Corte di Cassazione, Sez. VI Civile – Ordinanza n. 28311 del 27 novembre 2017

ORDINANZA

sul ricorso 21925-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

contro

(OMISSIS) SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1060/28/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA, depositata il 25/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 09/11/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON.

Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del Presidente e del Relatore.

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

Con sentenza in data 8 febbraio 2016 la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l’appello proposto dalla (OMISSIS) srl avverso la sentenza n. 1138/1/14 della Commissione tributaria provinciale di Viterbo che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRAP, IRES ed altro, IVA ed altro 2009. La CTR osservava in particolare che, pur essendo legittimo il ricorso alla metodologia accertativa utilizzata dall’Ente impositore (accertamento c.d. “induttivo puro” Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 39, comma 2, lettera d)), presentando la contabilita’ della societa’ contribuente verificata anomalie tali da renderla inattendibile, tuttavia la ripresa fiscale doveva considerarsi infondata nel merito, poiche’, sulla base dei dati riportati nello stesso atto impositivo impugnato i ricavi accertati risultavano inferiori a quelli dichiarati.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.

Resiste con controricorso la societa’ contribuente.

L’intimata (OMISSIS) spa non si e’ difesa.

Considerato che:

In via preliminare bisogna rilevare l’infondatezza dell’eccezione di tardivita’ del ricorso sollevata dalla controricorrente.

Va infatti ribadito che “In tema di contenzioso tributario, la notifica della sentenza effettuata a mezzo PEC dal difensore del contribuente, munito dell’autorizzazione del Consiglio dell’Ordine di appartenenza, all’Amministrazione finanziaria, in data 5 dicembre 2014, e’ inesistente e insuscettibile di sanatoria, per cui non e’ idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, atteso che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 16 bis, comma 3, che richiama il Decreto Ministeriale 23 dicembre 2013, n. 163, le notifiche tramite PEC degli atti del processo tributario sono previste in via sperimentale solo a decorrere dal 1 dicembre 2015 ed esclusivamente dinanzi alle commissioni tributarie della Toscana e dell’Umbria, come precisato dall’articolo 16 del Decreto Ministeriale 4 agosto 2015” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17941 del 12/09/2016, Rv. 640801 -01; conformi, Cass. 22389-18321-22188-15984/2017, non massimate). Quindi, non essendo ratione temporis ancora entrata in vigore per la Regione Lazio la normativa sul processo tributario telematico, la notifica a mezzo PEC effettuata dal difensore della societa’ contribuente in data 22 marzo 2016 deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che il ricorso per cassazione dell’Agenzia delle entrate in quanto notificato il 28 settembre 2016 e’ tempestivo, essendo stata depositata la sentenza impugnata il 25 febbraio 2016, dovendosi tener conto del periodo di 31 giorni per la sospensione feriale dei termini processuali.

Con il primo motivo – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’agenzia fiscale ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo controverso, poiche’ la CTR non ha considerato che la rettifica ha riguardato i soli ricavi da vendita al dettaglio e non quelli globali comprendenti anche la vendita all’ingrosso, sicche’ appunto cosi’ se ne giustificava la pretesa erariale portata dall’avviso di accertamento de quo. Con il secondo motivo – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente denuncia violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 2, lettera d), Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 55, comma 2, poiche’ la CTR ha svalorizzato il dato, contestato alla societa’ contribuente, della valutazione eccessiva delle rimanenze finali dell’annualita’ fiscale in oggetto.

Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono fondate.

Quanto alla prima, vi e’ da notare che la Commissione tributaria regionale laziale e’ incorsa in un errore di fatto che, sulla scorta di quanto riportato in ricorso cosi’ rispettandosi il principio di autosufficienza, risulta del tutto palese.

Infatti nelle parti della motivazione dell’avviso di accertamento impugnato considerate dal giudice tributario di appello (f. 14-21) e’ chiaramente indicato che la somma di Euro 2.463.000 rappresenta i ricavi complessivi dichiarati dalla contribuente nel 2009, mentre la somma di Euro 2.456.894 e’ quella determinata a seguito della rettifica induttiva dei soli ricavi da vendite al dettaglio, dichiarati dalla societa’ verificata nella misura inferiore di Euro 2.226.191.

Emerge dunque con chiarezza che la ripresa fiscale ha, esclusivamente, ad oggetto i ricavi da vendite al dettaglio.

Questo era pertanto il “fatto controverso” in contestazione tra le parti e l’omesso esame dello stesso da parte della CTR e’ appunto manifesto. In conclusione la motivazione della sentenza impugnata sul punto decisionale de quo si pone al di sotto del “minimo costituzionale” (cfr. SU 8053/2014).

Quanto alla seconda censura, va anzitutto ribadito che:

– “In tema d’IVA, l’accertamento induttivo avente ad oggetto la ricostruzione delle rimanenze iniziali e finali puo’ essere effettuato o sulla base dei dati della contabilita’ aziendale, che costituiscono prova a carico del contribuente e di cui deve presumersi l’esattezza, o attraverso la ricerca di elementi che contraddicano in modo inoppugnabile i dati forniti dal contribuente” (Sez. 5, Sentenza n. 15615 del 27/07/2016, Rv. 640629 – 01);

-“In tema di accertamento del reddito d’impresa, pur in presenza di contabilita’ regolare, ma sostanzialmente priva di garanzia di affidabilita’ e congruita’ sostanziali, il fisco puo’ utilizzare qualsiasi elemento probatorio e fare ricorso al metodo induttivo, avvalendosi anche di presunzioni cosiddette “supersemplici”, cioe’ prive dei requisiti di gravita’, precisione e concordanza di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 38, comma 3, le quali determinano un’inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del contribuente la deduzione di elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito non e’ stato prodotto o e’ stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’ufficio” (Sez. 5, Sentenza n. 15027 del 02/07/2014, Rv. 631522 01);

– “In tema di imposte sui redditi, e’ legittimo il ricorso all’accertamento del reddito d’impresa con metodo induttivo Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 39, comma 2, lettera d), qualora l’inventario ometta di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, cosi’ violando la prescrizione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 15, comma 2” (Sez. 5 -, Sentenza n. 5995 del 08/03/2017, Rv. 643305 – 01).

La sentenza impugnata contrasta con tutti e tre i principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali, in particolare non considerando adeguatamente il valore indiziario della sopravalutazione delle rimanenze finali e, soprattutto, l’irregolarita’ contabile consistente nella violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 15, comma 2, pacificamente sussistente e contestata nel caso di specie, come pure, in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso, evidenziato dall’agenzia fiscale ricorrente.

La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione ad entrambi i motivi dedotti, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.