era dovuta ad un rapporto di lavoro non collegato all’attivita’ professionale o non era accompagnata da un’apposita delega (cfr. Cass., Sez. 6, 30/10/2013, n. 24502; Cass., Sez. 1, 27/12/2011, n. 28895; Cass., Sez. 3, 26/05/1999, n. 5109). In presenza di una notifica valida ed efficace, il mero impedimento del difensore, sia pure dovuto a gravi ragioni di salute, non puo’ considerarsi sufficiente a giustificare l’inosservanza del termine per la proposizione del ricorso per cassazione, non traducendosi per l’interessato nell’impossibilita’ di acquisire conoscenza della sentenza impugnata, della quale avrebbe potuto avere notizia quanto meno dai collaboratori dello studio professionale, e di proporre quindi tempestivamente l’impugnazione, attraverso il conferimento dell’incarico ad un altro avvocato.

2. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.