Corte di Cassazione – Sentenza n. 19166 del 28 settembre 2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro p.t., domiciliato in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, dalla quale e’ rappresentato e difeso per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 1332/08, pubblicata il 31 marzo 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4 giugno 2015 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

udito l’avv. (OMISSIS) per le ricorrenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – (OMISSIS) convenne in giudizio il Ministero del Tesoro, proponendo opposizione all’ingiunzione emessa il 15 maggio 1996 ai sensi del Regio Decreto 14 aprile 1910, n. 639, articolo 2, con cui gli era stata intimata la restituzione della somma di lire 13.247.274.657, da lui percepita in esecuzione della sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Roma il 15 maggio 1991 ed annullata dalla Corte di Cassazione con sentenza del 7 ottobre 1993, n. 9941/93. Premesso che il predetto importo gli era stato riconosciuto a titolo d’interessi e rivalutazione monetaria sull’indennizzo liquidato per i beni e le attivita’ perduti nel territorio ceduto dall’Italia alla Jugoslavia, eccepi’ la mancata riassunzione del giudizio a seguito della sentenza di cassazione, chiedendo inoltre, ai sensi della Legge 29 gennaio 1994, n. 98, il riconoscimento di ulteriori indennizzi per la perdita di proprieta’ situate in territorio jugoslavo e dell’avviamento di un’azienda agricola.

1.1. – Con sentenza del 28 marzo 2000, il Tribunale di Roma rigetto’ la domanda.

2, – Sull’appello proposto dall’attore nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, succeduto al Ministero del Tesoro, il giudizio, dichiarato interrotto per la morte del (OMISSIS), e’ stato riassunto da (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita’ di eredi dell’appellante, e la Corte d’Appello di Roma con sentenza del 31 marzo 2008 ha rigettato l’impugnazione.

A fondamento della decisione, la Corte ha escluso la nullita’ della notificazione dell’ingiunzione, rilevando che, dopo il fallimento di un primo tentativo effettuato presso un altro indirizzo, il provvedimento era stato consegnato presso il domicilio indicato nel passaporto del (OMISSIS), con l’osservanza della procedura prescritta dall’articolo 142 c.p.c., e dall’accordo italo-svizzero del 1 giugno 1988. Ha ritenuto irrilevante, a tal fine, la mancanza della relata di ricezione del plico, avendo l’atto raggiunto il suo scopo, come dimostrato dall’avvenuta proposizione dell’opposizione da parte del destinatario, che aveva prodotto la copia del provvedimento notificatogli. Ha comunque escluso che la nullita’ della notificazione comportasse l’invalidita’ o l’inefficacia dell’ingiunzione, aggiungendo che, in quanto utilizzabile anche per la riscossione delle entrate di diritto privato, tale provvedimento puo’ essere emesso anche per il recupero di somme indebitamente corrisposte dalla Pubblica Amministrazione, senza che occorra un altro provvedimento che accerti e quantifichi il debito restitutorio. Ha confermato inoltre la certezza, liquidita’ ed esigibilita’ del credito azionato, derivante da una sentenza passata in giudicato, ed ha escluso che l’ingiunzione dovesse essere emessa dal Ministro, ritenendo legittima la sottoscrizione apposta dal reggente della direzione generale interessata.

Precisato poi che la restituzione degl’interessi non era dovuta dalla data della domanda, ma da quella del pagamento, la Corte ha affermato che dovevano essere restituiti sia gl’interessi e la rivalutazione maturati anteriormente all’entrata in vigore della Legge n. 135 del 1985, che quelli successivi, in quanto la cassazione della precedente sentenza, nella parte in cui aveva riconosciuto gl’interessi e la rivalutazione, comportava il definitivo accertamento che le relative somme non erano dovute per il periodo anteriore alla predetta legge, mentre per quelle maturate successivamente incombeva al (OMISSIS), che non l’aveva adempiuto, l’onere di riassumere il giudizio. In proposito, ha dichiarato infondata anche la questione di legittimita’ costituzionale della Legge n. 135 cit., osservando che la stessa riconosce ai creditori una rivalutazione considerevole dei vecchi crediti.

