Corte D`Appello Civile Palermo – Sentenza n. 1692 del 22 agosto 2019

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 560/2015 del R.G. di questa Corte di Appello, promossa in questo grado da
(omissis);
appellante

contro

COMUNE DI CEFALU’, in persona del Sindaco pro tempore;
appellato

Conclusioni per l’appellante:
“nel merito, in accoglimento del presente appello ed in riforma della sentenza n. 5701/2014 resa fra le parti dal Tribunale di Palermo,
sez. III civile, il 21 novembre 2014, respingere le domande proposte in primo grado dal Comune di Cefalù ed invece accogliere le domande proposte davanti al Tribunale in via riconvenzionale
e subordinata dalla odierna appellante. Condannare il Comune di Cefalù al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.”

Conclusioni per l’appellato:
“Preliminarmente, nel rito:
– Accertare, ritenere e dichiarare la regolarità ed il perfezionamento della notifica sentenza n. 5701/2014 eseguita dal sottoscritto procuratore in data 10 dicembre 2014 al procuratore costituito in primo grado, avv. (omissis), e, per l’effetto di cui all’art. 325 c.p.c., dichiarare la decadenza dall’azione di proposizione del gravame ex artt. 326 e 327 c.p.c.;

– Conseguentemente, dichiarare l’inammissibilità e\o improponibilità dell’appello spiegato dall’arch. (omissis) e dichiarare l’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza n. 5701/2014 alla data del 9 gennaio 2015;

– In subordine, nel rito:
– Accertare e dichiarare l’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c.

Nel merito in via principale:
– Accertare, ritenere e dichiarare, per i motivi e le ragioni supra esposte, l’infondatezza delle pretese ex adverso formulate e, conseguentemente, con qualsiasi statuizione rigettare le domande tutte proposte contro il Comune di Cefalù;
– Rigettare, con qualsiasi statuizione, per i motivi e le ragioni esposte in narrativa, le domande riconvenzionali avanzate dall’arch. (omissis) nei confronti del Comune di Cefalù.

Nel merito in via subordinata:
– Nella non temuta ipotesi di accoglimento della domanda riconvenzionale dell’odierna appellante, dichiarare ope iudicis la parziale compensazione del credito vantato dal Comune di Cefalù con le somme dovuta all’arch. (omissis) a titolo di gettoni di presenza, indennità per la partecipazione ad organi o commissioni e indennità di fine mandato.
– Per l’ effetto di cui supra, condannare l’arch. (omissis) al pagamento della residua somma dovuta al Comune di Cefalù.
– Con vittoria di spese e competenze del doppio grado di giudizio da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore antistatario”.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con sentenza n. 5701/2014 del 17/21 novembre 2014, il Tribunale di Palermo, in parziale accoglimento della domanda proposta dal Comune di Cefalù, ha condannato (omissis) al pagamento, in favore del predetto Comune, della somma di € 218.513,85, oltre interessi, a titolo di rimborso dell’indennità di carica e poi di funzione, dalla stessa indebitamente percepita nel periodo in cui rivestiva la carica di Sindaco del Comune di Cefalù (dal 14.12.1997 al 9.06.2002), nonché al pagamento delle spese processuali, dichiarando inammissibili o rigettando le domande e le eccezioni riconvenzionali formulate dalla convenuta.

2. A seguito dell’appello proposto dalla (omissis), trattato nel contraddittorio con il Comune di Cefalù, costituito e resistente, disposta la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, la causa è stata rimessa all’udienza collegiale del 19.12.2018 e in pari data assunta in deliberazione sulle conclusioni trascritte in epigrafe, con assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusioni ed eventuali memorie di replica.

3. Esigenze di priorità logica impongono preliminarmente l’esame dell’eccezione di inammissibilità dell’appello, sollevata dal Comune di Cefalù, per decorrenza del termine stabilito dall’art. 325 c.p.c. per l’impugnazione. L’eccezione fondata.

Invero, il Comune ha notificato alla (omissis) la sentenza impugnata (sottoscritta dal primo giudice con firma digitale), con trasmissione di copia informatica estratta dal fascicolo informatico, mediante posta elettronica certificata (PEC), in data 10.12.2014, alle ore 17:02:35, ai sensi dell’art. 3-bis della L. n. 53/1994, all’indirizzo PEC del procuratore costituito in primo grado (che difende l’appellante anche nel presente grado del giudizio), risultante dall’INI-PEC. La notifica è avvenuta, con la consegna nella casella di destinazione (omissis).

