Corte di Cassazione – Sentenza n. 7939 del 30 maggio 2002

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il primo Ufficio delle Imposte Dirette di Milano emetteva un accertamento fiscale nei confronti dei coniugi Fratta Cesare e Fumagalli Giuseppina, rideterminandone, ai fini IRPEF ed ILOR, i redditi per l’anno 1982.

L’accertamento nei loro confronti traeva origine da un altro accertamento effettuato a carico di Fratta Ernesto, figlio dei contribuenti, e titolare di un’impresa familiare cui la madre Fumagalli Giuseppina partecipava nella misura del 45%, ed il padre Fratta Cesare partecipava, invece, nella misura percentuale del 10%.

I due contribuenti Fratta Cesare e Fumagalli Giuseppina impugnavano l’accertamento in sede giurisdizionale, ma i loro ricorsi successivi venivano respinti prima dalla Commissione Tributaria di primo grado di Milano, e poi, in sede di appello, con sentenza del 23 giugno/22 settembre 1997, dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

Questa ultima rilevava in motivazione che l’altro accertamento, impugnato dalla società (dalla quale derivavano a loro volta i redditi accertati ai ricorrenti) era stato riconosciuto legittimo dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano che aveva respinto il relativo ricorso.

2. Propongono ricorso per cassazione i contribuenti Fratta Cesare Luigi e Fumagalli Giuseppina, chiedendo l’annullamento, con ogni provvedimento consequenziale, della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, ed allegando tre motivi di impugnazione.

Con il primo eccepiscono la mancanza assoluta di motivazione e la conseguente nullità della sentenza.

La sentenza della Commissione Tributaria Regionale (come del resto quella della Commissione Tributaria Provinciale) si sarebbe basata esclusivamente sull’esistenza di un’altra pronunzia della stessa Commissione Provinciale, a carico del figlio Fratta Ernesto, sentenza questa ultima che aveva dichiarato legittimo l’accertamento a carico dell’impresa familiare.

Invece le due liti fiscali (peraltro non riunite) erano distinte, e soprattutto, la pronunzia di primo grado a carico del figlio sarebbe stata appellata.

3. Con il secondo motivo di impugnazione i coniugi ricorrenti eccepiscono l’erronea e falsa applicazione della legge per quanto concerne la valutazione delle prove, e la conseguente nullità della sentenza.

L’accertamento fiscale a carico del figlio Fratta Ernesto, che svolgeva un’attività di commercio all’ingrosso di oreficeria a Milano (ed a carico, nello stesso tempo, dell’impresa familiare) era scaturito da una indagine più ampia, volta a sgominare un’associazione a delinquere finalizzata all’esportazione clandestina dl capitali allo scopo di acquisire all’estero oro greggio.

Il Fratta Ernesto era stato coinvolto in questa vicenda, ed era stato fatto oggetto di accertamenti tributari per cinque anni di imposta (esattamente dal 1982 e 1987), nonché di due procedimenti penali, uno di carattere valutario e l’altro di carattere tributario, che si erano conclusi, peraltro entrambi con la sua assoluzione con formula piena, per l’esattezza una volta con la formula “perché il fatto non sussiste”, e l’altra con quella “per non aver commesso il fatto”.

Invece i giudici tributari non avevano valutato gli esiti di questi procedimenti penali e le prove raccolte nel corso di essi.

4. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano una violazione del diritti della difesa con conseguente nullità del procedimento.

Sostengono che all’udienza del 5 febbraio 1996 dinanzi alla Commissione Tributaria di primo grado di Milano non erano stati posti in grado di difendersi in pubblica udienza.

L’avviso di convocazione era, infatti, pervenuto al Fratta Cesare solo mesi dopo l’udienza, e da esso risultava che la notificazione era stata effettuata mediante deposito presso la Casa Comunale di Milano, e con l’invio di una raccomandata che il contribuente negava di avere mai ricevuto (che, comunque, gli sarebbe stata spedita due giorni dopo l’affissione dell’avviso sulla porta di casa del ricorrente).

4. Si è costituita con apposito controricorso l’Amministrazione finanziaria.

Nega, innanzi tutto, che sia stata impugnata la pronunzia di primo grado che ha respinto il ricorso proposto da Fratta Ernesto avverso l’accertamento a suo carico per l’anno 1982.

Quella sentenza di primo grado aveva perciò acquisito carattere di giudicato, con l’effetto di rendere definitivo anche il reddito di partecipazione dei contribuenti Cesare Luigi Fratta e Fumagalli Giuseppina.

Le rispettive liti fiscali erano sì distinte, ma, in realtà, inscindibilmente collegate tra loro.

La resistente sottolinea poi che il fatto contestato al Fratta Ernesto in sede penale (esportazione di valuta) sarebbe stato diverso da quello (acquisto senza fattura di oro grezzo) contestatogli invece in sede fiscale.

Soprattutto, quest’ultimo fatto sarebbe risultato provato.

Per quanto concerne, infine, la pretesa nullità processuale, la resistente sostiene che – come riconosciuto nella sentenza di appello impugnata – dalla documentazione esistente presso la segreteria della Commissione Tributaria Provinciale di Milano non risultava nessuna violazione delle norme in materia di notificazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso non è fondato, e non può trovare accoglimento.

Considerazioni di razionalità di trattazione inducono ad esaminare per primo il terzo motivo di impugnazione, che, investendo la regolarità del procedimento, assume carattere preliminare rispetto agli altri.

Il motivo non è fondato.

Non appare esatto, innanzi tutto, che la Commissione Regionale non abbia motivato sull’eccezione relativa alla pretesa mancata convocazione dei contribuenti per l’udienza di discussione nel giudizio tributarlo di primo grado: sia pure sinteticamente la sentenza afferma che l’esercizio del diritto di difesa da parte del contribuenti era stato sostanzialmente rispettato.