Quanto infine alla perdita dell’avviamento del complesso agricolo-forestale, la Corte ha ritenuto che il riconoscimento dell’indennizzo fosse precluso dal giudicato formatosi a seguito del precedente giudizio: premesso infatti che il relativo indennizzo poteva essere richiesto anche in epoca anteriore all’entrata in vigore della Legge n. 98 del 1994, articolo 1, avente carattere meramente interpretativo, ha rilevato che nel predetto giudizio il (OMISSIS) non aveva formulato alcuna domanda al riguardo, nonostante fosse stata espletata una c.t.u. per l’accertamento della consistenza dell’azienda agricola e forestale e la liquidazione del relativo indennizzo.

3. – Avverso la predetta sentenza le (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in sette motivi, illustrati anche con memoria. Il Ministero ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, le ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione degli articoli 142 e 148 c.p.c. e articolo 156 c.p.c., comma 3, sostenendo che la mancanza della relata di ricezione del plico non comportava la mera nullita’, ma la radicale inesistenza della notifica dell’ingiunzione, per assoluta divergenza della stessa dal modello legale. Aggiunge che, riguardando un atto formatosi al di fuori del processo, la notificazione non era sanabile ai sensi dell’articolo 156, comma 3, non essendo la domanda assimilabile ad un’opposizione al decreto ingiuntivo, e non potendosi equiparare la citazione introduttiva alla costituzione del convenuto.

2. – Con il secondo motivo, le ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 479 c.p.c. e del Regio Decreto n. 639 del 1910, articoli 2 e 3, osservando che, nell’affermare la validita’ dell’ingiunzione, indipendentemente dalla sua notificazione, la sentenza impugnata non ha considerato che quest’ultima costituisce un elemento imprescindibile del procedimento volto alla realizzazione della pretesa fiscale, in quanto, oltre ad adempiere la funzione di notifica del titolo esecutivo e del precetto, produce gli effetti sostanziali della domanda e comporta la decorrenza del termine per l’opposizione.

3. – I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, non meritano accoglimento, pur dovendosi procedere, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., u.c., alla correzione della motivazione della sentenza impugnata, il cui dispositivo risulta conforme al diritto.

La notificazione dell’ingiunzione ha avuto infatti luogo, ai sensi dell’articolo 142 c.p.c., comma 3, mediante la procedura disciplinata dalla Convenzione relativa alla notifica all’estero di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale, adottata all’Aja il 15 novembre 1965 e resa esecutiva nel nostro ordinamento con Legge 6 febbraio 1981, n. 42, in vigore nei rapporti tra l’Italia e la Svizzera dal 1 gennaio 1995, la quale prevede, all’articolo 6, il rilascio di un’attestazione da parte dell’autorita’ centrale dello Stato richiesto, la quale da atto dell’esecuzione della richiesta ed indica la forma, il luogo e la data della notifica e la persona alla quale l’atto e’ stato consegnato. Tale attestazione svolge la medesima funzione della relazione di notificazione prevista dall’articolo 148 c.p.c., facendo piena prova, fino a querela di falso, dell’avvenuta consegna dell’atto nelle forme prescritte, e quindi del perfezionamento del procedimento notificatorio (cfr. Cass., Sez. 2, 28 maggio 1984, n. 3257), e la sua mancanza, alla quale non puo’ sopperirsi mediante il ricorso ad altri elementi di prova, non determina la mera nullita’ della notifica, come affermato dalla sentenza impugnata, ma l’inesistenza della stessa, non sanabile ai sensi dell’articolo 156 c.p.c., comma 3, per effetto del raggiungimento dello scopo dell’atto (cfr. Cass., Sez. 3, 18 settembre 2007, n. 19358; Cass., Sez. 1, 25 giugno 2004, n. 11853; Cass., Sez. lav., 5 luglio 2003, n. 10636).