Sia il messaggio di posta elettronica che la relazione di notificazione ivi inserita (versati in atti dal Comune in forma cartacea, essendosi il medesimo costituito in appello mediante memoria depositata in cancelleria in data 18.05.2015) contengono tutte le indicazioni previste dal citato art. 3-bis commi 4 e 5 della L. n. 53/1994 (cfr. allegati sub 4 alla memoria di costituzione in appello del Comune di Cefalù). In particolare, oltre alle ricevute di consegna e di accettazione della PEC, è stata prodotta la relazione di notificazione, redatta su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale e allegato al messaggio di PEC, contenente tutte le indicazioni di cui all’art. 3-bis L. n. 53/1994 (e in particolare l’attestazione di conformità all’originale della sentenza notificata), nonché l’attestazione di
conformità (atto facente fede fino a querela di falso), sottoscritta dall’avvocato (omissis) con firma autografa, con la quale il difensore del Comune appellato ha certificato la conformità di tutte le copie cartacee prodotte ai rispettivi originali informatici da cui sono state estratte.

L’appellato ha prodotto, altresì, un’attestazione del Direttore amministrativo della Cancelleria del Tribunale di Palermo – Ufficio del Registro generale degli affari contenzioni civili, in cui risulta certificata l’avvenuta notificazione in data 10.12.2014 della sentenza impugnata all’avvocato (omissis).

La notifica della sentenza effettuata alla controparte a mezzo PEC, ai sensi dell’art. 3-bis della L. n. 52/1994, nel testo ratione temporis vigente, è senz’altro idonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione nei confronti del destinatario, ove il notificante provi di avere allegato e prodotto la copia cartacea del messaggio di trasmissione a mezzo posta elettronica certificata, le ricevute di avvenuta consegna e accettazione e la relata di notificazione, sottoscritta digitalmente dal difensore, nonché la copia conforme della sentenza (Cass. n. 21597/2017).

Sul punto appare del tutto destituita di fondamento l’eccezione di nullità di tale notificazione, sollevata dall’appellante, secondo la quale la PEC con la quale è stata notificata la sentenza oggetto di primo grado non sarebbe mai pervenuta all’indirizzo di posta certificata del suo difensore.

L’avvenuta consegna di tale PEC, infatti, risulta attestata sia dalle ricevute cartacee prodotte in atti (sufficienti a dimostrare, secondo la giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, l’effettiva consegna al domicilio digitale), prive di qualsivoglia segnalazione di malfunzionamento o errore di trasmissione del sistema informatico del gestore (Aruba), sia dall’estratto log del file “daticert.xml” e del file “postacert.eml” (allegati dal Comune alle note autorizzate del 2.07.2015), da cui emerge ulteriormente l’avvenuta regolare consegna del messaggio all’indirizzo del destinatario. In particolare, dal file “daticert.xml” risulta che il messaggio trasmesso dall’indirizzo PEC (omissis) a quello (omissis) il giorno 10.12.2014, alle ore 17:02:35, avente ad oggetto “Notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994”, ha registrato: “avvenuta – consegna”, “errore = nessuno” e “ricevuta tipo = completa” (tale ultima attestazione smentisce l’ulteriore doglianza dell’appellante circa la mancanza della ricevuta di consegna “completa” della PEC, in violazione dell’art. 18 comma 6 del D.M. n. 44/2011).

Peraltro, appurata la regolare consegna della PEC all’indirizzo di posta elettronica del difensore della (omissis), risulterebbe irrilevante l’eventuale malfunzionamento della rete telematica o telefonica interna dell’avvocato (sul punto, Cass. pen. n. 98922015), nel caso di specie neppure allegato, posto che il procuratore dell’appellante ha sostenuto di avere regolarmente utilizzato lo stesso giorno 10.12.2014 il proprio indirizzo PEC per trasmettere alcuni messaggi.

Parimenti infondato è il rilievo sulla mancanza, nell’atto notificato, della firma digitale del difensore che ha eseguito la notifica (doglianza, questa, che, contrariamente a quanto affermato dal procuratore dell’appellante, presuppone l’avvenuta ricezione del messaggio PEC con i relativi allegati e la visione del contenuto degli stessi), in violazione dell’art. 18 del D.M. n. 44/2011 e dell’art. 12 del Provvedimento del responsabile dei sistemi informatici del Ministero della Giustizia del 16.04.2014, posto che l’atto trasmesso non era stato formato dall’avvocato, ma da un terzo (il giudice che ha emesso la sentenza). Il difensore, pertanto, non poteva firmare digitalmente un atto da lui non redatto, ma solo attestarne la conformità all’originale, come ha effettivamente fatto con la relata di notifica (firmata digitalmente), contenente la relativa attestazione di conformità (all. 4 lett. d) alla memoria di costituzione in appello della parte appellata). Per lo stesso motivo l’atto trasmesso riporta l’estensione “.pdf” e non “.p7m”, in quanto quest’ultimo formato viene assegnato solamente se l’atto viene firmato digitalmente dal redattore e non anche se si procede alla notificazione di un atto redatto da un terzo.

