Corte di Cassazione – Sentenza n. 27473 del 30 dicembre 2016

SENTENZA

sul ricorso 6865-2010 proposto da:

MINISTERO DELLA DIFESA in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CIAMPINO in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) con comparsa di costituzione, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 48/2009 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 17/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/11/2016 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che si riporta al ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato (OMISSIS) per delega dell’Avvocato (OMISSIS) che si riporta al controricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO PAOLA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

IN FATTO

Il Ministero della Difesa propose ricorso avverso l’avviso di accertamento dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) per l’anno 2004, notificato dal Comune di Ciampino, in relazione ad immobili di sua proprieta’, deducendo che gli stessi erano esenti dal tributo, ai sensi dal Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 7, comma 1, lettera a, in quanto destinati a propri fini istituzionali e, segnatamente, ad alloggio di servizio per il proprio personale.

L’adita Commissione Tributaria Provinciale di Roma lo accolse e la decisione fu riformata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in esito all’appello del Comune, che rivendicava invece la debenza dell’imposta.

I Giudici di appello, in particolare, rilevarono che l’esenzione ICI, ai sensi dell’invocato Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 7, nella esaminata fattispecie non spetta in quanto “non v’e’ ragione di assimilare gli alloggi di servizio per i quali i dipendenti versano un canone, con i beni demaniali destinati alla difesa e, necessariamente, concessi in uso gratuito e collegati sia fisicamente che funzionalmente alle attivita’ istituzionali connesse con la difesa dello Stato”. Avverso la sentenza di appello n. 48/34/09, depositata il 17/4/2009, il Ministero della Difesa propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Il Comune si e’ costituito con controricorso.

IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso, il Ministero della Difesa deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione di legge, in relazione all’articolo 112 c.p.c., giacche’ la CTR ha omesso di pronunciare sull’appello incidentale, di cui pure si da’ atto in sentenza, proposto dall’Amministrazione per far valere le eccezioni di nullita’ della notifica dell’avviso di accertamento, eseguita non al Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., nella sede di (OMISSIS), Roma, ma ad un ufficio periferico, l’8 Reparto Infrastrutture, sfornito di personalita’ giuridica, sito in (OMISSIS), non legittimato a resistere alla pretesa impositiva avanzata dal Comune. Conclude con la formulazione del quesito di diritto con cui si chiede che la Corte dica “se, in un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento del quale sia stata eccepita in via preliminare la nullita’, il giudice sia tenuto a pronunciarsi su detta eccezione e non possa pertanto, com’e’ accaduto nel caso di specie, pronunciarsi esclusivamente sul merito”.

Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione di legge, in relazione al Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 3, comma 1, e articolo 11, comma 2, atteso che la normativa ratione temporis applicabile imponeva l’esatta individuazione del contribuente, nella specie, il Ministero della Difesa – Direzione Generale lavori e Demanio, e provvedere alla notificazione dell’avviso di accertamento presso la sede centrale del Ministero.

Conclude con la formulazione del quesito di diritto con cui si chiede che la Corte dica “se – qualora la titolarita’ su un immobile del diritto di proprieta’, o di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie, a mente del Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 3, comma 1, appartenga ad un Ministero – l’avviso di accertamento dell’ICI su detto immobile vada rivolto nei confronti del Ministero pro tempore e se, in difetto, l’avviso di accertamento sia affetto da nullita’”.

La questione posta con i suesposti motivi, che possono essere scrutinati congiuntamente, ha trovato soluzione nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui “la natura sostanziale e non processuale (ne’ assimilabile a quella processuale) dell’avviso di accertamento tributario – che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria – non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria. Pertanto, l’applicazione, per l’avviso di accertamento, in virtu’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 60, delle norme sulle notificazioni nel processo civile comporta, quale logica necessita’, l’applicazione del regime delle nullita’ e delle sanatorie per quelle dettato, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullita’ della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex articolo 156 c.p.c.. Tuttavia, tale sanatoria puo’ operare soltanto se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza – previsto dalle singole leggi d’imposta – per l’esercizio del potere di accertamento” (Cass. n. 8374/2015; n. 654/2014; n. 15554/2009; S.U. n. 19854/2004).

La CTR, in buona sostanza, ha fatto applicazione del suesposto principio di diritto escludendo implicitamente rilievo al dedotto vizio di nullita’ o inesistenza della notificazione, per essere stato l’atto impugnato tempestivamente dal destinatario, e quindi esaminando nel merito il gravame.