L’inesistenza della notificazione non incide tuttavia sulla validita’ e l’efficacia dell’ingiunzione quale atto amministrativo contenente l’ordine di pagare una determinata somma, e quindi sulla sua idoneita’ a costituire titolo per l’esecuzione forzata, ma solo sulla procedibilita’ dell’azione esecutiva, che l’articolo 479 c.p.c., subordina alla notifica del titolo esecutivo e del precetto, rispetto alla quale la notificazione dell’ingiunzione assolve una funzione sostitutiva, nonche’ sulla decorrenza del termine per l’opposizione, anch’essa ancorata alla notifica del provvedimento, ai sensi del Regio Decreto n. 639 del 1910, articolo 3 (cfr. Cass., Sez. 5, 20 settembre 2006, n. 20360; Cass., Sez. 1, 24 aprile 1996, n. 3880). Fermo restando, pertanto, che ai fini dell’instaurazione del procedimento esecutivo si rendera’ necessario procedere ad una nuova notificazione del provvedimento, dovendosi ritenere tamquam non esset quella effettuata, non merita censura la decisione adottata dalla Corte di merito, nella parte in cui ha escluso che il vizio in questione comportasse la dichiarazione d’illegittimita’ dell’ingiunzione, affermando nel contempo che esso non costituiva ostacolo ad una pronuncia in ordine alla legittimita’ ed alla fondatezza della pretesa fatta valere dall’Amministrazione, essendo stato il provvedimento esternato validamente ed avendone l’interessato avuto piena conoscenza, tanto da essere stato in grado di spiegare una dettagliata opposizione.

4. – Con il terzo motivo, le ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 389 c.p.c. e dell’articolo 144 disp. att. c.p.c., sostenendo che, in quanto fondata sulla cassazione della precedente sentenza, la pretesa restitutori a non poteva essere fatta valere autonomamente dinanzi al giudice competente in via ordinaria, ma spettava alla competenza funzionale ed inderogabile del giudice di rinvio, dinanzi al quale avrebbe pertanto dovuto essere avanzata. Nell’escludere la risarcibilita’ dei danni per il periodo anteriore all’entrata in vigore della Legge n. 135 del 1985, la sentenza di cassazione aveva d’altronde demandato proprio al giudice di rinvio l’individuazione del momento dal quale l’Amministrazione poteva ritenersi costituita in mora, e quindi la data di decorrenza degl’interessi, al cui accertamento risultava pertanto subordinata anche la determinazione delle somme che l’attore avrebbe dovuto restituire.

4.1. – Il motivo e’ infondato.