Pertanto, a fronte del rilievo circa la mancanza dell’attestazione di conformità della documentazione prodotta (e, in particolare, della sentenza notificata), l’avvocato (omissis) ha dimostrato, come si è già detto, mediante la produzione della “relata di notifica”, firmata digitalmente, e della “attestazione di conformità”, sottoscritta con firma autografa (all. 4 lett. d) alla memoria di costituzione in appello), di avere attestato la conformità dell’atto notificato all’originale da lui estratto “tramite la consultazione remota del fascicolo informatico”, nonché di avere redatto la relata di notifica e di avere sottoscritto digitalmente il relativo file. Ciò è riscontrato anche dal deposito del “rapporto di verifica” (allegato 11 alle note autorizzate del 2.07.2015), che smentisce le ulteriori censure sulla mancanza del certificato di firma digitale dell’avvocato (omissis) (idoneo ad attestare la validità della firma digitale), nonché del certificato di firma del gestore PEC, posto che da tale rapporto si evince l’integrità della firma digitale dell’avvocato (omissis) e la validità del relativo certificato (dal 17.09.2010 al 18.09.2015), rilasciato da Aruba PEC S.p.a.

Di contro, l’appellante non ha contestato la veridicità, mediante la presentazione di querela di falso, né dell’attestazione di conformità all’originale della sentenza, effettuata dall’avvocato (omissis) con la relata di notifica del 14.12.2015, né dell’attestazione di conformità del messaggio di posta elettronica certificata, con il quale si è proceduto ad eseguire la notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994, né delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna, della relata di notifica firmata digitalmente e di tutti gli allegati stampati ed uniti in un unico documento, per complessivi 16 fogli, sottoscritta con firma autografa dal medesimo difensore in data 16.03.2015.

In conclusione, la ritualità della notificazione a mezzo PEC della sentenza di primo grado alla casella di PEC del procuratore costituito di controparte esclude che possa attribuirsi il benché minimo alla mera affermazione della stessa appellante di nulla aver ricevuto, posto che, nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione e di consegna del messaggio nella casella del destinatario, si determina, analogamente a quanto avviene per le dichiarazioni negoziali ai sensi dell’art. 1335 c.c., una presunzione di conoscenza da parte dello stesso, il quale, pertanto, ove deduca la nullità della notifica, è tenuto a dimostrare le eventuali difficoltà di prendere visione del contenuto della comunicazione, correlate all’utilizzo dello strumento telematico, informando di ciò tempestivamente il mittente, al fine di fornirgli la possibilità di rimediare a tale inconveniente (Cass. n. 25819/2017).

Sul punto non è superfluo aggiungere che anche la mancata lettura del documento trasmesso a mezzo PEC, da parte del difensore, per un eventuale malfunzionamento del proprio computer, va pur sempre imputato a mancanza di diligenza del difensore, che nell’adempimento del proprio mandato è tenuto a dotarsi dei necessari strumenti informatici e a controllarne l’efficienza (Cass. pen. n. 2431/2017).

Poiché nel caso in esame la sentenza è stata ritualmente notificata, a mezzo PEC, in data 10.12.2014, il termine (ex artt. 325 e 326 c.p.c.) per impugnare la pronuncia è, dunque, venuto a scadere il 9.01.2015 (venerdì), sicché l’appello notificato dalla (omissis) alla controparte solo in data 12.03.2015 è indubbiamente tardivo e deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

4. L’inammissibilità del gravame assorbe l’esame di ogni altra questione dedotta dall’appellante.

5. Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico della (omissis), rimasta soccombente, con distrazione in favore del procuratore del Comune di Cefalù, che ne ha fatto
rituale richiesta.

Ai sensi della legge 24 dicembre 2012 n. 228 (che ha integrato l’art. 13 del T.U. di cui al D.P.R. n. 115/2002), alla pronuncia di inammissibilità del gravame segue l’obbligo, da parte dell’appellante, del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione.

P.Q.M.

La Corte, sentiti i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile l’appello proposto da (omissis) nei confronti del Comune di Cefalù avverso la sentenza n. 5701/2014 dei giorni 17/21 novembre 2014 del Tribunale di Palermo;

condanna (omissis) a rifondere le spese del presente grado del giudizio, sostenute dal Comune di Cefalù, che liquida in complessivi euro 11.000,00 per compenso, oltre spese generali (15%), C.P.A. e I.V.A. come per legge;

ordina la distrazione delle spese del giudizio in favore dell’avv. (omissis), antistatario.

Dà atto dell’obbligo dell’appellante del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.

Così deciso nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile della Corte di Appello di Palermo il 13 maggio 2019.