Ciò significa che la Commissione ha ritenuto regolare la notificazione dell’avviso di convocazione dei contribuenti per l’udienza di discussione in questione.

Inoltre i ricorrenti non indicano elementi astrattamente idonei a comprovare la nullità della notificazione stessa, e pertanto l’effettività dell’asserita lesione dei loro diritti di difesa.

Non è tale la circostanza secondo cui avrebbero avuto effettiva notizia dell’udienza soltanto alcuni mesi dopo, perché – come dichiarano gli stessi ricorrenti – la notificazione è stata effettuata ai sensi dell’art. 140 c. p.c., cioè con il rito degli irreperibili, e questa forma di comunicazione, per la sua stessa natura, non assicura che i destinatari abbiano effettiva notizia dell’atto notificato.

Né rileva che, come dichiarato dai ricorrenti, la raccomandata contenente l’avviso sia stata inviata al Fratta Cesare due giorni dopo l’affissione dell’avviso alla porta del ricorrente.

L’ art. 140 c. p.c. prevede che “se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate”, la notificazione abbia luogo ugualmente con lo svolgimento di tre formalità distinte: il deposito di copia dell’atto da notificare nella casa comunale, l’affissione dell’avviso del deposito sulla porta dell’abitazione o dell’ufficio del destinatario, ed infine l’invio di una raccomandata con avviso di ricevimento anch’essa con l’avviso del deposito.

La notificazione si considera perfezionata soltanto con l’esecuzione dell’ultima, in senso temporale, delle tre formalità.

Queste ultime debbono essere eseguite in uno stesso contesto temporale, nell’ambito di quella certa notificazione, ma nulla impone che vengano eseguite in uno stesso giorno.

Una distanza di due giorni tra di esse non interrompe certo l’unita del contesto temporale: in sostanza, rimane irrilevante che per ragioni operative, per la mancanza di un ufficio postale aperto in orario utile, o per altro motivo, l’invio della raccomandata sia stato seguito di qualche giorno l’affissione dell’avviso sulla porta dell’abitazione o dell’ufficio del destinatario (che nella normalità dei casi verrà effettuata quando l’ufficiale giudiziario si sarà recato in luogo e non avrà potuto eseguire la notificazione con uno dei sistemi ordinari, e sarà perciò la prima, temporalmente, ad essere eseguita delle tre formalità richieste), ed il deposito dell’atto nella casa comunale.

2. Sono infondati anche i primi due motivi di impugnazione, quelli concernenti il merito.

Con primo motivo i ricorrenti lamentano un vizio di carenza assoluta di motivazione, perché la sentenza di appello si sarebbe limitata a far riferimento alla pronunzia – che essi assumevano non ancora passata in giudicato – della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, che aveva respinto il ricorso proposto dall’impresa familiare del loro figlio Fratta Ernesto, impresa da cui sarebbero derivati i redditi di partecipazione dei genitori, attuali ricorrenti, per l’anno 1982.

Secondo questi ultimi la sentenza, invece, non avrebbe esaminato affatto le argomentazioni difensive contenute nel loro atto di appello.

In realtà, come espressamente disponeva (nella formulazione vigente all’epoca dei fatti) il quarto comma dell’art. 5 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, anche il reddito di partecipazione dei genitori Fratta Cesare Luigi e Fumagalli Giuseppina dipende da quello accertato a carico dell’impresa familiare del figlio.

Per la precisione nel testo originario della norma si leggeva che “i redditi delle imprese familiari di cui all’art. 230 bis del codice civile sono imputati a ciascun collaboratore familiare, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili dell’impresa …”.

Di conseguenza la Commissione Regionale ha motivato adeguatamente e compiutamente con il riferimento alla decisione relativa all’impresa familiare del figlio, né era tenuta a rispondere più in dettaglio ad eventuali ulteriori argomentazioni difensive delle parti (che, del resto, rimanevano assorbite).

L’affermazione, contenuta in ricorso, secondo cui quella pronunzia a carico dell’impresa familiare non sarebbe ancora passata in giudicato, ed il relativo giudizio sarebbe pendente, non trova nessun riscontro nella sentenza impugnata, e, del resto, neppure i ricorrenti offrono alcun elemento concreto, alcuna indicazione, in questo senso.

La circostanza, invece, avrebbe dovuto essere provata nel corso dei giudizi di merito, da coloro che l’affermavano, vale a dire dagli stessi ricorrenti.

3. Per quanto riguarda il secondo motivo di merito, relativo alla pretesa influenza di alcune pronunzie penali con cui il figlio Fratta Ernesto era stato assolto da imputazioni a suo carico, va rilevato che non risulta affatto che i fatti materiali contestati in sede penale fossero i medesimi posti alla base dell’accertamento da cui trae origine questa controversia fiscale.

Anche su questo punto la prova avrebbe dovuto essere fornita, nel corso dei giudizi di merito, da chi aveva interesse a dimostrarla, e perciò dagli attuali ricorrenti.

La circostanza, invece, non trova riscontro alcuno nella pronunzia della Commissione Regionale.

4. Concludendo, dunque, il ricorso non può che essere respinto, ed i ricorrenti vanno condannati in solido a rifondere, in favore dell’Amministrazione finanziarla, le spese del presente giudizio, che vengono liquidate negli importi riportati in dispositivo.

P.Q.M.

Respinge il ricorso e condanna i ricorrenti a rifondere, in favore dell’Amministrazione finanziaria, le spese del presente giudizio che liquida in euro 2.100, di cui euro 2.000 per onorari, oltre a quelle prenotate a debito.