E’ pur vero, infatti, che, secondo l’orientamento piu’ recente di questa Corte, in caso di cassazione con rinvio, la domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza cassata, pur potendo essere proposta mediante l’introduzione di un nuovo giudizio, autonomo rispetto a quello di rinvio, al quale non va necessariamente riunito (cfr. Cass., Sez. 3, 6 novembre 2012, n. 19153; 21 giugno 2004, n. 11490; Cass., Sez. 2, 29 gennaio 2007, n. 1779), non dev’essere avanzata dinanzi a giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie, ma dinanzi a quello competente per effetto del rinvio, anche nel caso in cui il giudizio di rinvio non sia mai stato introdotto o si sia estinto (cfr. Cass., Sez. 6, 4 settembre 2013, n. 20327; Cass., Sez. 3, 29 agosto 2008, n. 21901). Peraltro, a differenza di quanto accade per il decreto ingiuntivo, la cui notificazione equivale alla proposizione della domanda giudiziale, quella dell’ingiunzione prevista dal Regio Decreto n. 639 del 1910, articolo 2, non comporta l’introduzione di un giudizio, trattandosi di un atto amministrativo finalizzato direttamente all’esecuzione forzata, con la conseguenza che la sua emissione non soggiace alla disciplina della competenza dettata per il giudizio ordinario di cognizione. E’ la notificazione dell’opposizione ad introdurre un giudizio di accertamento negativo della pretesa fatta valere in via amministrativa, nel quale l’ingiunto assume la posizione di attore in senso non solo formale, ma anche sostanziale, avuto riguardo alla presunzione di legittimita’ che assiste il credito, in quanto attestato dall’ente pubblico, che pone a suo carico l’onere di provare l’infondatezza della predetta pretesa (cfr. Cass., Sez. 1, 25 giugno 2009, n. 14905; 2 aprile 2004, n. 6487; Cass., Sez. 3, 11 febbraio 2009, n. 3341). Nella specie, pertanto, anche a voler ritenere che tale accertamento non spettasse al Tribunale, competente a decidere sull’opposizione ai sensi del cit. Regio Decreto n. 639, articolo 2, ma alla Corte d’Appello, in qualita’ di giudice di rinvio cui era demandata la pronuncia sulla restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza cassata, non ne conseguirebbe l’illegittimita’ dell’ingiunzione, non essendo applicabile a quest’ultima il principio riguardante il decreto ingiuntivo, secondo cui la dichiarazione d’incompetenza del giudice adito comporta la nullita’ del provvedimento. In ogni caso, analogamente a quanto accade nei giudizi devoluti alla competenza della corte d’appello in unico grado nel caso in cui la domanda sia stata erroneamente proposta dinanzi al tribunale, il difetto di competenza del giudice adito in primo grado deve ritenersi superato per effetto dell’avvenuta riproposizione della domanda in appello, che, avendo comportato il riesame della controversia da parte del giudice funzionalmente competente a pronunciare in ordine alla pretesa azionata, preclude definitivamente il rilievo dell’incompetenza (cfr. Cass., Sez. 1, 10 maggio 2012, n. 7154; 11 dicembre 2009, n. 25966; 24 novembre 2006, n. 25013).

5. – Con il quarto motivo, le ricorrenti denunciano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo che, nel ritenere legittima la sottoscrizione dell’ingiunzione da parte del dirigente preposto alla Direzione Generale degli Affari Generali e del Personale del Ministero, la sentenza impugnata non ha considerato che la competenza spettava, ratione materiae, alla Direzione Generale del Tesoro.

5.1. – Il motivo e’ inammissibile, in quanto, riflettendo l’incompetenza dello organo che ha sottoscritto l’ingiunzione, da valutarsi alla stregua delle norme che disciplinano il riparto delle competenze nell’ambito dell’Amministrazione, non attiene alla ricostruzione della fattispecie concreta, sindacabile da questa Corte per vizio di motivazione, ma alla ricognizione della fattispecie astratta, censurabile in sede di legittimita’ esclusivamente per violazione di legge. Tale vizio non puo’ essere peraltro dedotto, come nella specie, mediante la generica riproposizione della tesi sostenuta nel giudizio di merito, ma richiede la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, nonche’ lo svolgimento di specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in qua modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, si pongono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimita’ (cfr. tra le piu’ recenti, Cass., Sez. 6, 15 gennaio 2015, n. 635; 1 dicembre 2014, n. 25419; 26 giugno 2013, n. 16038).

6. – Con il quinto motivo, le ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, osservando che la sentenza impugnata ha omesso di esaminare le doglianze concernenti il mancato riconoscimento degl’interessi e del maggior danno per il periodo successivo all’entrata in vigore della Legge n. 135 del 1985. Premesso infatti che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, la relativa domanda era stata ritualmente proposta in primo grado e riproposta in appello, evidenziano che il predetto rilievo si pone in contrasto con la successiva affermazione, secondo cui la pretesa in questione sarebbe rimasta sfornita di prova.

6.1. – Il motivo e’ fondato.