Dalla vicenda processuale, per come narrata dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso del Ministero della Difesa, non e’ dato cogliere alcuna reale incertezza nell’ atto impositivo circa l’identificazione del proprietario degli immobili e soggetto passivo dell’imposta nella predetta Amministrazione che, del resto, ha avuto conoscenza e si e’ difesa.

Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione di legge, in relazione al Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 7, giacche’, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, l’esenzione si applica anche agli alloggi di proprieta’, ancorche’ posti all’esterno degli edifici ed impianti militari, concessi in locazione o in comodato al proprio personale dipendente, atteso che il loro uso puo’ considerarsi comunque rientrante nei fini istituzionali dell’ente. Conclude con la formulazione del quesito di diritto con cui si chiede che la Corte dica “se la destinazione ad alloggio di servizio di un immobile sul quale una pubblica Amministrazione vanti uno dei diritti di cui al Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 3, comma 1, integri condizione per l’esenzione dall’ICI, a mente del Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 7”.

Il motivo e’ inammissibile prima che infondato.

La censura del Ministero ripropone, sia pure sotto il profilo della dedotta violazione e falsa applicazione di norme di legge, una completa rivisitazione delle risultanze processuali e delle questioni dibattute nel doppio grado del giudizio di merito, e cio’ appare sufficiente a dare conto dell’inammissibilita’ del ricorso per i rilievi che seguono.

E’ principio di diritto costantemente affermato da questa Corte, in materia di procedimento civile, che “nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilita’, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina, cosi’ da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione” (Cass. 287/2016; n. 25419/2014; n. 16038/2013; n. 3010/2012; n. 16132/2005).

Risulta, quindi, formulata inidoneamente la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola indicazione di norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia.

Nel motivo di ricorso, infatti, non risultano indicate le argomentazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme violate o con l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina, sicche’ il motivo e’ inammissibile in quanto non consente alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione.

Le doglianze della contribuente non si confrontano, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata, il cui controllo costituisce l’oggetto del giudizio di legittimita’, nei limiti delle questioni prospettate con i motivi di ricorso, sicche’ non risulta adeguatamente confutata dall’impugnante l’affermata infondatezza del gravame derivante dalla circostanza che gli immobili non sono “collegati sia fisicamente che funzionalmente alle attivita’ istituzionali connesse con la difesa dello Stato”.

Con il quarto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, difetto di motivazione circa un fatto controverso e decisivo, giacche’ la CTR non ha ritenuto di poter ricondurre gli alloggi di servizio alla categoria dei beni destinati a scopi istituzionali senza considerare che la destinazione impressa dall’Amministrazione ai beni medesimi ne determina automaticamente la funzionalizzazione a scopi istituzionali e la conseguente esenzione dall’ICI, mentre il pagamento di un canone rimane circostanza del tutto ininfluente (segue quesito di diritto).

La suesposta censura e’ inammissibile per difetto del momento di sintesi.

Secondo lo stabile insegnamento di questa Corte “anche nel caso previsto dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita’, la chiara indicazione, sintetica ed autonoma, del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’” (Cass. n. 5697/2016; S.U. 20603/07).

Ad ogni buon conto, e’ appena il caso di richiamare l’indirizzo giurisprudenziale della Corte (cfr. Cass. n. 20042/2011; n. 20850/10, n. 14094/2010, n. 20577/2005) secondo cui l’esenzione dall’ICI prevista dal Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 7, comma 1, lettera a), per gli immobili posseduti dagli enti ivi indicati “destinati esclusivamente ai compiti istituzionali”, spetta soltanto se l’immobile e’ direttamente e immediatamente destinato allo svolgimento dei compiti istituzionali dell’ente, ipotesi che non ricorre in caso di utilizzazione semplicemente indiretta a fini istituzionali, che si verifica quando il godimento del bene stesso sia ceduto per il preminente soddisfacimento di esigenze di carattere privato (quali quelle abitative proprie del cessionario e della relativa famiglia) e della quale e’ certo sintomo il pagamento di un canone.

E siffatta conclusione e’ coerente con il rilievo che le norme introducenti esenzioni, in quanto eccezionali, sono di stretta interpretazione (Cass. n. 6925/2011; n. 381/2006) sicche’ il giudice a quo ha fatto corretta applicazione dei principi sopra riportati ritenendo che l’Amministrazione non aveva assolto l’onere della prova, su di lei incombente, in merito alla ricorrenza del presupposto oggettivo dell’invocata esenzione.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone il rigetto del ricorso e, per la peculiarita’ della vicenda oggetto di controversia e l’assenza di precedenti specifici, sussistono giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e compensa le spese del giudizio.