Con la sentenza del 15 maggio 1991, in esecuzione della quale sono state pagate le somme per la cui restituzione e’ stata emessa l’ingiunzione, la Corte d’Appello di Roma, nel riformare parzialmente la sentenza di primo grado, accolse tra l’altro la domanda di riconoscimento degl’interessi e della rivalutazione monetaria sulle somme liquidate a titolo d’indennizzo, ritenendo irrilevante l’intervenuta applicazione dei coefficienti di rivalutazione previsti dalla Legge n. 135 del 1985. Tale statuizione fu cassata da questa Corte con la sentenza n. 9941/93, la quale affermo’ che per il periodo anteriore all’entrata in vigore della predetta legge la questione relativa alla risarcibilita’ del danno eventualmente subito dagli attori per il ritardo nel riconoscimento dell’indennizzo doveva ritenersi superata proprio per effetto dell’applicazione dei coefficienti di rivalutazione, la cui misura, particolarmente elevata, rispondeva anche alla finalita’ di assicurare un risarcimento forfettario del predetto pregiudizio. Per il periodo successivo, fu invece demandato al giudice di rinvio il compito di stabilire se gli attori avessero diritto al risarcimento, con la precisazione che, ai fini della liquidazione della differenza tra l’indennizzo finale e quello riconosciuto in base alla Legge n. 16 del 1980, la mancata applicazione del moltiplicatore introdotto dalla cit. Legge n. 135, articolo 5, comma 2, prima parte, non era configurabile come inesatto adempimento, trattandosi di una norma generale espressamente derogata da quella speciale contenuta nella seconda parte.

Nel procedere alla determinazione della somma dovuta in restituzione, la sentenza impugnata ha peraltro omesso di provvedere al predetto accertamento, rigettando la richiesta di detrazione dell’importo dovuto per interessi e rivalutazione maturati successivamente all’entrata in vigore della Legge n. 135 del 1985, in virtu’ del rilievo che gli attori, oltre a non aver riassunto il precedente giudizio dinanzi al giudice di rinvio, in sede di opposizione si erano limitati a chiedere genericamente il rigetto della pretesa azionata dall’Amministrazione. Orbene, premesso che l’estinzione del giudizio conseguente alla mancata riassunzione dinanzi al giudice di rinvio non precludeva la proposizione di un’autonoma domanda di riconoscimento degl’interessi e della rivalutazione sulle somme liquidate, nei limiti temporali segnati dal decorso del relativo termine di prescrizione, si osserva che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, la predetta domanda era stata ritualmente avanzata nell’atto di opposizione, nelle cui conclusioni, testualmente riportate nel ricorso, l’attore aveva chiesto espressamente la condanna del Ministero al pagamento degl’interessi compensativi e moratori e del maggior danno, ai sensi dell’articolo 1224 c.c., comma 2, sulle somme dovute quali ratei ed anticipazioni dell’indennizzo, a far data dalla singole disposizioni di legge attributive di tale diritto. Tale domanda, il cui esame doveva ritenersi precluso dal giudicato formatosi a seguito della sentenza di cassazione soltanto per la parte riguardante gl’interessi e la rivalutazione maturati in data anteriore alla Legge n. 135 del 1985, avrebbe dovuto invece costituire oggetto di specifica considerazione per quelli maturati in epoca successiva, quanto meno ai fini della detrazione del relativo importo da quello dovuto in restituzione, tenuto conto della precisazione compiuta da questa Corte nella predetta sentenza, nonche’ dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimita’ in riferimento alla decorrenza dei predetti interessi.

7. – Con il sesto motivo, le ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione della Legge n. 98 del 1994, articolo 1, degli articoli 11 e 12 preleggie degli articoli 2909 e 2135 c.c., sostenendo che, nel ritenere precluso dal giudicato il riconoscimento dell’indennizzo per la perdita dell’avviamento dell’azienda agricola, in quanto ammissibile anche prima dell’entrata in vigore dell’articolo 1 cit., la sentenza impugnata ha erroneamente attribuito natura interpretativa a tale disposizione, non avendo considerato che l’avviamento costituisce una qualita’ tipica dell’impresa industriale o commerciale, mai considerata riferibile all’attivita’ agricola pura, consistente nella coltivazione del fondo o, come nella specie, nello spontaneo accrescimento della vegetazione. Nell’ammettere l’indennizzo anche per l’avviamento di tali attivita’, oltre che per i beni immateriali, il legislatore ha inteso fornire l’interpretazione autentica della precedente disciplina soltanto in riferimento a questi ultimi, dettando per il primo una norma innovativa, che si sovrappone parzialmente a quella precedente, con il palese intento d’integrarne i contenuti.

8. – Con il settimo motivo, le ricorrenti denunciano l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, osservando che, nel ritenere precluso dal giudicato il riconoscimento dell’indennizzo per la perdita dell’avviamento della azienda agricola, in quanto ammissibile anche prima dell’entrata in vigore della Legge n. 98 del 1994, la sentenza impugnata non ha individuato la fonte del relativo diritto e non ha tenuto conto della natura dei beni perduti, ai quali, in mancanza di un’apposita disposizione, non poteva essere attribuito un valore di avviamento, non consistendo gli stessi in un’azienda industriale o commerciale, ma in proprieta’ agricole con prevalente destinazione ad attivita’ di silvicoltura.

9. – I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la medesima questione, sono infondati.

In tema di liquidazione dell’indennizzo dovuto per i beni e i diritti perduti da cittadini italiani all’estero in conseguenza dei provvedimenti adottati da autorita’ straniere esercenti la sovranita’ sui relativi territori, questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare che l’indennita’ relativa all’avviamento, che il Ministero competente e’ autorizzato ad erogare in favore delle ditte esercenti attivita’ industriali, commerciali, agricole, di servizi, marittime, immobiliari, professionali ed artigianali, ai sensi della Legge n. 98 del 1994, articolo 1, comma 1, secondo, terzo e quarto periodo, non costituisce oggetto di un diritto a se’ stante, valutabile indipendentemente dalla ditta, ma solo una delle voci che concorrono alla determinazione della somma dovuta, la cui finalita’, consistente nel ristorare la perdita dell’azienda posseduta nei territori indicati dalla legge, esclude la configurabilita’ di tale elemento come un bene indennizzabile indipendentemente dall’azienda di cui esprime una qualita’. Pertanto, anche a voler ritenere, conformemente all’orientamento prevalente della dottrina commercialistica, che, in quanto espressivo della redditivita’ dell’azienda o della sua attitudine a produrre beni e servizi, l’avviamento costituisca un’entita’ autonoma rispetto ai beni materiali ed immateriali di cui l’azienda e’ composta, la sua inclusione nella consistenza complessivamente valutabile ai fini della liquidazione dell’indennizzo consente di affermare che, al di fuori dell’ipotesi, nella specie non ricorrente, in cui l’attore si sia riservato espressamente di far valere in un separato giudizio altre voci di danno, ovvero la sentenza abbia rinviato ad altro processo la liquidazione di una parte del pregiudizio lamentato, il giudicato formatosi in ordine al riconoscimento dell’indennizzo preclude la riproposizione della domanda per far valere danni ulteriori derivanti dal medesimo evento. Nessun rilievo puo’ assumere, in contrario, la portata asseritamente non interpretativa, ma innovativa della disciplina dettata dalla Legge n. 98 del 1994, articolo 1, in quanto, indipendentemente dalla novita’ delle voci di danno da essa contemplate rispetto a quelle ammesse ad indennizzo dalla normativa previgente, la sua natura di jus superveniens consente in ogni caso di escluderne l’applicabilita’ al rapporto in esame, gia’ definito al momento della sua entrata in vigore (cfr. Cass., Sez. 1, 28 agosto 2004, n. 17207).

10. – La sentenza impugnata va pertanto cassata, in accoglimento del quinto motivo di ricorso, mentre gli altri motivi vanno rigettati, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello di Roma, che provvedera’, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte di Appello di Roma, anche per la liquidazione delle spese processuali.